giovedì 25 aprile 2013

MINIRECENSIONI: Laura Mvula, Kurt Vile, BRMC, Mister and Mississippi, Low

  • LAURA MVULA (2013) Sing To The Moon
  • Esordio sorprendente quello della 26enne inglese di colore: proveniente da studi classici, il suo è un soul-pop orchestrale cui non sono estranee influenze gospel e jazz, ma anche le lezioni della Joan Armatrading acustica, del nu-soul di Erikah Badu, della Joni Mitchell orchestrale, e soprattutto della poliedrica e geniale Me’Shell Ndegeocello. Forse un po’ troppo seriosa negli arrangiamenti musicali (l’ironia, perfino il sarcasmo sono affidati solo a liriche acute, personali), tanto che per AMG è “more admirable than enjoyable”, è tuttavia un artista originale e di assoluto talento, le cui potenzialità illuminano un futuro da protagonista. 7.8/10

  • KURT VILE (2013) Wakin On A Pretty Daze
  • Quinto album per l’atipico cantautore di Philadelphia, ex co-leader dei The War On Drugs, che nel nuovo lavoro espande il suo amore per la psichedelia elettroacustica ed acidula alla Robyn Hitchcock, con omaggi al Neil Young onirico-elettrico, in composizioni lisergiche dilatate tra i 7 e i 10 minuti ma sempre sotto il controllo di un pop che sa essere anche radiofonico nei brani più brevi. 7.4/10
  • BLACK REBEL MOTORCYCLE CLUB (2013) Specter At The Feast
  • Sarà perchè ha sentito nell’aria il ritorno sulle scene dei My Bloody Valentine, di fatto il trio newyorkese si allontana dal rock velvetiano/garage che lo caratterizza, sposando invece lo shoegaze contaminato col dream pop e la psichedelia, proponendo suoni saturi ed elettrici, ed alternando la scaletta tra brani aggressivi ed altri onirici, in odore di U2 desertici. Il tutto scritto ed eseguito, se non con originalità,  con grande perizia. 7.5/10
  • MISTER AND MISSISSIPPI (2013) Mister And Mississippi
  • Il giovane quartetto olandese (compagni di studio ad Utrecht) esordisce con un album folk semiamplificato che rimanda esplicitamente a Fleet Foxes e Bon Iver, ma anche all’alt.country dei Cowboy Junkies (forse per via delle 2 voci maschile/femminile che si alternano/incrociano con grazia sussurrata). E lo fa inserendosi con pieno diritto nel gruppo dei migliori followers, e con potenzialità tutte da scoprire. 7.8/10
  • LOW (2013) The Invisible Way
  • Dopo vent’anni da campioni dello slowcore/sadcore gli americani si cimentano nel primo sforzo acustico, prodotto dal Wilco Jeff Tweedy, ma non tradiscono la propensione a brani malinconici ed ipnotici, su architetture scarne ed essenziali (a volte troppo) di chitarra-piano-batteria ad avvolgere le voci di Mimi Parker e Alan Sparhawk. Meglio a spina attaccata. 7.1/10

sabato 13 aprile 2013

Woodkid - The Golden Age (2013)



Il francese Yoanne Lemoine (aka Woodkid) ha sempre fatto il regista di video pubblicitari (Vogue, Lipton o per la campagna antiAIDS) e musicali (The Shoes, Lana Del Rey, Moby, Katy Perry) e probabilmente la sua ambiziosa ispirazione artistica non riusciva ad essere limitata nella visionaria genialità così magistralmente espressa in questi piccoli capolavori (non raramente pochi minuti di filmato fanno più arte di 2 ore di un film tradizionale). Ecco allora questo suo primo disco in cui i cicli tonici di Michael Nyman si fondono con il modernismo elettronico di Iron & Wine, le cavalcate pianistiche di Sufjan Stevens sfumano nelle esplosioni orchestrali di Hans Zimmer e Philip Glass. E poi la sua voce:  non è difficile apprezzare il rimando ad un lirismo alla Antony Hegarty (Antony and the Johnsons) modulato con l'eleganza di Bryan Ferry o Boz Scaggs. Da segnalare sopra ogni cosa i brani "I Love you", sicuramente il più elegantemente vicino a un singolo da classifica, il church-pop di "Stabat Mater", le nymaniane "Iron", "Run Boy Run" e "Where I leave".  Un disco brillante, sofisticato, che esprime un talento assoluto. Se non comicia a a rimirarsi troppo allo specchio (è francese, ricordiamolo) la sua genialità ci stregherà anche in futuro.  Voto ★★★

Le 50 scene più commoventi del cinema.

