venerdì 28 dicembre 2012

Da evitare come la peste. Altre delusioni del 2012.


Sicuro di offendere qualcuno dei blogger, ma stimolato da Microby, cui mi associo nella valutazione della sua lista,  ecco un piccolo elenco del peggio del 2012 (praticamente ≤ 1 stella). Vi prego, non prendetevela e non cominciate a insultarmi.

Lana Del Rey - Born to die   Biondona platinata sulle orme di Madonna, Lady Gaga ecc ecc
Paul McCartney - Kisses on the bottom   Ecco, appunto, baciami il .... Da dimenticare.
Ingrid Michaelson - Human again   Una delle mie pop-singer preferite; stavolta ha toppato.
Air - Voyage Dans La lune     Che noia cosmica...
Mars Volta - Nocturniquet   Ovvero come avvitarsi su se stessi
Dave Barnes - Stories to tell   Stesso discorso fatto per la Michaelson
Neil Young - Americana   Certe volte penso che NY creda che siamo tutti scemi: meno male che poi sono arrivate le pillole psichedeliche.
Jeff Lynne - Long wave    Inutile. 
Steve Forbert - Over with you   Da pensionare.
Brian Eno - Lux    Stavolta non mi ha convinto per niente. Uno dei suoi dischi "per pochi".
Van Der Graaf Generator - Alt     Amo da sempre Peter Hammill ma questa operazione non la capisco: accendere il microfono e registrare qualsiasi cosa passa per la testa mi pare un insulto.
Ben Taylor - Listening   Papà James fai qualcosa per riportarlo sulla retta via
Diana Krall - Glad dag roll   Dovevo capirlo dalla copertina stile Maja Desnuda
Badly Drawn Boy - Being Flynn   Senza capo nè coda
Tony Banks - Six pieces for orchestra     Il vero ex-leader dei Genesis secondo me ha l'Alzheimer.
Todd Snider - The songs of Jerry Jeff.  Lo metto nell'elenco perchè da colui che si considera il vero discepolo di Jerry Jeff Walker mi sarei aspettato un disco di ben altro spessore
Joan Armatrading - Starlight    Da esodare Fornero-style
Fiona Apple - The idler Wheel......     Inascoltabile e pretenzioso
Yeasayer - Fragrant world   Hanno dissipato quanto di buono fatto con il precedente lavoro
John Frusciante - Pbx funicular intaglio zone    Un disco elettro-house-trance. Perchè?

DELUSIONI 2012: Mark Lanegan Band, Cat Power, Ryan Bingham, Wovenhand, Muse, Paul Banks

Visto che i Maya ci hanno risparmiato ed inizieremo il nuovo anno con la consueta Classifica dei migliori albums del 2012, mi pare un buon viatico per il 2013 buttare dal balcone, come fanno a Napoli la notte di San Silvestro, i dischi pubblicati nel 2012 da gruppi/solisti che amiamo, e dai quali pretendiamo più che un semplice compitino mandato a memoria o prove scialbe/poco ispirate.
Quelli che seguono sono rospi che ho poco digerito...
Aspetto segnalazioni di cattive digestioni anche dagli altri bloggers, augurando a tutti per il 2013 pranzi luculliani per quantità e qualità, in ogni anfratto di vita!

MARK LANEGAN BAND (2012) Blues Funeral (A 8 anni da Bubblegum sembra che la vena artistica del nostro si sia prosciugata, forse assorbita dai mille progetti collaterali. Di fatto non basta possedere una delle voci più belle del rock per salvare un lavoro che si barcamena tra pasticci hard rock, blues stanchi, ballate confuse, rabbia finta e batteria (drum-machine) altrettanto. Il suo peggior album di sempre, collaborazioni comprese) 6.3/10

CAT POWER (2012) Sun (Al primo album di canzoni autografe dopo 6 anni l’americana Chan Marshall, una delle cantautrici più stimate della sua generazione, prova a cambiare registro con arrangiamenti elettronici, drum machine, loop sintetici, chitarre taglienti e fredde ed il missaggio di Zdar (Cassius e Phoenix). La solita voce calda e malinconica di Chan prova a scaldare il tutto, ma non basta per un lavoro privo di grande ispirazione e con una produzione (la prima in proprio) ancora acerba) 6.9/10   

