domenica 24 luglio 2011

Amy Winheouse - R.I.P.

Era tutto stato scritto e detto. L'aveva dichiarato lei stessa. E' una tregedia. Succederà ancora, purtroppo.

"They tried to make me go to rehab but I said 'no, no, no'

Yes I've been black but when I come back you'll know know know

I ain't got the time and if my daddy thinks I'm fine

He's tried to make me go to rehab but I won't go go go"


sabato 23 luglio 2011

Suzanne Vega a Roma, Villa Ada



Se esiste la sindrome di Stendhal per la musica forse l'ho avuta mercoledì scorso a Villa Ada. Magari complice l'atmosfera magica di questo parco meraviglioso che ogni estate ospita concerti di altissimo livello. Magari perché la voce di Suzanne Vega è sempre pulita, calda, vera, ma soprattutto ammaliante, da vera Calipso. Magari perché in un tale contesto le sue canzoni in versione acustica mettono in risalto la loro essenza più introspettiva e spirituale. Sta di fatto che durante tutto il concerto l'emozione è stata talmente forte che la lacrimuccia era sempre lì lì per sgorgare felice.
Partenza a bruciapelo con Marlene on the wall. Dopo trenta secondi è già silenzio assoluto tra i duemila presenti. Accompagnata dalla chitarra elettrica leggera e avvolgente di Gerry Leonard, snocciola tutti i grandi successi, intervallati da alcune canzoni dal musical sulla vita di Carson McCullers, da lei scritto e interpretato a Broadway. Conclude con tre bis, il terzo dei quali evidentemente quale ringraziamento speciale per un pubblico entusiasta che non ne voleva sapere di andarsene.

Eleanor Friedberger - Last Summer (2011)

Debutto solista per Eleanor che, insieme al fratello Matthew, è già nota per far parte del gruppo "The Fiery Furnaces", band pop-indie-sperimentale di avanguardia, il cui primo lavoro Gallowsbird's bark, risale al 2002.
L'ascolto di questo disco ci fa capire che, probabilmente, il maggior talento, per lo meno in termini di stile è appannaggio suo (sicuramente Matthew è l'ambizioso, e coraggioso, della famiglia vista la sua intenzione di pubblicare quest'anno un volume con 8 album insieme....).
Il disco di Eleanor si caratterizza per una versatile combinazione di melodia e malinconia, con atmosfere lievi, talora acustiche, altre volte quasi Jazzy, che fanno ricordare i Fleetwood Mac di Tusk o alcune cose di Joni Mitchell e Laurie Anderson (la bellissima Scenes from Bensonhurts). Evocative melodie al piano che spaziano da riferimenti synth-pop (My Mistakes), funk (Roosevelt Island, I Want Fall Apart on you Tonight) e addirittura new-prog (Inn of the Seventh Ray).

Voto: ★★★ (promettente)


TREMBLING BELLS (2011) The Constant Pageant

E rieccoci con un altro meritevole lavoro di revival del folk-rock anglo-scoto-irlandese dei seventies. Lontano tuttavia dal genio e l’originalità di Fleet Foxes ed Unthanks, ed assai più nel solco di Bellowhead (ma di questi meno burlesque e soul, e più elettrici e psichedelici). Il quartetto di Glasgow si rifà chiaramente ai Fairport Convention che guardavano all’acid rock californiano, ai lavori solistici di Richard e Linda Thompson ed ai Fotheringay, con la voce solista di Lavinia Blackwall che insegue (appunto, insegue…) Sandy Denny e le chitarre elettriche a ricordare costantemente i Jefferson Airplane (quasi plagiati in All My Favourite Mistakes) e la stagione del power flower. Ma la varietà è la ricchezza dell’album: dalle arie cinquecentesche di Color of Night e Torn Between Loves (come degli Amazing Blondel elettrici), ai fiati alla Bellowhead, agli accenni prog di Where Do I Go From You, al pop di To See You Again, ad una Otley Rock Oracle che suggerisce un connubio improbabile tra dei Pentangle elettrici ed il Mauro Pagani world degli esordi. E ovunque immagini capelloni, pantaloni a zampa d’elefante, basettoni, bluse psichedeliche e frange folk rigorosamente a cavallo tra ’60 e ’70.

