martedì 30 settembre 2014

Marley

anno: 2012   
regia: MacDONALD, KEVIN
genere: documentario
con Bob Marley, Ziggy Marley, Jimmy Cliff, Rita Marley, Cedella Marley, Lee Perry, Chris Blackwell, Bunny Wailer, Cindy Breakspeare, Lee Jaffe, Peter Marley, Judy Mowatt, Pascaline Bongo Ondimba, The Wailers, Neville Garrick, Constance Marley, Carlton Fraser, Diane Jobson, Danny Sims, Marcia Griffiths, Aston Barrett, Nancy Burke, Desmond Smith, Ibis Pitts, Evelyn Higgin, Allan Cole, Donald Kinsey, Eddie Sims, Tony Welch, Imogene Wallace, Junior Marvin, Margaret James, Dudley Sibley, Clive Chin, Derek Higgin, Hugh Creek Peart, Lloyd McDonald, Conroy Cooper, Alvin Patterson, Carlton Davis, Waltraud Ullrich, Dennis Thompson
location: Giamaica, Regno Unito, Rhodesia, Usa, Zimbabwe
voto: 5

La vita e il mito di Bob Marley, il più noto musicista della storia del reggae, rivive in questo documentario decisamente filologico di Kevin MacDonald, che già aveva dato buone prova delle sue capacità di ricostruzione biografica raccontando sia la vicenda della scalata andina sulle vette peruviane (La morte sospesa) che la parabola del feroce dittatore ugandese Amin Dada (L'ultimo re di Scozia).
Con rigore cronologico e senza grande inventiva, allo spettatore vengono qui snocciolate una dopo l'altra le tappe della vita di Robert Nesta Marley, giamaicano nato nel 1945 da una madre nera e un padre bianco del quale si persero immediatamente le tracce. La povertà, i primi lavori faticosi e l'amore per la musica ne segnarono l'infanzia e l'adolescenza, fino a quando, con Simmer down, non arrivò il primo successo discografico, nel 1964. Gran parte del resto del racconto trascorre dando forma ad aneddoti ben noti a chi conosce l'abbecedario marleyano: il rastafarianesimo - un miscuglio di nazionalismo, cristianesimo e rivendicazione dell'affrancamento dei neri della schiavitù e di ritorno nell'Africa -, il fumo di erba, i dreadlocks (la chioma tipicamente rasta), l'amicizia carica di rivalità con Peter Tosh, l'innumerevole numero di donne (dalle quali ebbe ben 11 figli), la passione smodata per il calcio giocato e la disciplina del corpo, l'impatto sulla vita politica nazionale (ma lui si guardò bene dal prendere una posizione), che fu anche causa dell'attentato che subì, fino al trasferimento a Londra e gli stadi pieni. Poi arrivò la morte, precocissima, a soli 36 anni, conseguenza di un melanoma che ne distrusse il corpo.
In sé, il documentario resta per intero nel recinto del compitino svolto col minimo impegno sindacale: tante testimonianze (i suoi ex Wailers, i figli, le mogli, tra le quali una che fu eletta miss mondo), una manciata di riprese di repertorio, moltissime foto di incantevole bellezza e ovviamente tanta musica. Ma, nel complesso, si tratta di un'operazione senza sforzi, che non riuscirà ad attrarre quella fetta di pubblico non interessata al personaggio che, con Usain Bolt, è stato l'uomo più famoso di Giamaica di tutti i tempi. Ma la ricostruzione del mito relativo alla nascita del reggae e dei suoi riff chitarristici, da sola, vale la visione. Ne avrete una sorpresa! Dopo Marley, la musica non sarebbe stata più la stessa.   

domenica 28 settembre 2014

Recensioni al volo: John Mellencamp, Leonard Cohen, Joe Bonamassa

JOHN MELLENCAMP - Plain Spoken (2014)
A due mesi dall’uscita di “Trouble No More Live at Town Hall”, primo disco dal vivo mai pubblicato in carriera, JM ha digerito il divorzio e la successiva relazione con Meg Ryan (invidia, che brutta cosa) e ha messo insieme una decina di canzoni. Il suono è il suo rock classico, senza esagerati riferimenti alle tradizioni di blues o folk arcaici ma sicuramente vicino a dischi roots. Nel disco si alternano le sue ballate tradizionalmente lente e pigre accanto a ritmi più mossi con chitarrona e armonica a farla da padrone. Il coguaro è tornato. I brani migliori: Troubled Man, The Courtesy of Kings. Voto: ☆☆☆1/2