RYAN BINGHAM (2012) Tomorrowland (Primo passo falso per l’eroe di Mescalito, che vira decisamente dal country al rock ma sbaglia produzione: nella ricerca di un suono pieno deborda nel tronfio, energico nell’eccessivo, potente nel ridondante, elettrico nell’hard. Al solito bellissima la voce, cartavetrata e calda. Ma da sola non basta) 6.5/10

WOVENHAND (2012) The Laughing Stalk (Il predicatore “mani giunte” cristiano David Eugene Edwards, sciolta da tempo l’esperienza 16 Horsepower, le cui belle tonalità dark-alt.country risultavano per gli altri membri della band troppo infarcite di testi biblici, prosegue imperterrito la sua vocazione mistico-catartico-redentrice, quasi fosse un Jim Morrison liturgico, e negli ultimi albums propone scalette quasi interamente dedicate alla gloria di Dio, purtroppo abbandonando banjo, slide e gli umori sudisti a favore di un suono martellante, cupo e percussivo, in cui l’elettricità diventa distorsione/dissonanza, perfetta se si evoca l’apocalisse ma noiosa se ciò che si cerca non è un sermone, in cui a fatica si distingue un brano dall’altro, non solo per l’assunto ma anche per varietà di temi musicali. Triste deriva, se penso che il bellissimo Consider The Birds nel 2004 era stato il mio disco dell’anno) 6/10

MUSE (2012) The 2nd Law (Esordito come riuscita ed originale fusione tra glam, prog ed elettronica, il gruppo inglese ha progressivamente perso il controllo del progetto che al sesto album suona come una parodia di sé stesso, confuso tra magniloquenza alla Queen ma incontrollata, epica alla U2 ma tronfia, elettronica becera alla Rockets. Salvo il genio, compositivo ed esecutivo, del leader Matthew Bellamy, gli arrangiamenti sarebbero totalmente da rifare. Non rassicura il fatto che, più che lo scivolone di un singolo album, sembra la china imboccata da almeno 3 lavori. Urge un colpo d’ala, che la band ha nel suo DNA) 6.7/10

PAUL BANKS (2012) Banks (Aveva già esordito con l’aka Julian Plenti, il cantante degli Interpol che in quest’album si propone con la vera identità, ma non cambia il prodotto finale, un pop-rock lontano dal neo-dark della band-madre, con frequenti cambi di ritmo e melodia nella medesima canzone, ma senza una precisa direzione né spunti di rilievo, se si eccettua la bella voce baritonale del protagonista) 6.7/10

venerdì 21 dicembre 2012

ZONA CESARINI 2012: Cody ChesnuTT, Sean Rowe, Band of Skulls, Jon DeRosa, Jens Lekman, Matthew E. White

CODY CHESNUTT (2012) Landing On A Hundred (E’ vero che la moda del momento per la black music “d’autore” è rifarsi al soul dei fine ’60-inizio ’70, ma è anche vero che Cody ChesnuTT, autore di un solo altro album 10 anni fa, capolavoro di integrazione tra soul e rock, hip-hop e blues, funky e pop, lo fa meglio di tutti. Nel secondo album lo stile imperante è il soul-funky di Marvin Gaye/Bill Withers/Curtis Mayfield/Sly Stone, e la qualità compositiva/interpretativa e i ricchi arrangiamenti di fiati/archi/voci pone l’epigone al livello degli originali. Mio album black dell’anno) 8/10

SEAN ROWE (2012) The Salesman and The Shark (Musicista e naturalista newyorkese ma ritiratosi a vivere in una capanna in mezzo ai monti, il nostro al terzo album dimostra di essere un eccellente songwriter, ed aiutato da una voce cavernosa e nasale scorrazza in territori che evocano alternativamente ed insieme il primo Tom Waits e Greg Brown, Leonard Cohen e Micah P. Hinson, Townes Van Zandt e lo Scott Walker pop, in una varietà di generi (dal country al blues, dal crooning al gospel) e di stili (si va dall’orchestra alle sciabolate elettriche, da cori ieratici all’arpeggio acustico, dal piano jazzy alla slide guitar) che gli si addicono e che, invece di frammentare il lavoro, lo vivacizzano. E le potenzialità sono solo accennate.) 8/10

