mercoledì 21 marzo 2018

SUPERORGANISM


SUPERORGANISM (2018) Superorganism



Quattro neozelandesi, due inglesi, un sudcoreano ed una giapponese residente per studio nel Maine… no, non è una barzelletta, ma il modo di fare musica dei millennials, nell’era degli smarthphone e dei social: all’atto della fondazione del superorganismo gli unici a conoscersi nella real life erano i quattro membri della band indie rock neozelandese (sconosciuta ai più) Eversons; contattati on line dalla diciassettenne Orono Noguchi, cantante dalla voce anodicamente intrigante, inizia il rapporto epistolare 3.0 tra loro e gli altri membri conosciuti scambiandosi files musicali in rete, in modo da approntare canzoncine costituite da un collage di beats elettronici, melodie pop da jingle pubblicitario, ritmi hip-hop e sospensioni trip-hop, samples accattivanti, bassi gommosi ed elementari note di tastiere orecchiabili e chitarre appiccicose. Il tutto suona curioso, divertente e malinconico come può esserlo l’adolescenza tutta, ed insieme cinicamente ingenuo (si perdoni l’ossimoro) come può esserlo l’adolescenza nel terzo millennio. I suoni sono ben confezionati, brillanti e non pacchiani (sensazione invece suscitata al primo ascolto), certamente frutto dei tempi perché la storia che sta dietro rischia di far scivolare in secondo piano il risultato finale, suggerendo (ma è un male?) che chiunque può fare musica. Con i dovuti distinguo, a me la band attualmente a sede in Inghilterra ricorda i Tom Tom Club, costola effimera e giocherellona dei Talking Heads negli ’80, ed in parte i Public Service Broadcasting, dèditi ad una vagamente simile procedura lavorativa (che resta tuttavia nell’ambito del synth-pop). Al di là di ogni giudizio socio-filosofico, Superorganism (band ed album) esprime assolutamente la musica popular dei tempi attuali, impermeabile ad una classificazione stretta perché aperta a qualsiasi stimolo (sebbene il genere “pop” sia preponderante), che sia o meno costruito in laboratorio, poco importa. Unico trait d’union tra le rockstars della mia adolescenza e le stars 3.0 degli attuali teenagers è nell’esplicativo titolo del brano migliore del lotto, il bizzarro electro-reggae “Everybody Wants To Be Famous”... Io continuo a preferire “Stairway To Heaven”, ma un ascolto anche distratto alla musica assemblata (ribadisco: assemblata) dai nostri figli è doveroso ed a tratti pure piacevole.
Voto Microby: 7
Preferite: Everybody Wants To Be Famous, It’s All Good, Something For Your M.I.N.D.

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