Peccato che non vi sia traccia dei tre decenni trascorsi dopo gli anni ’70, ma soprattutto che il lavoro sia sovraccarico, dalla batteria ridondante ai fiati, dalla chitarra elettrica onnipresente alla voce enfatica, e alla fine del disco si arriva un po’ spossati. Ma probabilmente una produzione più misurata non gioverebbe ad un gruppo viscerale dall’inizio alla fine, e certamente più adatto ad una dimensione live.

Preferite: Otley Rock Oracle, Where Do I Go From You, To See You Again

Voto Microby: 7.3/10

venerdì 22 luglio 2011

Keith Jarrett, Arcimboldi 22 luglio 2011


Bisogna assolutamente scindere il personaggio e la sua musica.
Il personaggio è peggio di una "primadonna": leggasi l'irritante volantino sopra queste mie parole, unite alle minacce "non verranno eseguiti bis in caso qualcuno sia sorpreso ad effettuare fotografie degli artisti"comunicate a metà del concerto ed accolte tra lo sconcerto ed anche l'ilarità generale. In questo clima non proprio tranquillizzante il concerto inizia con un sentimento di disagio sicuramente non migliorato dall'atteggiamento di Jarrett che, sempre spalle al pubblico, appare infastidito anche dal colpi di tosse e forse addirittura dagli applausi scroscianti alla fine di ogni brano. Il pubblico risulta quasi intimidito dall'atmosfera sicuramente poco tranquillizzante. Bah. Per fortuna Jarrett si è presentato con una camicia rossa su pantaloni neri, accostamento di colori sempre a me caro.
Veniamo alla musica: la sua sublime capacità di accarezzare i tasti facendo sprigionare melodie che lo inducono ad una specie di intensa "trance" artistica è incredibile. Il suo tocco leggero esalta tutti gli "standards", eseguiti con l'inappuntabile collaborazione di Gary Peacock e Jack DeJohnette (forse lievemente sopra le righe in qualche occasione).
I brani eseguiti (grazie a The Student per i suggerimenti): nel primo tempo All of You, Summertime, Stars fell in Alabama, I'm gonna laugh you right out of my life + un blues che nessuno è riuscito a capire cosa fosse. Dopo l'interruzione: Life is just a bowl of cherries e la fantastica Answer me my love di Nat King Cole (con applauso infinito al suo termine), Solar e When will the blues leave in versione decisamente free. Per finire Tennessee waltz e i bis (elargiti nonostante qualche flash birichino): Things ain't what they used to be e Once upon a time.
Vicino a me, Stefano Bollani, appare particolarmente impressionato; proprio come il sottoscritto. Grazie Sandra per avermi spinto ad assistere a questo meraviglioso concerto. Certo, Jarrett è un pò uno s.... però, chissenefrega.

domenica 17 luglio 2011

BLUE OCTOBER (2011) Ugly Side – An Acoustic Evening With Blue October

Quintetto texano poco noto in Italia, ma già discograficamente attivo dal 1998, gode in realtà di un buon seguito in patria nel filone post-grunge poco apprezzato dalla critica ma molto amato dagli/dalle adolescenti e dall’airplay radiofonico (massicce le vendite di nomi quali Puddle of Mudd, Collective Soul, Creed, Bush, Calling…).

In questo lavoro dal vivo, acustico ma dai suoni pieni (il violino amplificato di Ryan Delahoussaye non fa rimpiangere l’elettrica), la band ha l’opportunità di uscire dal clichè del genere, riuscendovi solo parzialmente, giacchè l’assioma adolescente = introspettivo/disperato/esistenzialista/melodrammatico viene conservato nella totalità, primariamente a causa/merito delle corde vocali del leader Justin Furstenfeld, che rispondono appunto agli aggettivi precedenti. Nel male ma anche nel bene, perché piaceranno sicuramente a chi soffre di astinenza da Peter Gabriel/Genesis o Fish/Marillion, al punto che più che al post-grunge il disco in oggetto è assimilabile al neo-prog (tanto che non esiste un-assolo-uno in tutto il lavoro). A me è piaciuto, ed anche molto (ah, se solo potessi ridurre la verbosità del cantante, che non sta mai zitto per più di 20” e che fa sembrare i rappers degli allievi di Ungaretti…). Sarebbe anche mezzo voto in più ma, via, si tratta pur sempre di un best, sebbene live…

