martedì 19 dicembre 2017

U2


U2 (2017) Songs of Experience



Non possiamo sul nostro blog non spendere due parole sull'ultima fatica di una band che abbiamo trasversalmente amato tutti. Persino controvoglia perchè dobbiamo ammettere che, cambiati noi-cambiati loro-cambiato il mondo, gli U2 non riescono più a soddisfare la proiezione dei nostri bisogni/desideri. Personalmente non ho mai sopportato lo snobismo dei critici rock (ai massimi livelli in Italia), per cui ogni "grande" band lo è finchè è di nicchia, e diventa "mediocre" non appena conquista le classifiche, magari proponendo le medesime soluzioni musicali che piacevano underground. In Italia si spara sugli U2 dai tempi di Pop (1997), e della produzione degli ultimi 20 anni se ne scrive neanche fosse la copia irlandese dei Pooh. Più che ingiusto (è vero che la band di Bono è stata grandissima fino a Zooropa, 1993) è sbagliato: gli U2 hanno sfornato fior di lavori pop-rock, sebbene non innovativi, in tutti gli anni zero, dimenticando come si fa ad essere ispirati ed originali solo nella diade più recente Songs of Innocence/Songs of Experience. Sì perchè se, per la prima volta nella loro carriera, il disco precedente era stato solo "carino", salvato dal mestiere e dalla classe, in quello attuale si fa fatica ad accettare la sorprendente mancanza di personalità che li porta ad essere talvolta la parodia di sè stessi, oppure a cercare soluzioni esterne (come l'affidarsi a produttori hipster) perchè dall'interno mancano idee. Non di scrittura, chè quando decidono di essere dei dubliners con l'adolescenza nei '70 abbracciano la semplicità e producono il meglio dell'album (sebbene già ampiamente ascoltato nella loro splendida discografia: vedi The Showman, You're The Best Thing About Me, Summer of Love). Mancano arrangiamenti e direzione ("it feels like U2's greatest aspiration is to be as graceful as Coldplay", All Music): il loro rock da arena, che pure li ha visti tra i massimi esponenti, è attualmente tronfio e dozzinale persino per gli adolescenti di oggi, e brani innodici ma sciapi come American Soul, Lights of Home, Love Is Bigger Than Anything In Its Way ed altri potranno esaltare i cori-singalong allo stadio ma commuovere solo cuori di bocca buona. Restano scampoli di antica (ma non più appassionata) classe, ma quel che resta anche dopo ripetuti ascolti è una carineria a sprazzi, un invito allo skipping, e soprattutto il crollo delle aspettative per l'attività futura della band (eccetto quella live, per la quale è giustamente famosa). Per dirla con un'immagine, gli U2 oggi sono finti come il colore dei capelli di Bono: peccato, perchè il cervello sotto la tinta resta quello di un grande artista, le cui priorità nella vita attuale non sono purtroppo musicali. "For the first time, U2 seem smaller than life" (All Music).
Voto Microby: 6.6
Preferite: The Showman, You're The Best Thing About Me, Summer of Love

lunedì 18 dicembre 2017

Recensioni: Asaf Avidan, The Weather Station, Bob Seger

ASAF AVIDAN - The Study of Falling (2017)

Terzo album per il giovane cantautore israeliano dalla voce fragile e malinconica, ma decisamente acuta e penetrante. Un suono viscerale, per un mix di blues, rock, folk, country con una timbrica che è stata definita “un insieme di Janis Joplin, Robert Plant e Jeff Buckley”. Un album brillante, indispensabile per i fans di Leonard Cohen, Tom Waits e del Bob Dylan di Time Out of Mind (“Holding on Yesterday”) ed ottimo da ascoltare in queste serate grigie con un buon bicchiere di rosso.
Da ascoltare: Sweet Babylon, The Study On Falling, Holding On To Yesterday. Voto: ☆☆☆☆



THE WEATHER STATION - The Weather Station (2017)

Canadesi di Toronto, al 4° album in quasi 11 anni di carriera, sono una buona band di folk delicatamente elettrico con toni introspettivi vagamente jazzati e talking blues psichedelici: il cuore pulsante del gruppo è la bravissima cantautrice Tamara Lindeman, voce e chitarra. Sempre in equilibrio tra acustico ed elettrico, i rimandi sono soprattutto Joni Mitchell e Bill Callahan ma anche Suzanne Vega, Aimee Mann, Ane Brun. Manca qualcosa per imporli alla considerazione generale ma si tratta comunque di una band (cantautrice) di grande talento. Da ascoltare: Thirty, You and I. Voto: ☆☆☆



BOB SEGER - I knew you when (2017)


Il leone di Detroit ha pubblicato tre album negli ultimi 22 anni, probabilmente perché non se la passa molto bene fisicamente (problemi imprecisati alle vertebre) anche se la voce non sembra aver perso un grammo della ruvida irruenza che l’ha sempre caratterizzata. Anche in questo disco la sua proverbiale ritmica rock-blues è il filo conduttore dell’album, ricco di tributi ai grandi che ci hanno lasciato negli ultimi anni: Lou Reed, Leonard Cohen e Glenn Frey. La migliore canzone del lavoro è proprio la ballata, in onore di Glenn Frey, che dà il titolo all’album; purtroppo la maggior parte degli altri brani appaiono decisamente meno riusciti intaccandone il giudizio complessivo. Da ascoltare: I knew you when. Voto: ☆☆

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