venerdì 21 settembre 2018

UMPHREY'S McGEE


UMPHREY'S McGEE (2018) It's Not Us

Pressochè sconosciuto da noi (anche per me si tratta del primo album che ascolto) il gruppo formatosi a Notre Dame, Indiana, ed attivo a Chicago è ben noto nel circuito delle jam bands statunitensi, nonostante i musicisti dichiarino le maggiori influenze musicali in ambito progressive, segnatamente quello inglese di King Crimson, Yes e Pink Floyd, e nel pop-rock classico di Beatles, Led Zeppelin e Police (sempre british). L’ascolto di It’s Not Us, loro ventesimo album tra studio e live (l’esordio discografico di quello che attualmente è un sestetto risale al 1998) non pare proprio confermare quanto scritto: è certo vero che questa strana band già bizzarra nel nome (che deriva dal cugino del chitarrista Brendan Bayliss) pare un mostro partorito dalla crasi di due generi, il prog e la jam band, improbabilmente accostabili (il minimo, ma proprio minimo, comun denominatore sta nelle lunghe digressioni strumentali, tuttavia certosinamente architettate nel prog ed invece frutto dell’improvvisazione figlia del blues-jazz nelle jam bands). Ma di britannico non trovo proprio nulla: il prog è casomai derivativo di quello americano a firma Journey, Kansas, Rush, e il predominante suono da jam band è altrettanto a stelle e strisce, più versante Phish e Spin Doctors (shakerati con i Gov’t Mule più funk-rock e solide radici zappiane) che Grateful Dead/Allman Brothers Band. Dato per scontato che la perizia tecnica sia imprescindibile nei due generi (ed è da applauso anche quella degli Umphrey’s McGee, con nota di merito per batteria e chitarra elettrica), il disco piace a seconda di cosa si intenda ascoltare: se qualcosa di nuovo, l’invito è di rivolgersi altrove; ma se si è appassionati dei generi citati o irriducibili nostalgici dei suoni seventies, l’album offre parecchi spunti di interesse e permette di proiettare la mente e le orecchie verso fantasie “live” desuete ma di grande coinvolgimento emotivo (come ha insegnato appunto il fenomeno delle jam bands). PS: è di questi giorni la pubblicazione dell’album “It’s You”, dalla band dichiarata prosecuzione logica (anche nel titolo) del presente lavoro.
Voto Microby: 7.5

Preferite: Speak Up, You & You Alone, Remind Me

mercoledì 12 settembre 2018

THE MAGPIE SALUTE, THE CORAL


THE MAGPIE SALUTE (2018) High Water I

L’eredità dei Black Crowes si mantiene viva, dopo lo scioglimento ufficiale della band di Atlanta nel 2015, grazie all’eccellente attività prima solistica e poi con The Magpie Salute del chitarrista Rich Robinson, dal momento che il fratello Chris ha preso la strada della psichedelia a stelle e strisce ’60-’70 con i suoi Chris Robinson Brotherhood. Il punto debole del nuovo percorso, cioè la mancanza di un lead vocalist all’altezza di Chris, è stato egregiamente risolto con l’attuale ingresso nella band (che oltre a Rich conta altri due ex corvi neri, il chitarrista Marc Ford ed il bassista Sven Pipien) dell’inglese John Hogg, di scuola rock e timbro tra Robert Plant e Rod Stewart. Complice l’impronta vocale, la potenza Led Zeppelin e la libertà di esecuzione identificano Led Zeppelin e Rolling Stones come le due influenze predominanti del secondo lavoro dei MS, cui il background southern soul-blues dona il caldo accento americano tipico dei Black Crowes. Il lavoro, cui la specifica “I” presuppone un secondo capitolo probabilmente disponibile il prossimo anno, è tuttavia di buona ma non eccellente qualità, dal momento che nonostante l’ottima esecuzione e la varietà stilistica la scrittura era preferibile nei precedenti sforzi di Rich Robinson & Co, e seppur privo di punti deboli High Water I risulta altrettanto latitante di canzoni memorabili.
Voto Microby: 7.5

Preferite: Color Blind, Send Me An Omen, Walk On Water

THE CORAL (2018) Move Through The Dawn

Probabilmente complice la produzione di Jeff Lynne, l’originale pop-rock psichedelico sixties-oriented della band di Liverpool, nel precedente capitolo compattato in un rock chitarristico piuttosto lontano dal loro marchio di fabbrica, si ammorbidisce ora con suoni di tastiere vintage ed armonie vocali curate, tanto da ricordare a volte The Monkees/The Beach Boys, altre America/Traveling Wilburys, altre ancora Inspiral Carpets/The Charlatans, senza perdere in omogeneità, ma anche senza la brillantezza degli album migliori. Una conferma per chi li conosce, non un suono nuovo per chi li approcciasse per la prima volta.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Sweat Release, Eyes Like Pearls, Love Or Solution



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