Preferite: Dirt Room, Picking Up Pieces, Come In Closer

Voto Microby: 7.8/10

giovedì 14 luglio 2011

I Doors: piccolo compendio di ascolto


Il nostro devoto fan springsteeniano Tone, lettore di questo blog dalla prima ora, mi chiede di spiegargli i Doors. Fosse facile. Si potrebbe andare a rivedersi il (brutto) film di Oliver Stone del 1991 o sicuramente meglio il documentario appena uscito "When you're strange"; oppure si potrebbe parlare del re lucertola, il mitico Jim Morrison, morto a 27 anni a Parigi in una vasca da bagno per cause mai del tutto chiare e sepolto al Pere Lachaise, meta di pellegrinaggi di vecchi e giovani fan (ricordi Cerebus quanto freddo abbiamo patito in quel capodanno di trent'anni fa?).
Sicuramente, tra il 1967 ed il 1973 sono stati il gruppo più importante della scena rock americana con tutto ciò che comportava esserlo in quegli anni: sesso, droga e rock'n'roll. Sono stati sicuramente il gruppo cantore della generazione flower-power (nata a Berkeley e dintorni) anzi, per essere più preciso, dei cosiddetti Yippies il cui obiettivo era quello di deridere la società per innescare una rivoluzione sociale permanente (in compagnia dei vari Jefferson Airplane, Country Joe & The Fish ed altri). Da ciò le esibizioni irriverenti, sarcastiche ed anticonformiste di Morrison e compagnia (con qualche effetto collaterale...vedi foto segnaletica dopo un suo arresto per oscenità in pubblico). Musicalmente rappresentano una delle pietre angolari del rock così come Hendrix, Dylan, Springsteen, Presley, Waits, ecc ecc.
Troppo da dire, troppo da scrivere. La cosa migliore è affidarsi alla scelta delle canzoni, quelle che non devono mancare in ogni playlist.
Break On Through (The Doors, 1967): il 1967 è stato l'anno del loro debutto e questo brano è il primo pezzo dell'album. Morrison canta, urla, grugnisce, insomma un casino tremendo. Il rock sta cambiando.
Light My fire (The Doors, 1967). Primo Hit dei gruppo. Si dice che Morrison la detestasse, da buon anticonformista. Magari era perchè non l'aveva scritta lui, ma Robbie Krieger.
The End (The Doors, 1967). Dodici minuti di emozioni. Impossibile non associarla a Apocalypse Now di Coppola, quando Willard entra nella camera del colonnello Kurtz e lo uccide a colpi di macete.
Love me two times (Strange Days, 1967). Altro pezzo di Krieger. Altra grande hit.
Hello I Love you (Waiting for the sun, 1968). Morrison è sempre più in preda all'alcool ed alle droghe: l'ispirazione non arriva. Il gruppo ripesca allora questa canzone da un vecchio demo di 3 anni prima. Subito al numero 1 in classifica.
Riders on the Storm (L.A. Woman, 1971). L'ultimo registrato da Morrison prima di morire. Manzarek con le sue tastiere illumina il brano.
Roadhouse Blues (An American Prayer, 1978). Era su Morrison Hotel del 1970 ma questa versione con l'annuncio iniziale "Ladies and gentlemen, from Los Angeles, California, The Doors!" è entrata nel mito.

La storia dei Doors è stata brevissima, ma di enorme impatto nella storia della musica. In quei poche anni Jim Morrison bruciò tutto se stesso e si consegnò per sempre al mito.

Best from Italy.... primo semestre 2011


Su queste pagine non è che si parli molto di musica italiana anche perchè:
1. non è facile trovare qualcosa di veramente interessante
2. gli artisti da considerare o li ascolti per caso in qualche concerto oppure sono fuori dal giro radio/riviste/video ecc. (anche se questo non è necessariamente un problema)
3. i rockettari di quarta segata, come sapete, non mi vanno
4. anche i finti etnici (es. Modena City Ramblers) mi fanno dormire
5. i vari reduci da XFactor o cose del genere li scarto per principio.

La mia lista è quindi sicuramente inadeguata ma qualcosa di veramente buono si può trovare.

