lunedì 31 ottobre 2016

Recensioni: Beth Hart, Leonard Cohen

BETH HART - Fire on the Floor (2016)
Dopo l’accoppiata di cover album insieme a Joe Bonamassa ed il molto interessante Better Than Home, in quest’ultimo lavoro si circonda di musicisti di prim’ordine (Michael Landau e Waddy Wacthel alle chitarre, Brian Allen al basso, Dean Parks all’acustica, Ivan Neville all’organo) e ne esce fuori un album veramente di grande spessore.  Beth esplora vari generi musicali: lo swing-jump anni 50 (“Jazzman”), il blue-eyed soul (“Love gangster”), il blues-tributo a Billie Holiday (“Coca Cola”), ma soprattutto le sue classiche ballate blues intrise di soul e R&B che pervadono tutto l’album e che rappresentano in modo migliore la sua classe. Probabilmente il suo disco migliore, in cui finalmente riesce a raggiungere un equilibrio che riesce ad abbracciare il suo bagaglio emotivo ed i suoi stili musicali. Da ascoltare: Picture in a frame, Love gangster, Fire on the floor. Voto: ☆☆☆☆


LEONARD COHEN - You Want it Darker (2016)


Alla veneranda età di 82 anni, Cohen prosegue, imperterrito ed ispirato, il suo recente percorso musicale che da Old Ideas e Popular Problems, appare sempre più recitativo e omogeneo (anche in questo caso lascia ad un coro, stavolta a quello delle sinagoga di Montreal il compito di dare l’apporto melodico). Il figlio Adam (produttore del disco) fornisce una splendida base fatta di archi dolenti e chitarre folk-soul, odorose di sacralità e di ombre. Voce sussurrata, violini struggenti, armonie a volte quasi arabeggianti, toni soffusi e romantici, in cui ammette senza vergogna il dolore, la solitudine e la paura della morte.  Un disco denso, struggente, imponente e toccante. Da ascoltare: You Want it Darker, Steer Your Way. Voto: ☆☆☆☆

sabato 29 ottobre 2016

ED HARCOURT, VAN MORRISON


ED HARCOURT (2016) Furnaces






Con gli ultimi due lavori il polistrumentista inglese sembrava essersi avviato verso soluzioni musicali più scarne, essenziali, quasi da cantautore puro piano-voce, peraltro riuscendo bene anche in questa scelta più intimista rispetto al pop orchestrale ed al brit-pop del primo decennio di attività. E invece ci troviamo di fronte al primo album che di cantautorale ha poco, che anzi sembra il prodotto di una band. La scelta del produttore Flood (già al lavoro in passato con U2, PJ Harvey, Nick Cave, Nine Inch Nails) ha spostato l’atmosfera generale al decennio fine-‘80/fine-’90, con suoni più marcati ed attuali rispetto alle note influenze classiche (soprattutto nell’uso del pianoforte), senza sottrarre la pregnante carica soulful e gospel, spesso melodrammatica tanto da farlo spesso accostare a Rufus Wainwright (senza barocchismi). Furnaces è in brillante equilibrio tra il pop orchestrale di Lustre (2011), la semplicità di Back Into The Woods (2013) e le ballate minimaliste di Time of Dust (EP 2014): i riferimenti restano Richard Hawley, Nick Cave, Badly Drawn Boy, ma piacerebbe anche all’ultimo David Bowie. Certamente uno dei cantautori (in senso lato) inglesi più importanti del nuovo millennio.
Voto Microby: 8
Preferite: Furnaces, Loup Garou, You Give Me More Than Love






VAN MORRISON (2016) Keep Me Singing



I detrattori del bardo irlandese sostengono che ripete da sempre il medesimo album. Di più: la medesima canzone. Considerazione ovviamente esagerata ma non del tutto falsa: anche ammettendo la coerenza al proprio stile musicale (inimitabile ma imitatissimo), è vero che gli accordi di molte canzoni, distanti anche decenni, sono al limite dell'autoplagio. Tuttavia dopo 50 anni di attività baciata da numerosi capolavori (sia canzoni che album) e caratterizzata dall'enorme influenza profusa sulla musica bianca e nera (probabilmente in Europa tra i cantautori solo Nick Drake è stato altrettanto seminale per le generazioni successive), non possiamo esimerci dall'applaudirlo ogni volta che dimentica pigrizia e caratteraccio per donarci un nuovo lavoro, riconoscibilissimo dopo due note, ancora prima di essere scaldati dalla sua mitica voce. A differenza degli ultimi 2-3 lustri, questa volta non è entrato in studio per timbrare (ad arte) il cartellino, ma ha scritto fior di canzoni che si nutrono al solito di soul, R&B, blues, folk, jazz. Ebbene sì, anche stavolta ha copiato dai propri appunti, trovati nei cassetti degli anni '80 (dalle parti di Beautiful Vision, Inarticulate Speech of The Heart, Poetic Champions Compose, Avalon Sunset), ma si è applicato con passione ed il risultato è un disco in cui prevalgono le ballads, che si ascolta insieme con leggerezza e trasporto, nel quale ogni singola canzone dà piacere e strapperebbe applausi se ascoltata nel disco d'esordio di qualunque giovane cantautore "vanmorrisoniano". Nessun capolavoro perchè non c'è nessuna sorpresa: solo il solito, gran bel disco. Non è scontato, e soprattutto non è da tutti. Imitatori compresi.
Voto Microby: 8
Preferite: Holy Guardian Angel, Keep Me Singing, Out In The Cold Again