LEONARD COHEN - Popular problems (2014)
Curioso il fatto che a distanza di pochi giorni escano i dischi di papà Leonard e figlio Adam. Leonard ha compiuto da poco 80 anni e festeggia con noi con il solito pugno di canzoni/poesie in cui alterna ballate nostalgiche (“Almost like a Blues”) a temi rabbiosi con tragici riferimenti all’attualità (“A Street” sull’11 settembre, “Samson in New Orleans” sull’uragano Kathrina) fino a gospel sacri (“Born in Chains”) o marcette arabeggianti (“Nevermind”). Ennesimo disco creativo e innovativo, magari non propriamente gioioso, ma è così che sono i “problemi popolari”. Happy Birthday, mr. Cohen. Brano migliore: Almost Like The Blues. Voto: ☆☆☆1/2

JOE BONAMASSA - Different Shades of Blue (2014)
Ancora un disco!?! Ovvia reazione visto che negli ultimi due anni, dopo l’ultimo album in studio (“Driving towards daylight”) del 2012, sono usciti due lavori (uno in studio e l’altro dal vivo) con Beth Hart, il disco con i Black Heart Communion, le collaborazioni con i Rock Candy Funk Party, i concerti su DVD della serie Tour de force e il disco dal vivo con la Vienna Opera House. Praticamente un incubo per collezionisti ed estimatori. Quest’ultimo disco presenta la novità della presenza di fiati (retaggio della proficua collaborazione con Beth Hart) al fine di dare un ulteriore rinforzo alla sua impronta soul. Quello che non manca mai è il rock-blues suonato con la proverbiale classe e potenza.

Disco solido e convincente, che conferma JB come uno dei migliori chitarristi della musica rock attuale. Brani migliori: Love Ain't A Love Song, Different Shades Of Blue. Voto: ☆☆☆1/2

sabato 27 settembre 2014

Claudio Lolli, salvarsi la vita con la musica

anno: 2002   
regia: MANZONE, SALVO    
genere: documentario    
con Claudio Lolli, Paolo Capodacqua, Francesco Guccini, Rambaldo Degli Azzoni, Cesare De Michelis, Fulvio Abbate, Pino Marino    
location: Italia
voto: 7,5

La presenza ai microfoni di Radio Città di Bologna, un'emittente locale emiliana, è l'occasione per raccontare, ma soprattutto per farsi raccontare, una carriera costantemente "dalla parte del torto": quella di Claudio Lolli, bolognese, cantautore per caso, assurto a fama nazionale grazie a un disco capolavoro in forma di suite intitolato Ho visto anche degli zingari felici, ma al tempo stesso autore di canzoni capaci di tenere insieme poesia e critica sociale, con qualche occasionale incursione sui territori amorosi. Nell'ora di documentario che Salvo Manzone dedica a Lolli abbiamo l'occasione per scoprire qualcosa della vita e della scelte di un personaggio sempre defilato, la sigaretta costantemente in mano, diventato padre piuttosto tardi e capace di reinventarsi un'altra professione, quella del professore di italiano e latino in un liceo felsineo, quando l'industria discografica gli aveva girato le spalle. Il ritratto di un uomo eccezionale, coerente, capace di pungente ironia, spesso diretta contro se stesso.

