lunedì 23 settembre 2019

Recensione: Drew Holcomb & the Neighbors - Dragons (2019)

Drew Holcomb & the Neighbors - Dragons (2019)
A due anni dal precedente lavoro, DH si conferma come uno dei migliori esponenti di folk-powerpop americano. Arricchito dalla moglie Ellie, da Lori McKenna e da Zack Williams dei Lone Bellow, tra i più brillanti esponenti contemporanei di indie-pop, il disco è un insieme di ballate acustiche accompagnate da percussioni minimali, in cui l’imprinting Americana si contamina con ispirazioni provenienti di qua e di là dell’Atlantico. Melodie cristalline e solari in cui si sentono George Harrison e Graham Nash, Stephen Kellogg e Buddy Miller, Randy Newman e Harry Nilsson. Un disco che trasuda buonumore, semplice e sincero. 

Da ascoltare: See the World, End of the World, Make It Look So Easy. Voto:


giovedì 19 settembre 2019

KEVIN MORBY



KEVIN MORBY (2019) Oh My God


Davvero bizzarro l’ex The Babies e Woods, partito dall’indie-rock e, una volta smarcatosi, mai realmente approdato a qualche sottogenere significativo (per vendite o storia della nostra musica). In testa ci sono sempre Bob Dylan, Leonard Cohen e Lou Reed, ma con un’estetica “slacker” che lo avvicina anche a Pete Doherty, Stephen Malkmus/Pavement, Grandaddy e cantanti vari apparentemente “scazzati” (vedi i più recenti Joseph Arthur, Mac DeMarco e Kurt Vile). La qualità della sua produzione è peraltro sempre stata apprezzabile (mai tuttavia imprescindibile). Stavolta al primo ascolto sembra aver fatto il passo più lungo della gamba: come il Dylan di Saved il musicista americano sembra il nuovo illuminato sulla via di Damasco e, in scia agli artisti del cosiddetto “christian rock”, ci propone un predicozzo i cui testi (espliciti già nei titoli) urticherebbero atei ed agnostici, ma accompagnati da musiche ed arrangiamenti intriganti e piacevoli per quanto strani, quasi esclusivamente acustici, che ci fanno dimenticare le continue invocazioni al nostro dio e signore. Critica musicale divisa in due: io sto con quella cui, alla fine, il disco è piaciuto (senza gridare al miracolo...oops!).
Voto Microby: 7.5
Preferite: Hail Mary, Seven Devils, Piss River

lunedì 9 settembre 2019

THE DIVINE COMEDY


THE DIVINE COMEDY (2019) Office Politics

Emersa nei primi anni ‘90 in piena esplosione del fenomeno brit-pop (ma più in orbita Pulp che Oasis/Blur), la band-veicolo del bizzarro ma dotato dandy nordirlandese Neil Hannon aveva già in fasce un piede nel post-brit pop pianistico e cinematico targato Coldplay. Una carriera apprezzabile anche perché sempre fuori dagli schemi, nel suo rendere piacevolmente attuale l’old-fashion, fino a renderlo evergreen. Due soli i capolavori di squisito artigianato pop, Casanova del 1996 ed il più articolato Regeneration del 2001. In mezzo un discontinuo movimento di lavori mediamente buoni, con gioiellini pop dai testi intelligenti ed ironici (se non beffardi), e musiche che hanno miscelato sapientemente beat, chamber pop, prog, vaudeville, cinema, classica ed operetta, in un excursus che ha precedenti illustri in Todd Rundgren, 10CC, Sparks, Bryan Ferry, Rufus Wainwright, il David Bowie ed i Queen più glam, solo per citarne alcuni. A tre anni dal precedente Foreverland (buono), Hannon ci sorprende ancora con la novità di incursioni nella musica elettronica. Stavolta toppando, dal momento che i brani “elettronici” non posseggono né il crisma dell’originalità né quello della qualità. Fortunatamente sono del tutto scorporati dall’unicum pop barocco hannoniano che permea il resto dell’album, al solito melodico, colorato, raffinato, romantico e corposo (16 brani ufficiali, che diventano 31 nella Deluxe Edition che acclude un bonus disc di inediti prevalentemente piano e voce). Dopo un editing che sopprima un paio di brani elettronici e 2-3 canzoni fuori contesto ed anche qualitativamente trascurabili (più pleonastiche che inutili), resta un disco di pop atemporale ben scritto, arrangiato ed interpretato. Una delizia per le orecchie e l’unica caratteristica costante per l’originale Mr. Hannon.
Voto Microby: 7.7
Preferite: You’ll Never Work In This Town Again, Norman and Norma, When The Working Day Is Done

martedì 3 settembre 2019

Recensione: Lloyd Cole - Guesswork (2019)

LLOYD COLE - Guesswork (2019)

Dal suo primo disco, il bellissimo Rattlesnakes, sono passati ormai ben 35 anni.

Le sue caratteristiche ballate, introdotte da lunghi incipit strumentali, le chitarre arpeggiate e le tastiere avvolgenti, gli arrangiamenti vagamente malinconici, in questo disco sono decisamente meno numerosi che in passato. Qui ci sono per lo più batterie elettroniche stile electro-pop anni ’80, un pò del genere Wall of Voodoo, Talk Talk o Robert Palmer, che in ogni caso generano un pop magari non sempre brillante ma comunque piacevole. Difficile dire se si tratta di un disco che possa piacere a quanti amano il vecchio Lloyd Cole, ma almeno le ballate più classicamente melodiche si fanno ricordare volentieri. Un disco con alti e bassi ma può fare decisamente di meglio. Da ascoltare: Night Sweats. Voto: 1/2


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