BAND OF SKULLS (2012) Sweet Sour (2° album per il trio inglese che discende musicalmente dai Led Zeppelin ma suona il genere degli americani Black Mountain, Black Keys, BRMC, Raconteurs. Schizofrenico tra una prima parte elettrica, dai riffs energici ed orecchiabili, ed una seconda acustica, trasognata; entrambe caratterizzate da grande senso melodico e gusto per le armonizzazioni a 2 voci maschio/femmina) 7.9/10

JON DeROSA (2012) A Wolf In Preacher’s Clothes (Bel debutto per il 34enne del New Jersey dalla voce morbida, vellutata, suadente e dagli arrangiamenti acustici raffinati ma mai melliflui. La scuola è quella di Lloyd Cole e Neil Hannon, ma soprattutto del primo Richard Hawley, con un velo di malinconia alla Paul Buchanan, anche se l’effetto finale è più di pace e serenità. Una dolce carezza natalizia) 7.9/10

JENS LEKMAN (2012) I Know What Love Isn’t (Al terzo lavoro lo svedese conferma l’amore per Burt Bacharach, Badly Drawn Boy ed il pop anni ’50-’60, cinematografico e raffinato negli arrangiamenti così come acuto nei testi, brillante ed insieme melancolico (come l’amore che canta), con la voce morbida ed a tratti leziosa. Un popster che si conferma di categoria superiore rispetto alla media) 7.5/10

MATTHEW E. WHITE (2012) Big Inner (Esordio per il trentenne della Virginia nel segno dell’originalità: cantautorato sudista farcito di R’n’B di New Orleans, soul e tropicalia, fiati languidi ed archi appiccicosi. Come se Sufjan Stevens avesse incontrato Dr. John, o Harry Nilsson – Allen Toussaint, o Randy Newman – Curtis Mayfield. Peccato per la voce, intima e colloquiale, ma anonima e poco adatta al contesto) 7.5/10