martedì 23 settembre 2014

ALT-J, NICOLE ATKINS, JOHN HIATT


ALT-J (2014) This Is All Yours
Molte le (personali) attese nei confronti del secondo album del quartetto (ora trio) pop britannico, dopo che l’esordio An Awesome Wave era stato mio disco dell’anno nel 2012. I ragazzi dimostrano ancora una classe superiore rispetto alla media, pur rimescolando le carte rispetto a quanto fatto finora. Già l’incipit (Intro, appunto) del nuovo lavoro esprime originalità assoluta, mischiando melodie pop a cappella con ritmi sincopati, dub e voce filtrata; ai primi ascolti si solleva qualche perplessità, ma ne occorrono parecchi perché l’album piaccia definitivamente, convincendo anche se con qualche ombra. Sarà che ora manca l’effetto-sorpresa, ma rispetto al debutto vi è meno immediatezza pop e coesione tra i brani, nonostante la release rappresenti un concept. Certo quanto proposto è unico, per scrittura, soluzioni melodiche ed arrangiamenti, rispetto a quanto si ascolta in giro. Che i tre genietti stiano inventando il prog 2.0? Aspettiamo il terzo disco per confermare i nostri nell’Olimpo, ma già ora sono semidei.
Voto Microby: 8
Preferite: Nara, Bloodflood Pt. II, Intro
NICOLE ATKINS (2014) Slow Phaser
Terzo album per l’americana: bella presenza, voce potente e versatile, scrittura brillante, territori battuti quelli di un pop catchy, radiofonico. Non le manca nulla per l’assalto alle classifiche. Forse due caratteristiche lo impediscono (per ora): musicalmente, la varietà dei generi (sembra uno strano ibrido tra Nelly Furtado, le Bangles e Shivaree, con richiami al pop-country più mainstream anni ’70, vedi Linda Ronstadt e Karla Bonoff; ma non mancano cori alla Jesus Christ Superstar e un synth da Genesis ’80 post-Gabriel), che la rende poco catalogabile, quindi di difficile scelta per le radio di settore. Seconda: i testi non proprio politically correct (My god is a holy shit / my god is a son of bitch, per dirne una…). Ma in auto si ascolta che è un piacere, e la varietà, freschezza, orecchiabilità dei brani stimola il repeat
Voto Microby: 7.6
Preferite: Who Killed The Moonlight, Cool People, The Worst Hangover

JOHN HIATT (2014) Terms of My Surrender
Il blues ha sempre fatto parte del background del grande singer-songwriter di Indianapolis, ma mai come in quest’ultimo album è stato l’humus centrale del lavoro. I puristi delle 12 battute lo troveranno solo marginale, ma chi segue Hiatt lo percepirà in ogni piega rock, folk, gospel, in una forma rurale che ricorda un gruppo di amici che si trova per suonare insieme. Spontaneità e produzione asciutta rappresentano insieme il pregio ed il limite del disco, che si fa apprezzare senza entusiasmare. In una discografia in cui abbondano i lavori eccellenti, l’attuale appare prescindibile.
Voto Microby: 7.2
Preferite: Long Time Comin’, Old People, Nothin’ I Love


sabato 20 settembre 2014

Recensioni al volo: Jon Allen, The New Pornographers

JON ALLEN - Deep River (2014)
Folksinger inglese, al terzo disco, costruisce melodie evocative che spaziano verso il country-soul (“Falling Back”) accanto a tenui ballate acustiche (“Night and Day”) alla David Grey o fraseggi blues al modo di Damien Rice o del primo Peter Green.
Album forse un pò ripetitivo ma complessivamente ben equilibrato e piacevole. Voto: ☆☆☆1/2



THE NEW PORNOGRAPHERS - Brill Bruisers (2014) 
Gruppo canadese, nato come una sorta di supergruppo, con Neko Case alla voce, John Collins (Destroyer) al basso, Kathryn Calder (tastiere, chitarra, voce), Dan Bejar (Destroyer, Swan Lake), A.C. Newman (chitarra), Kurt Dahle (batteria) è ormai al 6° album ed al 14° anno di attività. Un album ricco di vita e di talento, emblema di quella rinascita per le produzioni indie-pop più moderne, ricche di sonorità robuste ed equilibrate. Riferimenti: Morrissey, Jeff Lynne. Voto: ☆☆☆1/2

 

giovedì 18 settembre 2014

Recensioni al volo: Kris Delmhorst, Gaslight Anthem, U2.