 

domenica 16 ottobre 2016

Recensioni al volo: Regina Spektor, Owen Campbell, Bon Iver

REGINA SPEKTOR - Remember Us To Life (2016)

La cantante russa naturalizzata newyorkese, ha passato un paio di anni sabbatici dopo aver dato alla luce il suo primo figlio nel 2014. Il precedente lavoro del 2012 (What we Saw from the Cheap Seats), aveva sicuramente rappresentato una piccola battuta d’arresto nel suo progressivo percorso musicale ma in questo settimo album la sua qualità compositiva, così fortemente influenzata dagli studi classici e dalla sua madre terra, la sta facendo sempre più emergere dall’affollata area Indie. Il meglio lo dà soprattutto nei brani voce-pianoforte, con sonorità immaginifiche e teatrali, a volte struggenti o caotiche ma sempre più convincenti e potenti. Storie di donne malate che preferirebbero un giro di limousine alla chemioterapie o uomini che strappano la pagina dei loro libri preferiti e poi fissano con desiderio la luna. Un album decisamente versatile e maturo,  meno caldo ed amabile dei precedenti Far (capolavoro assoluto) o BeginTo Hope. ma sempre più eccentrico e sorprendente, imprevedibile ed intrigante. Voto: ☆☆☆☆1/2


OWEN CAMPBELL - Breathing Bullets (2016)

Australiano e non più giovanissimo (questo tra l’altro è il suo quinto album), è forse uno dei pochi musicisti segnalati grazie un talent show (Australia’s Got Talent) che meritino davvero di essere approdati alla considerazione generale. Disco registrato a Memphis con la produzione di Devon Allman, è blues-rock di forte impronta “sudista”, con tocchi soul e country ed una voce fumosa che è impossibile non rimandare a Chris Rea. Un bel disco, pieno di bottleneck, honky tonk, armonica, banjo e molta grinta. Voto: ☆☆☆






BON IVER - 22 (2016)


Siamo passati dal folk puro e semplice di “For Emma” a campionamenti elettronici a go-go,  voce filtrata da vocoder e loop assillanti. Forse vuole rifarsi una verginità dopo avere minimamente ceduto ad un lieve interesse commerciale. Stavolta, a mio parere, ha toppato. Oppure non ci arrivo proprio, colpa mia. Voto: ☆

giovedì 13 ottobre 2016

RICH ROBINSON, PASSENGER, THE I DON'T CARES


RICH ROBINSON (2016) Flux




E’ ormai chiaro che, mentre il più famoso dei due fratelli fondatori dei Black Crowes, il frontman Chris con i suoi Brotherhood, si dedica alla psichedelia di fine sixties in puro stile Grateful Dead/Quicksilver Messenger Service, è il chitarrista Rich a continuare l’eredità musicale della band di Atlanta sciolta ufficialmente nel 2015. Quindi southern rock, blues, gospel, soul, honky tonk, classic rock inglese, con un suono equamente influenzato da Rolling Stones, Faces, Allman Brothers, Little Feat, Led Zeppelin ed una chitarra che evoca Keith Richards e Ron Wood. Niente di nuovo, tutto classico e già ascoltato, ma scritto ed interpretato da un fuoriclasse del genere. Solo lievemente inferiore alla precedente prova del 2014, e come sempre ahimè privo di un vocalist che faccia la differenza, come lo era il fratello Chris. Ma ovunque si respira un sincero omaggio al rock chitarristico anni ’70.
Voto Microby: 7.6
Preferite: Everything’s Alright, Astral, The Upstairs Land




PASSENGER (2016) Young As The Morning Old As The Sea


Molti considerano Mike Rosenberg, in arte Passenger, una sorta di Damien Rice più commerciale, o un James Blunt meno pop, o la versione inglese di Amos Lee una volta sottratta la componente R&B. Opinioni condivisibili, ma è anche certo che, senza la pretesa di rivoluzionare la musica attuale, il cantautore di Brighton possiede abilità di scrittura, buon gusto negli arrangiamenti (da sempre un pop-folk acustico con calibrato uso di archi) ed una capacità di carezzare, scaldare, coccolare che è rara. Più che sufficiente a produrre dischi (questo è l’ottavo) che, sebbene simili tra loro, fanno sentire meglio chi li ascolta.
Voto Microby: 7.7
Preferite: If You Go, Home, When We Were Young