lunedì 17 dicembre 2012

Minirecensioni: Graham Parker, Phillip Phillips, National Flower, Beth Hart

Graham Parker & the Rumour - Three chords good (2012)
Sono passati ben 32 anni dall'ultimo lavoro insieme ai The Rumor, band che a mio parere sta a GP come le E Street Band sta al Boss. Con loro aveva infatti firmato i due memorabili "Howlin' Wind" (1976) e "Squeezing Out Sparks" (1979) e, in quest'anno che ha visto il ritorno sulle scene di molti dei grandi vecchi del rock, evidentemente ha deciso che era il momento di riunire la vecchia band e divertirsi un pò. Non che GP abbia mai smesso di fare album: in realtà negli ultimi anni ha prodotto, a mio parere, album fantastici, che nessuno si è filato e che sono pertanto passati sotto silenzio e relativo insuccesso di critica e di vendite, ahilui. Le atmosfere non sono quelle arrabbiate di 30 anni fa, ma piuttosto quelle più vicine a Van Morrison o Bob Dylan, con tocchi di Giamaica e riffs rock & roll qua e là. Il disco si apre con il reggae bianco di "Snake oil capital of the world", una maledettamente classica "Long emotional ride"e la piacevolissima ballata "Stop crying about the rain" e si chiude con un altro terzetto di brani memorabili ("Arlington's busy", "Coathangers" e "Last bookstore in town"). Voto: ☆☆☆☆
Phillip Phillips - The world from the side of the moon (2012)
Ok, ok non è che il curriculum lo aiuti molto per chi, come chi scrive, è allergico ai vincitori dei vari concorsi musicali televisivi, ma PP, fresco vincitore di "American Idol", merita indubbiamente un ascolto obiettivo. Del resto, anche Pete Townshend e Dave Matthews sembra siano stati colpiti dal suo stile e ciò può valere a sua discolpa...Quello che lascia un po' perplessi sono proprio i suoi continui riferimenti musicali: ascoltando i brani dell'album si ha l'impressione di trovarsi di fronte ora a Dave Matthews ("Man on the Moon", "Tell me a story"), Jason Mraz ("Get Up Get Down") o Mumford & Sons (la bella "Home" e "Gone Gone Gone"). Evidentemente deve ancora trovare una sua chiara identità e probabilmente la necessità discografica di mettere in commercio un disco per battere il ferro finchè è caldo l'ha costretto ad attingere a piene mani alle musicalità di suoi colleghi più affermati. Per ora lo segnaliamo con simpatia ed interesse e lo aspettiamo al varco in prospettiva sperando non si perda nel pop neo-melodico più commerciale. Grazie Fabius per la segnalazione. Voto: ☆☆☆
National Flower - State Line to State Line (2012)
Bisogna sempre ascoltare con interesse le novità dell'etichetta cdbaby, spesso trampolino di lancio per molti del giro Indie. Questo gruppo dell'area di Portland si caratterizza per gli arrangiamenti cristallini ed evocativi: il genere è un piacevolissimo pop folk di chiara impronta americana. I brani più interessanti e piacevoli sono "Waist high grass", "Speeding train" e "Dandelion". Da scoprire. Voto: ☆☆☆1/2
Beth Hart - Bang bang boom boom (2012)
Ogni volta che ascolto un suo disco (siamo al suo ottavo) spero sempre che questa sia la volta buona, soprattutto per lei ovviamente. Una voce strepitosa, un'anima R&B come poche altre, una grande raffinatezza interpretativa.  Lo scorso anno aveva prodotto uno splendido lavoro insieme al mitico Joe Bonamassa ma anche stavolta  il suo talento non riesce ad emergere completamente: mancano sempre due soldi per fare una lira.  Non intendo dire che si tratta di un album mediocre; tutt'altro, è un bel disco, tuttavia ancora poco continuo e complessivamente disomogeneo con troppi alti e bassi. Aspettiamo il prossimo: Bonamassa aiutala tu! Voto: ☆☆☆1/2


domenica 9 dicembre 2012

Minirecensioni: Avett Brothers, Green Day, Wallflowers, Ian Hunter

The Avett Brothers - The Carpenter (2012)
Originari della North Carolina, nascono come band sostanzialmente bluegrass (banjo-chitarra-violoncello-contrabbasso) di interesse prevalentemente regionale: con il disco del 2009  "I and Love and You", senza dubbio una delle grandi sorprese di quell'anno (con conseguente successo internazionale di critica e di vendite), si è assistito al primo passaggio verso ritmi decisamente folk-rock con qualche progressione pop per niente sgradevole. Con quest'ultimo lavoro il passaggio si è definitivamente completato: certo le imperfezioni ci sono ma l'impressione è quella di una band che sta compiendo un suo percorso artistico, fatto di sbandamenti ma anche di grandi ispirazioni ("Live and die", "The Once and Future Carpenter"). Un disco di contrasti: tra gioia e dolore, corse disperate e riflessioni al buio. Da mettere sullo scaffale in parte a Mumford & Sons, Midlake, John Grant, Fleet Foxes. Voto: ☆☆☆☆
Green Day - Uno! Dos! Tre! (2012)
Raggiunta la fama come gruppo pop punk, negli ultimi 10 anni hanno cercato di diventare i moderni Who, con due concept album quali American Idiot del 2001 e 21st Century Breakdown del 2009. Questi nuovi lavori, orientati invece verso il primo periodo sono stati realizzati in successione: energia stile Clash, poche discussioni politiche (al contrario che nei lavori sopracitati) e ritmi punk-rock. Molto piacevoli e pieno di carica musicale come si deve. Magari si poteva fare un doppio e basta. Voto: ☆☆☆
The Wallflowers - Glad all over (2012)
Dopo 7 anni di lavori solisti Jakob Dylan ha rimesso insieme la band con la quale era arrivata ad un notevole successo negli anni'90 (anche se il loro lavoro forse migliore, "Breach" era passato un po' sotto silenzio). Questo lavoro, il 6° del gruppo, attinge a piene mani da influenze Dylaniane (e questo è ovvio) e Springsteeniane (vedasi soprattutto la bellissima "Constellation Blues"). Voto: ☆☆☆1/2
Ian Hunter - When I'm President (2012)
In attesa del suo prossimo gradito arrivo dalle nostre parti (7 marzo, Cologne, provincia di Brescia), anche in questo lavoro la sua classe di rock'n'roll man si dimostra sempre cristallina.  Saranno 40 anni che è in giro a far musica ma sembra sempre un ragazzino. E proprio per riconfermare la sua verve sopraffina ha deciso di mettere da parte le ballate degli ultimi lavori e di uscirsene con un disco di sano e puro rock and roll. Voto: ☆☆☆☆

