sabato 23 luglio 2016

STURGILL SIMPSON, BAND OF HORSES


STURGILL SIMPSON (2016) A Sailor's Guide To Earth




Pensare alla sezione fiati della Daptone Records (la più Stax/Motown attualmente in circolazione) prestata ad un bianchissimo country-singer fa pensare come minimo ad un pastrocchio. Invece il 38enne artista del Kentucky, partito dal bluegrass ed autore di altri due album prodotti da Dave Cobb e che hanno rinverdito i fasti dell’outlaw country (il nostro è stato a ragione paragonato a Waylon Jennings), opera una brusca virata verso il soul Motown alla Marvin Gaye ma restando muscolare, elettrico, rock e con un vocione profondo e potente. Ha il coraggio di rinunciare a Dave Cobb e di prodursi in autonomia, si serve largamente di fiati ed archi dei Dap-Kings (la band di Sharon Jones) ed il risultato è un ibrido tra outlaw-country e soul-rock che ricorda molto la produzione del Van Morrison “americano” di inizio-seventies (quello di Tupelo Honey e His Band And The Street Choir), per un lavoro che è un concept dedicato al figlio neonato, una sorta di introduzione (“Hello my son, welcome to earth…”) e consigli per affrontare la vita. Un album totalmente radicato nelle tradizioni americane bianche e nere, che non fa nulla per sembrare moderno (la stessa voce ha un’impostazione alla Johnny Cash, Kris Kristofferson, Willie Nelson ed appunto Waylon Jennings/Van Morrison), ma che suona sincero, ispirato, atemporale: cresce con gli ascolti e durerà nel tempo.
Voto Microby: 8
Preferite: All Around You, Welcome To Earth, In Bloom





BAND OF HORSES (2016) Why Are You Ok


E’ un peccato constatare come la band di Seattle stia perdendo, impercettibilmente di album in album ma inesorabilmente nel corso dell’ultimo decennio, l’ispirazione che l’aveva portata ad eccellere nel 2007 con Everything All The Time e nel 2010 con Cease To Begin. L’acuta ma melodica voce di Ben Bridwell è sempre fortemente caratterizzante, ma non è bastato passare dalla produzione di Glyn Johns (artefice di un country-indie-rock figlio di America e Jayhawks) a Jason Lytle (Grandaddy) e il mito Rick Rubin per invertire la rotta, che ahimè soffre della bonaccia creativa della penna di Bridwell. Ovviamente la band non riesce a licenziare un disco brutto, ma nemmeno uno dal quale un paio di canzoni si distinguano dalla media e siano potenzialmente degne di un futuro album antologico. Le polveri ora sono umide.
Voto Microby: 6.8
Preferite: Solemn Oath, Casual Party, Throw My Mess

 



lunedì 18 luglio 2016

Michael Kiwanuka - Love and Hate

MICHAEL KIWANUKA - Love and Hate (2016)
Al secondo album, 4 anni dopo il fulminante debutto “Home Again”, disco dell’anno del nostro blog nel 2012, MK si affida alla produzione di Danger Mouse, autentico Re Mida musicale degli ultimi anni. Senza influenzarne la potenza espressiva, la sua nuova produzione ne esalta l’impronta R&B in chiave quasi psichedelica, quasi come se Bill Withers andasse a lezione da Van Morrison o se i Pink Floyd suonassero per Marvin Gaye. La sua chitarra acustica e la sua voce espressiva ne fanno la reincarnazione, in meglio, di Isaac Hayes; la ritmica blues ed i cori lievemente gospel modulati dalla genialità degli arrangiamenti fanno di questo disco l’espressione più compiuta del soul del futuro. Sicuramente uno dei migliori dischi di soul-blues degli ultimi 10 anni. Da ascoltare: Black Man in a White World, One More Night, Love & Hate. Voto: ☆☆☆☆1/2

domenica 17 luglio 2016

THE MONKEES


THE MONKEES (2016) Good Times!