THE I DON'T CARES (2016) Wild Stab


Difficile capire se, dopo l’attesa reunion live dei Replacements lo scorso anno con relativa aspettativa di nuove incisioni, frustrata dalla repentina interruzione della tournèe, The I Don’t Cares rappresentino un progetto collaterale del leader Paul Westerberg in collaborazione con la musicalmente affine Juliana Hatfield, oppure il disegno sostitutivo del rimpianto gruppo americano. Nei fatti ci troviamo di fronte a 16 brani immediati, elettroacustici, per lo più brevi, nello stile arruffato, apparentemente in presa diretta ma ben costruito, volutamente low/mid-fi (a dare l’impressione dell’ascolto di demos), tipico di Westerberg. Un cocktail molto ben shakerato, allegro, spontaneo, vitale di Rolling Stones, Violent Femmes, Johnny Thunders, Velvet Underground, equamente composto da rock, folk, garage, indie. Non adatto a chi ama arrangiamenti puliti, raffinati, eleganti, mentre è caldamente raccomandato a chi cerca la primigenia spontaneità e ruvidezza del rock’n’roll.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Outta My System, Kissing Break, King of America









 
 

sabato 8 ottobre 2016

Canzoni del cumenda - nuova lista di pezzi caldi

Ricevo e giro una nuova lista di brani "caldi" proposti da El Cumenda

The 1975 - "Love Me"
Jon Anderson & Roine Stolt - " Know..."
Temperance Movement - "Get yourself Free"
Katatonia - "Shifts"
Karl Blau - "If I Needed You"
The Temper Trap - "So Much Sky"
Paul Simon & Dion - "New York is My Home"
Giovanni Block & Moda Loda Broda - "Adda Venì Baffone"
M83 & Susanne Sundfor - "For The Kids"
Ana Popovic - "New Coat of Paint"

Buon ascolto!


lunedì 3 ottobre 2016

THOMAS COHEN, MUTUAL BENEFIT, OSCAR


THOMAS COHEN (2016) Bloom Forever



Esordio da solista per il 25enne londinese, ex leader degli S.C.U.M., padre di 2 figli (Bloom e Forever sono i secondi nomi della figlia Phaedra), ma soprattutto vedovo di Peaches Geldof, figlia di Bob, giornalista e modella di successo deceduta due anni orsono per overdose da eroina. Cronaca rosa e nera non rappresentano un mero gossip, ma il seme ed il frutto dell’album, il mezzo artistico per elaborare un tremendo lutto (come il più recente lavoro di Nick Cave). Cohen, forse complice la gioventù e la spinta dei figli in tenera età, affronta la prova senza essere lugubre, è malinconico ma mai disperato, e si avvale di suoni avvolgenti, caldi, umbratili a ricordare Ed Harcourt e Richard Hawley, ma anche sofisticati ed a tratti decadenti come i migliori Neil Hannon (The Divine Comedy), Jarvis Cocker (Pulp), perfino il David Bowie di Hunky Dory ed il Lou Reed di Berlin: un sax languido insieme a chitarre elettriche concise e taglienti, un piano Rhodes liquido ed una voce pacata, dolcemente triste. In Bloom Forever c’è consapevolezza di quanto accaduto, accettazione della realtà ed un disegno proiettato nel futuro, non fosse altro per i figli, a braccetto con una scrittura ed esecuzione da plauso. “The sun still shining on, even though it’s cold” (New Morning Comes).
Voto Microby: 8
Preferite: New Morning Comes, Ain’t Gonna Be No Rain, Honeymoon




MUTUAL BENEFIT (2016) Skip A Sinking Stone

Così come il conterraneo Ben Cooper (alias Radical Face), che gli è allineato come stile musicale, anche il polistrumentista Jordan Lee ha scelto un moniker per presentare il proprio progetto, in cui tutto è gentile, dalla voce alle percussioni, dagli strumenti acustici (con le tastiere in primo piano) all’elettronica morbida ambient-style, per finire con la bella copertina dai colori pastello. Chamber-pop bucolico figlio della meditazione e degli ampi spazi aperti piuttosto che dell’hype universitario e delle città, che discende dal Sufjan Stevens più malinconico e dall’Andrew Bird più languido, ma alla seconda prova più che positiva l’americano resta ancora un gradino sotto entrambi.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Not For Nothing, The Hereafter, Getting Gone



OSCAR (2016) Cut And Paste

Figlio d’arte (i genitori fondarono The Regents, new wave band di fine ’70), il giovane londinese Oscar Scheller fedelmente al titolo dell’album ed al proprio abbigliamento ci propone un patchwork di brit-pop di marca-Blur, synth-pop anni ’80, dub e college rock che risulta naif, fresco, orecchiabile, essenziale ma non semplicistico. Il tutto condito da una voce baritonale da crooner che sembra la versione allegra di Richard Butler (Psychedelic Furs) e Morrissey (Smiths). Niente male l’esordio del ragazzino.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Sometimes, Be Good, Feel It Too



















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