sabato 8 dicembre 2012

MINIRECENSIONI: Gravenhurst, Rover, Piano Magic, Murder By Death, Goat

GRAVENHURST (2012) The Ghost In Daylight (Progetto del polistrumentista bristoliano Nick Talbot, che al 5° album riesce ancora efficacemente ad unire l’elettronica soffusa alla Brian Eno col fingerpicking alla Bert Jansch, il mood malinconico di Nick Drake, reminiscenze di folk inglese ed accenni di shoegaze alla My Bloody Valentine) 7.5/10

ROVER (2012) Rover (Nome d’arte del francese Timothee Régnier, cresciuto artisticamente tra gli USA e Berlino, Rover è dominato da un’atmosfera glam/decadente, alla David Bowie periodo-Hunky Dory, ma le influenze spaziano dal melodramma alla Chris De Burgh e i barocchismi alla Rufus Wainwright, alla voce baritonale da crooner in stile Scott Walker/Barry Adamson più acustici e pop, al falsetto ed elettronica alla Jimmy Somerville, all’impressionismo prog alla Duncan Browne/Métro, al romanticismo pop alla Divine Comedy. Novello dandy alla Serge Gainsbourg, in un blend ispirato, ma ancora troppo indeciso sulla direzione da prendere) 7.4/10

PIANO MAGIC (2012) Life Has Not Finished With Me Yet (Il gruppo inglese guidato da Glen Johnson dal 1997 esprime molteplici influenze, esitanti in lavori spesso differenti l’uno dall’altro. Ora è la volta di un pop elegante, ipnotico, raffinato, discepolo tanto dei Japan di fine carriera quanto del dark decadente dei Dali’s Car o del trip-hop romantico dei primi Massive Attack. Ahimè senza le voci di David Sylvian, Peter Murphy, Elisabeth Frazier) 7.6/10

MURDER BY DEATH (2012) Bitter Drink, Bitter Moon (Sesto album per la band dell’Indiana, la più titolata nel proporre appassionate murder ballads/killer songs in stile Nick Cave dell’era Bad Seeds romantici ma non ancora mielosi. Lo stile noir dei MBD è arricchito dalla voce grave del leader Adam Turla, da un’atmosfera da loner (nonostante la ricchezza degli arrangiamenti) che richiama un Johnny Cash elettrico e dark, da tocchi di pianoforte alla Black Heart Procession e da un violino veemente, a tratti quasi satanico, che ben giustifica l’autodefinizione del gruppo come autore di “whiskey devil music”) 8/10

GOAT (2012) World Music (Esordio di un misterioso combo svedese temporalmente fermo agli anni ’70, ma spazialmente contaminato come pochi: trionfo di percussioni, chitarre psichedeliche, tastiere da space-rock, voce femminile tra Grace Slick e le punk riot girls, energia contagiosa ed insieme sognante. Come se l’Africa di Fela Kuti incontrasse l’ acid rock californiano dei ’70, il krautrock dei Can e la rabbia delle Sleater-Kinney. Tutti sotto cannabis) 7.4/10

sabato 24 novembre 2012

The Beauty Room : II (2102)