Mai avrei pensato di recensire in tempo reale un album dei Monkees, meno che meno di segnalarlo tra i migliori dell’anno. E invece conviene drizzare le orecchie perché i tre ultrasettantenni superstiti (dopo il decesso per infarto nel 2012 di Davy Jones, il belloccio, lead vocal ed unico inglese della band, troviamo nei soliti ruoli il batterista Micky Dolenz, il bassista Peter Tork ed chitarrista Michael Nesmith, l’unico titolare anche di una successiva carriera da solista di discreto valore) firmano a mio parere il loro disco migliore di sempre. I più giovani avranno solo sentito parlare del lustro (1966-1971) in cui la band americana, il prototipo della boy-band costruita in studio con attori non-musicisti (eccetto Nesmith) che prestavano solo l’immagine e suonavano in playback, rivaleggiarono in notorietà addirittura con i Beatles (nel 1967 riuscirono perfino a vendere più album di Beatles e Rolling Stones insieme!), e la contrapposizione con gli scarafaggi fu alimentata ad arte, così come leggende, aneddoti, gossip ed il grande successo della serie TV tra il ’66 ed il ’68 (io ero tra quelli che non perdeva una puntata! Il plot era quello di un complesso formato da 4 amici che tentava, ovviamente senza mai riuscirci tra peripezie varie, di ottenere il successo dei Beatles) contribuirono massicciamente al mercato (75 milioni di dischi venduti complessivamente) ma anche alla scarsa considerazione che la critica musicale ha sempre riservato al gruppo. Eppure, al momento di celebrare il 50° anniversario dall’esordio con il solito piano di lavoro (l’interpretazione, ora possibile dopo anni di studio degli strumenti, di canzoni appositamente scritte per loro ai tempi e rimaste nel cassetto), ecco presentarsi una schiera di insospettabili fans che si onora di scrivere per il trio: Paul Weller (Jam/Style Council), Noel Gallagher (Oasis), Andy Partridge (XTC), Rivers Cuomo (Weezer), Ben Gibbard (Death Cab For Cuties), oltre ad Adam Schlesinger (Fountains of Wayne) che si propone alla produzione. La conferma che The Monkees non sono stati solo la risposta commerciale americana alla beatlesmania, o i papà di New Kids On The Block, N’Sync, Jonas Brothers, Take That, One Direction, o il prologo della musica da MTV, ma anche una band inaspettatamente influente sulle generazioni ed i generi successivi (non solo come intuibile il power-pop, ma anche il garage-beat, il punk-pop, il surf, il northern soul per dirne alcuni). Good Times!, a 50 anni dai fasti giovanili, è scritto benissimo (ok, non da loro, ma come sempre da fior di penne!) e suona fresco, ispirato, divertente e soprattutto attuale (quanti giovani gruppi derivativi sixties-oriented incensiamo ad ogni album, e perché non farlo ora che gli originali ci offrono una prova di valore senza far leva sulla nostalgia?). Il mio disco per l’estate.
Voto Microby: 8
Preferite: You Bring The Summer, She Makes Me Laugh, Good Times!  

giovedì 14 luglio 2016

MOTORPSYCHO, BEN HARPER, WOODS


MOTORPSYCHO (2016) Here Be Monsters




In una discografia assai ricca (non solo quantitativamente) nella quale la mitica band di Trondheim (Norvegia) ha sparigliato più volte le carte dedicandosi, sempre con qualità più che buona, a generi diversissimi tra loro e riuscendo ad amalgamarli in modo a volte geniale (metal, hardcore, psichedelia, jazz, rock, classica, country, avantgarde rumoristica, e soprattutto progressive), non poche risultano le pubblicazioni a contratto/progetto. E' il caso anche di Here Be Monsters, composto in occasione del giubileo della fondazione del Norwegian Technical Museum. Stavolta il tiro è rock, e tutto spostato dalle parti del prog inglese dei '70 con abbondanti contaminazioni dei coevi Canterbury-sound e psichedelia acida westcoastiana. Ottima la resa qualitativa, per un lavoro che verrà tuttavia apprezzato solo da chi ama i generi citati, le dilatate progressioni della chitarra elettrica in brani lunghi (la magmatica Big Black Dog è una suite di 17'43"), la meticolosa intersecazione delle belle armonie vocali e degli spunti acustici/onirici con la rabbia architettonicamente controllata di chitarre elettriche e sezione ritmica. Per chi già li conosce, è l'ennesima conferma del loro valore, avulso da ogni logica di mercato.
Voto Microby: 7.6
Preferite: Lacuna/Sunrise, I.M.S., Running With Scissors



BEN HARPER & The Innocent Criminals (2016) Call It What It Is


Dopo alcuni albums concepiti ed eseguiti più col mestiere che con il talento, il ritorno alla collaborazione con i fidi The Innocent Criminals ha fatto sperare in una rinascita della creatività del dotato singer-songwriter americano. L'incipit When Sex Was Dirty invece preoccupa non poco: paccottiglia rock nello stile dei più pacchiani Status Quo. Che ci azzecchi con il resto della scaletta è un mistero, dal momento che dal secondo brano fino al termine il nostro infila come di consueto blues, reggae, rock, ballads, soul, folk che, pur senza far gridare al miracolo, sono di buona fattura. Il suo miglior lavoro da una decina di anni a questa parte, e la conferma che la band con cui si esprime meglio (e con maggior varietà di stili) è quella attuale (e degli esordi), non i caotici Relentless 7.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Finding Our Way, Dance Like Fire, Call It What It Is