KRIS DELMHORST - Blood Test (2014)
Nativa di Brooklyn ma residente a Boston, dopo una preparazione in violoncello classico, abbandona la musica “colta” per unirsi a bande jazz e folk della sua zona, imparando a suonare la chitarra.  Nel 1998 pubblica il suo primo album “Appetite” e a quell’album ne seguono altri, con sempre maggiore interesse nel mondo country-folk dell’East-Coast. In questi 20 anni, collabora attivamente suonando o cantando in più di 50 album, tra cui quelli di Peter Wolf, Chris Smither, Anders Parker e Mary Gauthier.
In questo suo settimo lavoro, prodotto dall’amico Anders Parker, KD mostra la sua musicalità lenta e malinconica, ma anche ruvida e imprevedibile; un album che cresce ascolto dopo ascolto e che offre varie tonalità di folk e americana, dal country-blues acustico al pop-rock. Riferimenti: Lisa Loeb, Lisa Cantrell, KT Tunstall. Voto: ☆☆☆☆
GASLIGHT ANTHEM - Get Hurt (2014)
Il loro disco del 2008 “The ’59 Sound” è sicuramente stato uno dei dischi migliori di quell’anno ma poi Brian Fallon e soci si sono persi un pò per strada: i successivi “American Slang” (praticamente un album punk) del 2010, “Handwritten” (pieno di clichés springsteeniani) del 2012 e la compilation B-Sides di inizio 2014 non hanno incantato, anzi.  Quest’ultimo disco vuole essere più appassionato dei precedenti: l’energia dei pezzi ricorda sempre quella di Springsteen e Tom Petty, con riffs muscolari che picchiano duro ed evolvono in atmosfere post-grunge o talvolta country-roots. Il rischio è tuttavia quello di perdere la propria identità: troppa forza non sempre corroborata da inventiva e genialità. A mio parere meglio dei precedenti ma molto distante ancora dallo stile dei tempi migliori. Voto: ☆☆
U2 - Songs of innocence (2014)

E’ inutile: avere alle spalle dei capolavori assoluti condiziona sempre il giudizio. Sarà vero anche questo ma il disco non convince: non si può pretendere da chi ha ormai alle spalle tanti anni di musica una continua evoluzione o addirittura una sperimentazione intelligente, ma tuttavia si spera sempre che gli U2 (DICO GLI U2) si elevino dalla media. Mojo e Rolling Stone lo hanno incensato ma io lo trovo un album senza dinamica, tecnicamente completo ma a lunghi tratti noioso. Per ascoltare come vorremmo fossero gli U2 fate come me: sentitevi i Black Keys. I brani migliori: “California (There Is No End to Love)” e “Iris (Hold Me Close)”. Voto: ☆☆

martedì 16 settembre 2014

JOSE' JAMES, RUN RIVER NORTH, ROBERT PLANT


JOSE' JAMES (2014) While You Were Sleeping
Spesso descritto come un cantante jazz per la generazione hip-hop, in realtà JJ è molto di più: se nei precedenti lavori poteva piacere singolarmente ai fans di jazz, o hip-hop, o nu-soul, o funk, o rock, in quest'ultimo album il 34enne di Minneapolis riesce a fondere con perizia tutte le esperienze pregresse. Il compito era molto difficile (perfino improbabile) ma è stato svolto con plauso, grazie ad una voce baritonale, sensuale, profondamente soul, ed al contributo di una band che lo ha assecondato con una chitarra hendrixiana (con tanto di distorsore wah-wah), un piano Rhodes jazzy, un basso funky, una batteria che fa da collante perfetto tra musica nera e bianca. Numi tutelari: Jimi Hendrix, Marvin Gaye, Terry Callier, Steely Dan, The Beauty Room. Gran bel disco.
Voto Microby: 8.2
Preferite: While You Were Sleeping, Angel, Anywhere U Go
RUN RIVER NORTH (2014) Run River North
Vista la latitanza musicale dei maestri del neo-folk Fleet Foxes e Mumford & Sons ci pensano i seguaci a farci ricordare quanto ci mancano. E fra questi, l’esordio del combo della San Fernando Valley (tutti nati in California ma da famiglie di immigrati dell’estremo oriente, come certificano i cognomi dei 6 membri: Hwang, Chong, Kang, Chae, Rim, Chun) è da mettere fra i migliori e più promettenti: il medesimo produttore (Phil Ek) di Fleet Foxes, Shins, Band of Horses, belle melodie e splendide armonie vocali per un indie-folk-pop che sembra scritto ed eseguito dai Mumford & Sons dopo essersi bagnati nel take it easy westcoastiano. E nonostante testi per nulla alla Beach Boys, ma che anzi sottolineano le difficoltà dell’american dream. Due soli i limiti di un lavoro piacevolissimo e che cresce ad ogni ascolto: l’eccessiva ricerca del coro anthemico da stadio e, da quanto detto, la (per ora) scarsa originalità. Ma i 6 californasiatici hanno parecchio tempo davanti a sé per confermare le eccellenti qualità già mostrate.
Voto Microby: 8
Preferite: Beetle, Fight To Keep, Run River Run
 