Cristina Donà - Torno a casa a piedi (è la nostra PJ Harvey....un disco stupendo!)
Davide Van De Sfroos - Yanez (il disco della maturità e del successo)
Susanna Parigi - La lingua segreta delle donne (ha suonato con Pat Metheny, Noa e Tony Levin: brava brava brava...)
Alvise Bortolini - Mi ritrovo in te (sembra di sentire Michael Franks)
Beppe Donadio - Figurine (ho un debole per lui; è della mia città (Brescia), fa musica semplice, sicuramente molto pop ma il brano eseguito insieme a Concato è un capolavoro).

martedì 12 luglio 2011

LE DELUSIONI DEL PRIMO SEMESTRE

Insieme alle pagelle ai primi della classe, mi pare giusto appiccicare le orecchie agli asini (a mio parere) del primo semestre, scelti tra gli Artisti da cui è lecito aspettarsi di più di quanto licenziato quest'anno. Non a caso nessuno dei seguenti, nonostante alcuni fuoriclasse e la ovvia soggettività di giudizio, è finito nella "sporca dozzina" dei migliori...

I miei "asnù" del semestre sono:

  • BEN HARPER (2011) Give Till It’s Gone (Rumoroso, confuso, disomogeneo, poco ispirato; sembra un disco di B-Sides. Il suo peggior lavoro) 6/10 di stima

  • GUILLEMOTS (2011) Walk The River (Pop enfatico e magniloquente, tra la new wave di Simple Minds/Duran Duran e il suono FM di Keane/Muse) 6.3/10

  • ARCHITECTURE IN HELSINKI (2011) Moment Bends (Crollo verticale per la band di Melbourne, ora dedita ad un risaputo pop elettronico tra Culture Club, Lotus Eaters e i peggiori Cars) 5.8/10

  • EDDIE VEDDER (2011) Ukulele Songs (Il leader dei Pearl Jam in un lavoro solista ancora più scarno del precedente Into The Wild (solo voce, al solito splendida, ed appunto ukulele): poco più che un divertissement, ed a tratti noioso) 6.4/10

  • RADIOHEAD (2011) The King Of Limbs (Finalmente un disco dei Radiohead “prescindibile”! Non aggiunge nulla a quanto già fatto finora, sembra anzi un lavoro di outtakes che naviga tra Amnesiac, Hail To The Thief e The Eraser, l’album-solo di Thom Yorke) 6.7/10

  • WHITE LIES (2011) Ritual (New wave inglese anni ’80, vedi The Sound/Chameleons/Simple Mids/Depeche Mode, o gli attuali altri cloni Editors/Interpol, senza alcuna originalità. Da 8/10 negli eighties, inutili –ma orecchiabili, radiofonici con estetica da stadio—ora) 6.7/10

    aggiornato con i miei..(LucaF)
    Cake - Show room of compassion (come sono lontani i tempi di Fashion Nugget...)
    Teddy Thompson - Belle (mamma mia che delusione; suo padre Richard si vergognerà)
    Aaron Neville - I Know i've been changed (Il titolo dice già tutto)
    Cornershop & the Double-O Groove of (forse uno dei dischi più pallosi della storia)
    K.D. Lang - Sing it loud (più una delusione per quello che mi aspettavo)
    Vines - Future Primitive (ormai non ne azzeccano più una)

Quella sporca dozzina...i migliori dei primi 6 mesi.


Ecco i principali contributi (mamma mia quanto sono pigri i co-bloggers....) da cui ho estratto i 12 migliori (in base al numero di segnalazioni). L'ordine non riflette necessariamente le preferenze (a parte per microby):

per LucaF:
Amos Lee - Mission bell
Beady Eye - Different gear, still speeding
Bon Iver - Bon Iver
Buffalo Tom - Skins
Elbow - Build a Rocket Boys!
Gillian Welch - The Harrow & the Harvest
Jason Isbell - Here We Rest
Joan as Police Woman - The deep field
Okkervil River - I am very far
The Vaccines - What did you expect...
Van Der Graaf Generator - A grounding in numbers
Warren Haynes - Man in motion