Quando Fabius me li fece ascoltare qualche anno fa, fu una specie di rivelazione mistica. Da allora, a cadenza periodica andavo a cercare un seguito a quel magnifico album ma niente da fare: pensavo ormai non esistessero più e fossero scomparsi un qualche angolo di paradiso musicale, cui sicuramente sono destinati. Ecco invece il nuovo lavoro di questo insolito ensemble: un produttore e DJ tecno-elettronico (Kirk Degiorgio) dall'enorme spirito creativo ed un vocalist (Jinadu) geniale tessitore di armonie e melodie. Chi li ascolta si sente proiettato in un altro mondo, un mondo in cui il West Coast sound di CSNY si fonde con i controtempi degli Steely Dan, e dove Duncan Sheik duetta con Jamiroquai. Sto esagerando? Probabilmente. Ma è impossibile non emozionarsi di fronte a qualcosa di unico ed inafferrabile, in grado di stupirti e commuoverti.  Da mettere in playlist: "But for now", "Shadows falling", "One man show". Voto ★★★1/2  (le cinque stelle vanno al lavoro del 2006, omonimo, assolutamente da avere).

venerdì 23 novembre 2012

MINIRECENSIONI: Donald Fagen, John Hiatt, Jason Mraz, Bonnie Raitt, Lucero

DONALD FAGEN (2012) Sunken Condos (Ritorno in grande spolvero per l’artefice, con Walter Brecker, di una formula musicale inimitabile ed immediatamente riconoscibile, un blend perfetto di pop, jazz, soul, rock e fusion che ha prodotto in passato numerosi capolavori col marchio Steely Dan ed almeno uno con l’esordio solistico The Nightfly del 1982. Ebbene Sunken Condos rappresenta il lavoro migliore di Fagen dal 1982, reunion della band-madre compresa, per scrittura, esecuzione, produzione e la solita cura meticolosa dei dettagli) 8/10

JOHN HIATT (2012) Mystic Pinball (In 38 anni e 21 albums in studio le coordinate musicali dell’americano non sono mai granchè cambiate –50% rock, 20% country, 20% blues, 10% soul, percentuale più-percentuale meno a seconda del periodo storico—così come la qualità sempre medio-alta del prodotto finale. Non fa eccezione l’ultimo lavoro, brillante sia nelle appassionate ballate tra The Band e Springsteen sia nei rock grintosi tra Little Feat e Rolling Stones) 7.7/10

JASON MRAZ (2012) Love Is A Four Letter Word (Mr.A-Z si conferma un big seller negli USA, nonostante sia poco conosciuto da noi. Ed è un peccato, perché il suo pop screziato di blue-eyed soul, di reggae, di folk-rock è intelligente, orecchiabile e raffinato, moderno ma evergreen, come di chi prima di incidere ha mandato a memoria la lezione di Billy Joel, Paul Simon, Loggins & Messina, Bruce Hornsby, Hall & Oates) 7.7/10

BONNIE RAITT (2012) Slipstream (La 62enne slide-guitarist americana presenta uno dei più ispirati albums della sua 40ennale carriera, anche se la ricetta non cambia: brani country-rock-blues, al solito per lo più non autografi,  prevalentemente elettrici, ottimamente suonati dalla sua live band con comparsate di Bill Frisell all’elettrica e Joe Henry alla produzione) 7.8/10

LUCERO (2012) Women And Work (Inconsueta ma riuscita la trasformazione che ha portato la band di Memphis dall’iniziale energia punk dedicata ad un alt.country di qualità, all’attuale ibridazione col soul/gospel di casa. E così ora abbiamo un country come lo intendevano Blasters e Beat Farmers, shakerato con un blue collar rock springsteeniano che suona come i Gaslight Anthem con i fiati Stax, o Southside Johnny in vacanza al sud. Energico, caldo, maschio) 7.9/10

