venerdì 17 ottobre 2014

Recensioni: Adam Cohen, Jackson Browne, Brigitte DeMeyer

ADAM COHEN - We go home (2014)
Non deve essere per niente facile confrontarsi con il padre, e anche per il sottoscritto è praticamente impossibile non pensarci. Peraltro in questo album Adam suona indubitatamente proprio come il padre che tra l’altro viene evocato in molte parti del lavoro con riferimenti biografici e personali. Nonostante quindi non cerchi più di tanto di nascondere il suo DNA, in quest’album, grazie anche alla collaborazione dell’amica Serena Ryder, il suo folk-rock impreziosito da ballate gospel cerca di trovare la sua strada.  Una serie di melodie nè stucchevoli nè inaccessibili in cui Adam dimostra un tentativo di imporre il proprio stile senza dimenticare l’ascendente genetico.
Riferimenti: Mumford & Sons. Brani migliori: Song of Me and You, We Go Home, So Much to Learn. Voto: ☆☆☆☆

JACKSON BROWNE - Standing on the breach (2014)
In piedi sulla breccia.  Chi se l’aspettava: lo stupendo disco doppio di sue cover (andatevi a ripescare la recensione) ci aveva fatto riandare nel passato e ci aveva confermato come la sua musica non avesse tempo e l’energia di nuovi interpreti è stata una ulteriore conferma della unica bellezza delle sue canzoni. Sicuramente il suo apice creativo risale a 40 anni fa, tra “Late for the Sky” ed il disco on the road “Running on empty”: da lì in poi dischi sempre di classe ma senza incantare mai.  Ed anche stavolta il timore, per lui come per tutti i grandi del passato, era quello di trovarsi di fronte ad un disco di declinante professionalità. Ebbene niente di tutto ciò: ballate dolci, malinconiche ma solide. Melodie lente ed intime. Disco bellissimo. Brani migliori: The Birds Of St. Marks, If I Could Be Anywhere. Voto: ☆☆☆☆

BRIGITTE DeMEYER - Savannah Road (2014)

Figlia di un marinaio belga sempre in giro per il mondo con la sua famiglia, poi stabilitasi e  cresciuta in California, ed è al 6° album in 13 anni di carriera. Ha una voce che ricorda quella di Sheryl Crow ed il suo genere mescola country e bluegrass al blues ed al soul.  Negli ultimi tempi fa da spalla nei concerti di Gregg Allman (mica male come biglietto da visita..). Riferimenti: Lyle Lovett. Brano migliore: Boy's Got Soul. Voto: ☆☆☆

1 commento:

microby ha detto...

JACKSON BROWNE: Album che mi ha colpito positivamente al primo ascolto ma che è cresciuto ben poco con i successivi. Fermo restando che non possiamo vivere nel ricordo della produzione dei '70, all'attuale preferisco i lavori degli anni '90 (I'm Alive, Looking East, ma anche The Naked Ride Home del 2002), non foss'altro perchè a Standing In The Breach manca un brano da pelle d'oca alla The Barricades of Heaven o Sky Blue and Black. E' vero che molti dei nuovi singer-songwriters stanno riscoprendo il cantautorato westcoastiano intimo ma impegnato in stile-JB, dopo la sbornia depressogena (ancorchè bellissima) dei filo-Nick Drake/Damien Rice, ma i brani che a me piacciono di più di quest'ultimo disco sono The Birds of St. Marks (scritto da JB nel 1969 e prettamente byrdsiano, con una melodia che ricorda Turn Turn Turn ed il jingle-jangle della Rickenbacker 12 corde) e Walls And Doors (che starebbe a pennello in mezzo a Late For The Sky e For Everyman, e per assurdo nemmeno scritto da JB bensì dal cubano Carlos Varela). Certo, il tutto col limite (della mia conoscenza dell'inglese) dei testi, che senza booklet decapitano il valore dell'album (come ascoltare Guccini o De Andrè senza poterne cogliere la poesia). Per me è sempre piacevole ascoltare JB, ma non mi sono spellato le mani come per i ritorni quest'anno di Tom Petty, o Leonard Cohen, o David Crosby.
Voto Microby: 7.2
Preferite: The Birds of St. Marks, Walls And Doors, Which Side

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