per Fabius:
Amos Lee - Mission bell
Elbow - Build a Rocket Boys!
Danny Click - Life is a good place
Jazskin, Fripp & Collins - A scarcity of miracles
Fleet Foxes - Helplessness blues
Okkervil River - I am very far
White Denim - D
The Leisure Society - Into the Murky Water
Christopher Cross - Doctor faith
Karen Ann - 101
James Maddock - Wake up and dream
Low Anthem - Smart flesh

per Microby:
Fleet Foxes - Helplessness blues
PJ Harvey - Let England shake
The leisure Society - Into the murky water
Warren Haynes - Man in motion
Black Joe Louis - Scandalous
The Unthanks - Last
Selah Sue - Selah Sue
Charles Bradley - No time for dreaming
The Head & the Heart - The Head & the Heart
Social Distortion - Hard times and nursery Rhymes
Joan as Police Woman - The deep field
Tedeschi Trucks Band - Revelator

per Cerebus64:
Arctic Monkeys - Suck it and see

per Anonimo
PJ Harvey - Let England Shake
Tune Yards - Who kill
Over The Rhine - The long surrender
Gillan Welch - The Harrow & the Harvest
Bon Iver - Bon Iver
Raphael Saadiq - Stone rollin'
Hey Rosetta - Seeds
Fleet Foxes - Helplessness blues
Josh T Pearson - Last of the country gentlemen
Anna Calvi- Anna Calvi
Buffalo Tom - Skins
Phoenix Foundation - Buffalo

lunedì 11 luglio 2011

MEMORIES OF MACHINES (2011) Warm Winter


Fondata nel 2006 con l’unione degli intenti di Tim Bowness, a fine eighties co-leader dei No-Man insieme a Steven Wilson pre-Porcupine Tree, e del romano Giancarlo Erra, titolare del gruppo prog/art-rock NoSound, giunge solo ora all’esordio su disco la ragione sociale “Memories of Machines”. Per buona parte a causa della cura maniacale di ogni singolo aspetto della produzione dell’album da parte di Bowness (d’altra parte Wilson non era/è da meno…).
Ne risulta un lavoro raffinatissimo, etereo, agrodolce, elegante e limpido nei suoni, che rimanda alla lezione dei Pink Floyd più sognanti, dei Bark Psychosis e L’Altra più dolci/malinconici, ma essenzialmente al “quasi” gruppo-madre Porcupine Tree, ma senza le sue implo/esplosioni e la sua tensione, ma soprattutto senza il genio di Steven Wilson.
Impreziosiscono (in modo incisivo) il disco ospiti del calibro di Peter Hammill, Robert Fripp, Colin Edwin e Steven Wilson (il suo assolo di chitarra in Lucky You Lucky Me è ironicamente più frippiano del pur presente Fripp).

Preferite: Before We Fall, Warm Winter, Change Me Once Again

Voto Microby: 7.2/10

giovedì 7 luglio 2011

Colosseum in concerto, Soiano, 6 luglio 2011


Operazione nostalgia continua. Ormai l'Italia è (finalmente) meta tradizionale di molti degli artisti che erano simbolo del rock primi anni 70. I Colosseum ne rappresentano una delle icone più qualitativamente quotate: Dick Heckstall-Smith (quello che aveva inventato lo strano modo di suonare contemporaneamente due sax) è morto nel 2004 ed è stato sostituito dalla brillante Barbara Thompson, moglie del leader e batterista Jon Hiseman. Ma gli altri ci sono, in quella che è la line-up storica del periodo da Daughter of Time in poi: ad iniziare da Chris Farlowe, invecchiato e ingobbito, ma dalla voce ancora impressionante, Dave Greenslade, maestro tessitore delle tastiere hammond, Mark Clarke, bassista virtuoso, Dave "Clem" Clempson chitarrista sempre ispirato e con il blues nel sangue ma soprattutto il grande Jon Hiseman, batterista semplicemente fantastico ed ancora in forma eccezionale (un assolo di quasi 15 minuti alla batteria, voglio vedere chi lo potrebbe fare alla sua età...). I brani sono soprattutto quelli del classico album "Colosseum Live": Come right back, Morning Story, Theme for an imaginary Western, Stormy monday blues, Walking in the park, la bellissima Tomorrows blues, la classica Valentyne Suite e la scatenata Lost Angeles.
Un concerto di sorprendente qualità e di insospettata energia.

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