Da "Il post.it", segnalo questo mix piacevole e commovente: ancora oggi a rivedere alcuni spezzoni ti si spezza il cuore.


mercoledì 10 aprile 2013

MINIRECENSIONI: Jimi Hendrix, Eric Burdon, Devendra Banhart, Cocorosie, My Bloody Valentine

  • JIMI HENDRIX (2013) People, Hell And Angels
  • La pubblicazione di un disco di inediti risalenti al 1968-1969 ci mostra la direzione presa dal più grande chitarrista di sempre dopo la separazione dagli Experience Noel Redding e Mitch Mitchell, con Jimi dagli esordi, e qui già sostituiti dai nuovi sodali Billy Cox al basso e Buddy Miles alla batteria. L’eccellente qualità di registrazione è superiore a quella compositiva, ferma a un repertorio rock, blues, R’n’R, boogie nobilitato solo da chitarra e voce di caratura superiore. 7.1/10

  • ERIC BURDON (2013) ‘Til Your River Runs Dry
  • Ingiustamente ricordato soprattutto come frontman degli Animals, il 72enne vocalist inglese bianco ma “black painted” è invece titolare di una lunga carriera solistica impreziosita da almeno un paio di capolavori e che, dopo un appannamento negli anni ’80-’90, lo ripropone in recente ascesa qualitativa. Lo dimostra l’ultima fatica in cui, tra rock mainstream, anima blues, soul nerissimi ma soprattutto una generale atmosfera calda, malata, sudaticcia, indolente da delta del Mississippi il nostro sottolinea che solo per sbaglio non è nato a New Orleans e cresciuto a fianco di Dr. John, Allen Toussaint e Neville Brothers. Tra i suoi albums migliori. 8.2/10
  • DEVENDRA BANHART (2013) Mala
  • Il solito psych-folk acustico, scarno, essenziale, lo-fi, giusto screziato da una quantità omeopatica di elettronica (sola novità, di scarso rilievo). Vero che DB con una proposta musicale unica per originalità si è ritagliato un posto tra i grandi sia della neo-psichedelia, sia del neo-folk, sia del neo-cantautorato intimista. Vero anche che non riesce/non vuole, dopo 8 albums, uscire dal suo cliché, agli esordi assai più ispirato. Sarebbe gradito un rinnovamento, in qualunque direzione. 6.9/10
  • COCOROSIE (2013) Tales of a Grass Widow
  • Le sorelle cherokee Bianca “Coco” e Sierra “Rosie” Casady sposano un’elettronica lieve, aggraziata, umana, che poco si discosta dall’utilizzo di carillions e giocattolini vari utilizzati fin dagli esordi folk lo-fi. Continuano ad essere immediatamente riconoscibili con le loro voci infantili, pur in un collage che stringe patti tra il rap lieve e lo spleen di Antony Hegarty, il folk innocente e l’astrazione di Bjork. Ma non possiedono più l’ispirazione ingenua dei primi due lavori, soprattutto nella seconda parte dell’album. 6.9/10
  • MY BLOODY VALENTINE (2013) mbv
  • Il ritorno dopo 22 anni di silenzio dei padri dello shoegaze e del dream pop solleva grandi curiosità ed interesse, ma non sorprende artisticamente in quanto non sposta di una virgola l’asse musicale, fermo al capolavoro Loveless del 1991. Certo viene dai maestri del genere, ma chi non ha amato i suoni di chitarra saturi e distorti a sporcare melodie pop solo sussurrate, non lo farà ora di fronte ad una proposta ormai sdoganata da 25 anni. Chi già li adorava ha nuovo materiale (su vecchie idee) di cui godere. Il voto è di stima. 7/10