ROBERT PLANT (2014) Lullaby and...The Ceaseless Roar
Il membro più versatile dei Led Zeppelin non ci sta a godersi la pensione e continua le sue scorribande tra la musica della madrepatria Inghilterra e quella degli amati USA. Dopo il quasi-capolavoro The Band of Joy (mio disco dell'anno nel 2010), permeato di America, ora rivisita i suoni dell'Inghilterra del Sud ibridandone il folk con rock e world music (soprattutto maghrebina).
Non tragga in inganno la prepotente sezione ritmica, percussiva e tambureggiante, quasi tribale: il nuovo lavoro è meditabondo e riflessivo, la voce confidenziale e trattenuta. Siamo più dalle parti del Peter Gabriel-Real World o del Robbie Robertson-Native American che degli Zeppelin. Al primo ascolto sembra di poter parlare di capolavoro; repetita juvant e svelano un album buono ma non imperdibile: una produzione potente, suoni brillanti e musicisti eccellenti mascherano una scrittura non al top di un artista che da solista non ha sbagliato un colpo, e che comunque sbaraglia gli ex compagni di dirigibile.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Embrace Another Fall, Little Maggie, House of Love


giovedì 4 settembre 2014

Recensioni: Hurray for the Riff Raff, Eliza Gilkyson, Robert Ellis

HURRAY FOR THE RIFF RAFF - Small Town Heroes (2014)
Alynda Lee Segarra è una ragazza portoricana cresciuta nel Bronx e poi scappata di casa a 17 anni per saltare, con la sola chitarra come bagaglio, sui treni merci in giro per l’America.  Finisce a New Orleans dove si mette a suonare dal vivo con un gruppo di musicisti cui dà il nome, nome che vuole significare “evviva gli emarginati, i vagabondi, i reietti dalla società”. La sua musica è un folk da strada dove Gillian Welch si fonde con John Prine, sulle orme di quel genere Americana da battaglia, come solo Lucinda Williams e Mary Gauthier sanno fare. Non esattamente quello che ci si aspetta da un album nato a New Orleans: folk rurale, blues ma soprattutto country nelle sue accezioni più classicamente vicine al grande padre Woody Guthrie.  Voto: ☆☆☆☆

ELIZA GILKYSON - The Nocturne Diaries (2014)
EG, californiana ma texana di adozione, non è sicuramente una cantautrice alle prime armi: una ventina gli album incisi e da molti viene considerata una sorta di leggenda della musica country-folk. Convissuta per gran parte della sua vita con l’ingombrante figura paterna (il padre, ottimo compositore, ha scritto per Johnny Cash, Dean Martin e perfino White Stripes) prima di mettersi da sola ha suonato con gli Amazing Rhythm Aces, con Exene Cervenka (quella degli X) e addirittura con l’arpista svizzero Andreas Vollenweider.  In questo disco collaborano i suoi (e nostri) grandi amici John Gorka e Lucy Kaplanski. In questo disco, molto bello ed ispirato, sono contenute le sue tipiche ballate acustiche, dolci e tenui: “Canzoni per la notte”, per questa sorta di clone di Lucinda Williams con una voce però non stripped down ma calda ed equilibrata. Una cantautrice autentica, di grande talento. Da mettere sull’iPod: Not My Home, Eliza Jane, World Without End. Voto: ☆☆☆1/2

ROBERT ELLIS - The lights from the Chemical Plant (2014)

Texano residente a Nashville era evidentemente impossibile sfuggire alle atmosfere country-folk dei luoghi della sua vita. Al suo terzo album tributa gli onori ai suoi principali ispiratori: Paul Simon ("Still Crazy After All These Years”), Willie Nelson, James Taylor, Billy Joel, Rodney Crowell.  A questi aggiungerei anche Wilco, Jason Isbell, Ryan Adams ma soprattutto Randy Newman per lo spessore emotivo e creativo delle sue canzoni. Un album innovativo che oscilla tra folk e country rurale tradizionale, con contaminazioni honky tonk e spunti soul e jazz. Da downloadare: Chemical Plant, Still Crazy After All These Years, Only Lies. Voto: ☆☆☆☆

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