WOODS (2016) City Sun Eater In The River of Light


Che siano i Woods o il progetto collaterale Real Estate, il leader Jeremy Earl non cambia di molto le coordinate: un jangle-guitar-pop cristallino, molto vintage, con più di un rimando al folk-pop psichedelico e lievemente acido della California di fine anni '60 (nonostante il quintetto venga da Brooklyn). Con una novità non di poco conto: l'arrangiamento di alcuni brani con fiati e ritmiche di chiara influenza ethio-jazz, ben calibrati ed adatti al contesto. Resta il solito difetto di base: fresca la confezione, ottimi gli arrangiamenti, ma la scrittura tende ad essere monocorde, tanto da confondere un brano (o un album) con l'altro. Un'isola di fuga (positiva) sixties.
Voto Microby: 7.3
Preferite: Can't See At All, Sun City Creeps, Politics of Free



lunedì 11 luglio 2016

Recensioni al volo: Case/Lang/Veirs, Spain, Josh Kelley

CASE/LANG/VEIRS -   Case/Lang/Veirs (2016)
Album collaborativo per le tre cantautrici Neko Case, kd Lang e Laura Veirs: la sua caratteristica è che si tratta proprio di un disco ideato e interpretato “insieme” e non di una collezione di brani in cui ognuna prende possesso di una quota parte di lavoro (anche se forse l’impronta della Case la si sente più delle altre).  Un esperimento riuscito grazie alle melodie a tratti country-pop, a tratti jazzy con brani più caldi e raffinati, che ricordano il classic-pop anni ’60 stile Bacharach e Dusty Springfield ma anche la west-coast di CSN o Joni Mitchell. Commovente il malinconico tributo a Judee Sill, grandissima e misconosciuta cantautrice morta per overdose negli anni ’70. Altri riferimenti: Suzanne Vega, Laura Marling, CSN,  Carole King. Da ascoltare: Song for Judee, Best Kept Secret. Voto: ☆☆☆1/2

SPAIN - Carolina (2016)
Sesto disco per gli Spain di Josh Haden (figlio del compianto contrabbassista jazz Charlie, recentemente scomparso), gruppo di difficile inquadramento musicale: di volta in volta il loro genere è stato definito indie, alternative, slow-core, soft-pop. Il merito va agli arrangiamenti per lo più acustici, mai monotoni ma sempre ricchi di sfumature melodiche vagamente country o southern-blues. Ne risultano un pugno di ballate poetiche ed espressive, per un album decisamente bello e di personalità, più vicino al genere Americana ed alternative-country rispetto ai precedenti. Da ascoltare: Battle of Saratoga, Tennessee. Voto: ☆☆☆1/2


JOSH KELLEY - New Lane Road (2016)

Noto anche per essere felicemente sposato a Katherine Heigl  aveva conosciuto il successo musicale grazie a “Amazing” del 2003: alla ricerca della tranquillità e dell’isolamento dallo star-system, trasferitosi dalla caotica Los Angeles in un ranch a Salt Lake City ha registrato il disco in Utah. Il suo mix di country, pop, soul, fuso in un sound anni ’70 piacerà a chi ama Eagles, Steely Dan, Jackson Browne, Bruce Hornsby o più modernamente John Mayer o Lady Antebellum (il più giovane fratello di Josh, Charles, fa parte del gruppo). Da ascoltare: Call it What it is, Take it on Back, The Best of Me.  Voto: ☆☆☆1/2


domenica 10 luglio 2016

La migliore dozzina del primo semestre (El Cumenda)

Giro la classifica di Giorgio sui migliori 12 del primo semestre e una nuova lista dei 10 brani più interessanti da lui scovati.

LA SPORCA DOZZINA:
"IV" SANTANA - 
"Electronica 2" JEAN-MICHEL JARRE 
"Emily's D+evolution"  ESPERANZA SPALDING
"E" UT NEW TROLLS
"City sun eater in the river light" WOODS 
"Dig in deep" BONNIE RAITT
"Fifteen" GREEN RIVER ORDINANCE
"Closer to the people" TANITA TIKARAM
"Introducing K B" KARL BLAU
"Inglorious" INGLORIOUS
"'O sanghe" JAMES SENESE
"Thick as thieves" THE TEMPER TRAP.

