giovedì 22 ottobre 2020

WILL HOGE


WILL HOGE (2020) Tiny Little Movies

I negozianti di dischi ben descritti dal Nick Hornby di Altà fedeltà avrebbero avuto non poche difficoltà nel riporre nello scaffale corretto l’artista americano, partito nel gioco del “file under” con un’inequivocabile etichetta di singer-songwriter elettroacustico tradizionale (di derivazione country-rock), ed approdato con quest’ultimo lavoro ad un “american roots rock” elettrico, intenso e sapido ma anche capace di scrittura raffinata, non solo viscerale. Due chitarre e piano/organo ben sostenuti da una sezione ritmica essenziale, ed una voce maschia e roca, per un impianto musicale che ricorda il blue-collar rock dei maestri Bruce Springsteen, Bob Seger, John Mellencamp, Ryan Bingham, che alterna vibranti ballads (My Worst su tutte, impreziosita da uno splendido assolo di chitarra) a rock muscolari e perfino ad un rock da arena (l’ottima The Overthrow, anche se speriamo non rappresenti la direzione musicale futura del nostro). Non manca mai l’epica tipicamente a stelle e strisce, e mentre ci si chiede se nel 2020 possa esistere un pubblico “under 50” adatto alla proposta musicale del rocker del Tennessee, si ha l’assoluta certezza che va raccomandato a tutti gli “over 50” cresciuti a pane e “classic rock”. 

Voto Microby: 8    

Preferite: My Worst, Is This All That You Wanted Me For?, Maybe This Is OK

domenica 18 ottobre 2020

Recensione : BRUCE SPRINGSTEEN - Letter to You (2020)

 BRUCE SPRINGSTEEN - Letter to You (2020)


In questi ultimi vent’anni, dalla reunion con la E Street Band del 1999 in poi, il Boss ha messo insieme 8 album in studio, un paio eccellenti (The Rising, The Seeger Sessions), un paio buoni (Wrecking Ball, Working on A Dream) ed altri a mio parere deludenti (Magic, High Hopes, Devils & Dust, Western Stars).  Comune a tutti questi lavori era una produzione troppo “innovativa” con una sonorità poco in linea con il sound tipico degli “E Streeters”: questa volta invece BS ha riunito il gruppo al completo per un intero album in presa diretta, praticamente in disco live in studio, recuperando anche tre brani nel cassetto dai primi anni ’70. Letter To You, in uscita il 23 ottobre, ne è il risultato ed ad una prima valutazione appare davvero come l’avremmo voluto: sentiamo l’elegante progressione pianistica di Bittan, il drumming secco di Max Weinberg, le chitarre selvaggie di Nils Lofgren e Little Steven ed in cui anche il sax di Jake Clemons non fa rimpiangere quello di Big Man.  Ma emerge soprattutto lui, la sua chitarra e la sua voce come non la sentivamo da anni, potente, tagliente e carica di sentimento. Viene poi spontaneo pensare a come questi brani non potranno che essere perfetti quando verranno realizzati dal vivo (pare non prima del 2022, incrociamo le dita…). Insomma il disco che noi fans aspettavamo da anni, Welcome Back!

Da ascoltare: Letter To You, The Power of Prayer, If I Was The Priest, Songs for Orphans.

Voto: 1/2




lunedì 12 ottobre 2020

DEEP PURPLE


DEEP PURPLE (2020) Whoosh!

Uno dei più grandi gruppi di (hard) rock della storia non si arrende alla pensione ma, pur senza godere del (meritato) alone mitico degli antichi rivali Led Zeppelin nè delle luci della ribalta (per meriti vetusti) dei Rolling Stones, continua a pubblicare album degni del proprio passato. Mai veramente avvicinatisi al filone metal (come invece i loro coevi Black Sabbath, tra gli ispiratori/maestri del movimento), nè senza aver mai sposato le cause del punk prima, della new wave e del grunge poi, pur possedendone carica esplosiva (ma mai rivoluzionaria) e vocabolario tecnico, i nostri vecchietti (gli inossidabili Ian Gillan, Ian Paice e Roger Glover hanno rispettivamente 75, 73 e 75 anni, ed un'incredibile carica esente da Quota 100) hanno continuato nei decenni ad incidere e suonare live il classic rock elettrico che li contraddistingueva nei '70, ad impronta sempre hard rock ma ingentilita dall'età. Impermeabili alle mode e senza saturare il mercato (5 i dischi pubblicati nel nuovo millennio, di qualità mai meno che buona) ci propongono ora il nuovo, eccellente lavoro che ruota intorno alla maestria dei sostituti di due mostri sacri come Ritchie Blackmore e Jon Lord: senza virtuosismi inutili (ed obsoleti) il chitarrista (già di casa) Steve Morse ed il nuovo arrivato tastierista Don Airey colorano di classic hard rock la prima facciata del disco e di mai eccessivi richiami al prog la seconda, con risultati in entrambi i casi di ottimo livello. Si potrà obiettare che è musica vetusta, invece che "classica", ma in un millennio che grandi sconvolgimenti in ambito pop-rock non ne ha portati, affidarsi alla nostalgia di qualità per gli over-50 e togliersi qualche curiosità sulle radici della nostra musica per gli under-30 potrebbe essere una buona idea. Il disco è quello giusto. Splendida, al solito, anche la copertina.

Voto Microby: 7.9    

Preferite: No Need To Shout, Nothing At All, Throw My Bones

martedì 6 ottobre 2020

FLEET FOXES


FLEET FOXES (2020) Shore

E’ singolare che dei Fleet Foxes, band da sempre alla ricerca del disco pop perfetto (per esplicita ammissione del suo leader incontrastato Robin Pecknold), e nata sulla intersezione delle matrici folk e pop da questa e da quella parte dell’oceano, e cioè sulle radici più “popolari” per definizione, non si riesca a canticchiare una canzone sotto la doccia. Probabilmente a causa del fatto che le canzoni del gruppo di Seattle (ma scritte dal solo Pecknold) sono solo apparentemente semplici, mentre necessitano di più ascolti perché se ne possa apprezzare la raffinata complessità. Che, va da sé, non è né leggera né fischiettabile. Abbandonati definitivamente i richiami a Beach Boys e Simon & Garfunkel che rendevano leggiadro il debutto omonimo nel 2008, e fortunatamente tralasciata l’evoluzione verso una musica colta di impronta elisabettiana che troppo seriosamente impregnava il terzo lavoro (Crack-Up, 2017), restano le deliziose armonizzazioni vocali di scuola CSN&Y prestate ad un folk-pop meno cerebrale ma sempre sofisticato, da biblioteca piuttosto che pastorale, più in forma-canzone dalle parti del loro capolavoro Helplessness Blue (2011), sebbene di questo meno intrigante e magmatico. Come illustra la splendida copertina, Shore rappresenta insieme la tentazione del tuffo e la sicurezza dopo la burrasca. Per emergere dalla paura paralizzante dell’ondata-COVID19 in USA, Pecknold ha dichiaratamente composto le 15 canzoni di Shore per accarezzare più che per scuotere. Come al solito sostenuto da strumenti ed arrangiamenti acustici, senza mai l’ombra di un assolo, Shore necessita di numerosi ascolti per essere apprezzato pienamente: non vi sono brani memorabili in questo album pubblicato in occasione del solstizio d’autunno di un anno tragicamente bisestile, ma non uno meno che buono, e parecchi eccellenti. E se l’artista americano non arriva a commuovere, riesce ancora una volta a farsi ammirare.  

Voto Microby: 8    

Preferite: Can I Believe You, Maestranza, Sunblind

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