giovedì 27 luglio 2017

SOLEY, ASGEIR


SOLEY (2017) Endless Summer




Diplomata in pianoforte e composizione all’Icelandic Art Academy e cresciuta nella terra di Sigur Ròs, Bjork e Mùm, il destino musicale di Sòley Stefànsdòttir sembra tracciato: tra il chamber-pop alla Agnes Obel e l’elettronica misteriosa dei suddetti. In effetti nei tre album finora pubblicati si è passati, di volta in volta con certosino equilibrio, da riferimenti alla Tori Amos più lieve ed alla Enya più eterea, fino ad atmosfere più plumbee nel secondo lavoro (Ask The Deep, recensito sul blog nel 2015), più evocative del neo-dark alla Soap & Skin che della modern classical. Questo ultimo lavoro appare il più compiuto, una riuscita crasi delle influenze citate, sebbene una prima parte sia più chamber-pop in debito con Agnes Obel ed una seconda più ossequiosa nei confronti dell’elettronica rarefatta, melodicamente avantgarde dei Sigur Ròs. Ma Soley possiede ormai un suo marchio di fabbrica, che la rende affascinante, intensa, carismatica. Non un disco per l’estate, come farebbe supporre il titolo, ma tenetevelo molto caro per il prossimo inverno.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Ua, Traveler, Grow


ASGEIR (2017) Afterglow

Già noto in Europa per il plauso ricevuto nel 2013 con l’adattamento in lingua inglese dell’album (In The Silence, curato e prodotto da John Grant) pubblicato con grande successo l’anno precedente nella natìa Islanda, l’attuale 25enne Asgeir Trausti Einarsson si presenta con il lavoro successivo tra grandi aspettative e fucili puntati. Ne esce integro, evitando i proiettili della critica che scommetteva su una deriva caciarona synth pop anni ’80, o su un’introspezione (sempre elettronica, ma tenue e cadenzata alla James Blake) nella direzione del folk norreno, ma non soddisfa appieno le attese di chi si aspettava un nuovo Bjork o Sigur Ròs dalla terra dei ghiacci. Meno folk-pop del precedente, decisamente meno naif, con testi importanti (scritti dal padre, il poeta Einar Georg Einarsson) ed una struttura più compatta e seriosa, si addentra nei territori già frequentati dai primi Antony & The Johnsons, San Fermin e Chet Faker, riuscendo ad essere dolente e lirico, ma senza mai spiccare il volo. Una certa monocromaticità (di scrittura, più che di arrangiamenti) tende ad appiattire l’ascolto, che invita comunque a tenere le orecchie aperte su un talento giovane e forse ancora incompiuto.
Voto Microby: 7
Preferite: Afterglow, New Day, Dreaming


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