I 10 PEZZI DEL MOMENTO:
"Well everybody fucking in a UFO" ROB ZOMBIE
"Good lava" ESPERANZA SPALDING
"Find my way". GRANT-LEE PHILLIPS
"Sangria" CEU
"Addo vaje" JAMES SENESE
"Pining" PARKER MILLSAP
"Inferno" TREAT
"Spritz e rivoluzione" DANIELE SEPE & SARA SOSSIA SGUEGLIA
"Forgotten memory" ZAKK WYLDE
"For the people" MONSTER TRUCK


mercoledì 6 luglio 2016

RADICAL FACE, PARKER MILLSAP, TRAVIS


RADICAL FACE (2016) The Family Tree - The Leaves




Terzo e migliore capitolo in cinque anni (dopo The Roots e The Branches) della trilogia che Ben Cooper ha scritto ed interpretato per descrivere la storia di un'immaginaria famiglia americana dell'800, i Northcotes. Come nei precedenti la voce malinconica e sussurrata di Cooper si accompagna ad arpeggi di chitarra acustica, pianoforte, sezione ritmica, archi elegiaci e tenui inserti elettrici ed elettronici. Il rimando immediato è il folk-pop di Sufjan Stevens con il suo progetto sui singoli stati dell’Unione: non altrettanto geniale, ma decisamente da consigliare.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Everything Costs, The Road To Nowhere, Rivers In The Dust




PARKER MILLSAP (2016) The Very Last Day


Folk-blues-country-gospel miscelati in modo istintivo e focoso da un giovane dell'Oklahoma (al terzo album) che interpreta i suoni della tradizione americana avendo bene in testa e nel cuore la lezione del rock'n'roll. Voce roca ed appassionata, bella scrittura, suoni che dosano bene pieni e vuoti a sottolineare che le radici americane sono state nutrite di dolore e fatica ma anche di solidarietà e coraggio, di pietas ma insieme di entusiasmo e fiducia nel futuro. Strumenti tradizionali al servizio di un album che suona roots in modo sincero e moderno, straconsigliato a chi già ama questi suoni ma anche adatto ai più giovani che volessero approcciarsi ai variegati suoni delle origini degli USA.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Hades Pleads, Pining, Heaven Sent



TRAVIS (2016) Everything At Once


All’ottavo album gli scozzesi guidati da Fran Healy mostrano di non aver dimenticato come scrivere melodie brillanti, ma nello stesso tempo disegnano una distanza incolmabile tra i fasti dei primi tre album (imperdibile per chi scrive il terzo, The Invisible Band, del 2001, una delle vette del tardo brit-pop che subiva le prime trasformazioni ad opera dei Coldplay) ed i lavori successivi, tutti carini ma alla fine innocui. In Everything At Once purtroppo il colpo d’ala tentato poggia sugli arrangiamenti, che dimostrano l’attuale scarsa personalità del gruppo, perso ad inseguire i suoni degli ultimi Coldplay, i più deteriori ma che piacciono molto agli americani. Peccato, perché la penna di Healy, pur non da applauso, non ha ancora perso l’antica abilità. Per cuori infranti nei telefilm per teenagers.
Voto Microby: 7
Preferite: Idlewild, 3 Miles High, Strangers On A Train

 
 












sabato 2 luglio 2016

Quella sporca dozzina: i migliori dischi dei primi 6 mesi (aggiornato).

MICROBY
GREEN RIVER ORDINANCE – Fifteen
VILLAGERS – Where Have You Been All My Life
RADIOHEAD – A Moon Shaped Pool
LUCINDA WILLIAMS – The Ghosts of Highway 20
THE WESTIES – Six On The Out
CHARLES BRADLEY – Changes
DAVID BOWIE – Black-star
KULA SHAKER – K 2.0
RADICAL FACE – The Family Tree-The Leaves
EMMA POLLOCK – In Search of Harperfield
PARKER MILLSAP – The Very Last Day

THE PINES – Above The Prairie

LUCAF
GRIFFIN HOUSE – So On and So Forth
NADA SURF – You Know Who You Are
TEDESCHI TRUCKS BAND – Let Get Me By
VILLAGERS – Where Have You Been All My Life
RADIOHEAD – A Moon Shaped Pool
DAVE BARNES – Carry On San Vicente
JOE BONAMASSA – Blues of Desperation
THE WESTIES – Six On The Out
THEY MIGHT BE GIANTS – Phone Power
KULA SHAKER – K 2.0
GREEN RIVER ORDINANCE – Fifteen
WEEPING WILLOWS – Tomorrow Became Today

FABIUS
TRASH CAN SINATRAS – Wild Pendulum
FRUITS BATS – Assolte loser
MARY CHAPIN CARPENTER – The things we are made of
PETER WOLF – A cure for loneliness
BRUCE HORNSBY – Te Rahab Reunion
BEN WATT – Fever dreamscape
SOUTHERN EMPIRE – Southern empire
BLUE OCTOBER – Home
TERRY REID – The Other side of the River
THE AVETT BROTHERS – True Sadness
GREEN RIVER ORDINANCE – Fifteen
MARIT LARSEN – Joni was Right

CONSIGLI PER GLI ACQUISTI Gen-Feb 2024

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