giovedì 4 aprile 2013

RICHARD THOMPSON (2013) Electric

Non tragga in inganno il titolo, chè l’ultimo degli oltre venti albums da solista dell’ex leader dei Fairport Convention non è né più, né meno elettrico dei precedenti, né se ne distacca sensibilmente per ispirazione, al solito sincretica tra la tradizione popolare UK e USA, della quale è stato pioniere ed alfiere.
Come intuibile, là dove emerge l’anima folk prevale l’impiego del violino, che sia al servizio di ballads english-folk (Another Small Thing In Her Favour, The Snow Goose, I Found A Stray) o di folk-rock Fairport-style (Stuck On The Treadmill, The Rival ed i bonus tracks della Deluxe Edition), o di brani country (Where’s Home, Saving The Good Stuff For You) o perfino cajun (Will You Dance, Charlie Boy).
Ma è quando ha il sopravvento il cuore rock che il grande chitarrista acustico ed elettrico (è al 69° posto nella Classifica dei migliori chitarristi di sempre secondo Rolling Stone) esprime il meglio di sé, giocando con la solita maestria tra timbro vocale e note di chitarra Stratocaster medio-bassi, con la ritmica più sporca/ombrosa e la solista più liquida e cristallina, su scale pentatoniche di tradizione blues e con la tecnica del pick & finger per cui è noto.
Il risultato finale come al solito non delude, anzi arricchisce un prestigioso curriculum nel quale restano tuttavia insuperati i  capolavori in coppia con la moglie Linda, I Want To See The Bright Lights Tonight (1974) e Shoot Out The Lights (1982), ma anche Hand of Kindness (1983), Rumor and Sigh (1991) ed il penultimo Dream Attic (2010).

Preferite: Good Things Happen To Bad People, My Enemy, Stuck On The Treadmill

Voto Microby: 7.5/10

lunedì 1 aprile 2013

Recensioni al volo: Assembly of Dust, Heidi Talbot, Josh Rouse


Assembly of Dust - Sun Shot (2013)
Il gruppo nasce dopo che Raid Genauer lascia gli Strangefolk, una jam band di discreto successo negli USA. Questo nuovo progetto appare sin dagli inizi sicuramente originale: l'idea è quella di assemblare una serie di musicisti, facendoli suonare ciascuno a casa propria ma fondendo i vari strumenti e le parti vocali tramite Web-Streaming. Nel 2009 riescono a mettere insieme tra gli altri Richie Havens, Bela Fleck, David Grisman e Mike Gordon (Phish) e pubblicano un discreto lavoro ("Some Assembly Required"). Stavolta (sono al 4° lavoro) se ne sono inventata un'altra: hanno raccolto 25000$ direttamente da donazioni dei fan (ricambiati con chiamate telefoniche di buon compleanno da Genauer stesso, serate itineranti a casa dei fan con degustazioni di whisky o opportunità di richiedere una canzone ispirata alla vita del fan stesso o di qualcuno a loro caro). E la musica? Armonie vocali e arrangiamenti acustici conditi con Hammond e chitarre steel, per un genere alt-country, che rimandano decisamente alle cose migliori dei Phish. Un disco che ci presenta un gruppo di enorme potenziale. Voto ★★★

Heidi Talbot - Angels without Wings (2013)
Cosa ti puoi aspettare da un'irlandese emigrata a Nashville e ultimamente trasferitasi in Scozia (per amore, essendosi sposata il suo violinista John McCusker)? Ovviamente  fisarmoniche, banjo, viole, dobro, violini secondo un folk tradizionale innestato su ritmi country. Se poi aggiungete il contributo di Mark Knopfler, tra gli eroi indiscussi di questo blog (a proposito chi viene con me e Andrea a Londra a fine maggio per il suo concerto alla Royal Albert Hall?), di Tim O'Brien e Jerry Douglas, due tra i migliori esponenti del bluegrass più solido, quello che ne risulta è un bel mix armonioso tra genere Americana e Celtic con echi Cajun e country-pop. Un disco squisito, che consiglio a tutti di ascoltare. Voto ★★★


Josh Rouse - The Happiness Walts (2013)
JR è sicuramente tra i migliori esponenti del folk-pop più moderno: in questo lavoro ha lasciato da parte i ritmi spanglish degli ultimi lavori per tornare a essere sempre quell'artista caldo, gentile, accogliente, che abbiamo sempre apprezzato. L'unica pecca è di essere forse un pò troppo ad alto tasso glicemico, ma comunque va bene lo stesso: c'è il tempo per Nick Cave e c'è anche quello per Josh Rouse. Il disco era già stato introdotto qualche giorno fa da Andrea il quale aveva perfettamente colpito nel segno: da ascoltare con una bella birra in mano in una sera di primavera (ormai non possiamo pretendere altro). Voto ★★★1/2

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