martedì 20 novembre 2012

NEIL YOUNG & CRAZY HORSE (2012) Psychedelic Pill

Dopo il trascurabile Americana, puro divertissement da sala prove di pochi mesi orsono, il canadese transgenerazionale propone la fatica vera, peraltro in doppio CD, sempre in compagnia dei Crazy Horse. Ed è un ritorno alla grande, nella migliore tradizione della simbiosi di Young con Sampedro, Talbot e Molina: un suono sporco, torbido, elettrico, lo-fi, come non ascoltavamo (se non a sprazzi, ma col contagocce nell’ultimo decennio, vedi l’apprezzabile Chrome Dreams II) da una ventina di anni, ai tempi di Freedom/Ragged Glory/Weld.
“Si parte con un arpeggio alla chitarra acustica e poi una sventagliata di elettricità per 27 minuti” (cito Steven Noble), quelli di Driftin’ Back, paradigma di un album che rappresenta anche “a way of separating the men from the boys” (cito Stephen Thomas Erlewine su AMG): quale l’adolescente che oggi ascolterebbe in poltrona o cuffia le derapate lisergiche di un 67enne per i 27’ di Driftin’ Back o i 18’ di Ramada Inn o Walk Like A Giant? O quale radio/MTV/YT proporrebbe jams così lunghe? 88 minuti totali (il primo album in studio doppio da sempre per il canadese) per soli 9 brani, che non risultano mai compiaciuti rétro o piacevolmente passatisti, ma piuttosto senza tempo (ma con una dimora ben collocata, l’America).
Dai tempi di Hendrix pochi hanno saputo, come Young, far cantare una chitarra elettrica in modo drammatico ma non mélo, struggente ma non piagnucoloso, dolente ma non rassegnato, ferito ma non moribondo.  In Psychedelic Pill non troviamo la rabbia giovane e pugnace di Southern Man, Cortez The Killer o Like A Hurricane, ma piuttosto una consapevolezza matura, tesa ma mai arresa, ancora sognante (psichedelica) piuttosto che disperata.
Parliamo chiaro (alla generazione dei padri): nei ’70 Psychedelic Pill sarebbe stato un lavoro imperdibile, ora non lo è solo perché figlio dei capolavori di allora. Ora non possiamo più permetterci un’ora e mezza in poltrona per un disco: concediamocelo in auto, con il volume a palla!

Preferite: She’s Always Dancing, Ramada Inn, Walk Like A Giant

Voto Microby: 8.2/10

sabato 10 novembre 2012

MUMFORD & SONS (2012) Babel

Alfieri nella vecchia Europa del ritorno in auge –qualitativo e commerciale—del folk-rock inglese dei seventies (vedi Fairport Convention e Magna Carta) sposato alle armonizzazioni vocali del country-rock californiano (vedi CSN&Y) ed al songwriting di qualità di entrambe le sponde dell’oceano (vedi Simon & Garfunkel e Cat Stevens), ruolo nel nuovo continente assunto con gran classe dai Fleet Foxes, i londinesi a differenza di questi ultimi rinunciano, si spera solo momentaneamente, ad un’ulteriore evoluzione stilistica, limitandosi a proporre in tal senso una copia dell’eccellente esordio: quindi belle armonie corali, plettri con funzione ritmica, epica a stento contenuta, e la voce appassionata di Marcus Mumford.
La mancanza di coraggio è la sola pecca insieme all’utilizzo del banjo in chiave ritmica, brillante ma alla fine sempre uguale a se stesso, ed alla tendenza all’arcadefireizzazione del suono –ma d’altra parte il produttore scelto è Markus Dravs, già artefice dei suoni di The Suburbs del gruppo canadese.
La tendenza ai suoni pieni che sfociano nel melodramma fa prediligere la fruizione di pochi brani per volta, piuttosto che d’insieme, ma in entrambi i casi l’album tende a crescere con gli ascolti.
Qualitativamente Mumford e sodali sono ancora fermi ai blocchi di partenza, ma non dimentichiamo che Sigh No More era stato disco dell’anno in molte playlists del 2009, la mia compresa, quindi occorre forse permettere loro di farci conoscere tutto il materiale partorito in quello stato di grazia.
Al momento abbiamo tra le mani una sorta di copia dell’esordio, ma beninteso si tratta di una gran bella copia. Al solito, il terzo album ci dirà se siamo di fronte a dei fuoriclasse o solo ad un’ottima band.

Preferite: I Will Wait, Babel, Lover of The Light

Voto Microby: 8.2/10

mercoledì 24 ottobre 2012

MINIRECENSIONI: Mark Knopfler, Van Morrison, Dave Matthews Band, Chris Robinson Brotherhood, Smoke Fairies

MARK KNOPFLER (2012) Privateering (17° album solista, comprese le belle colonne sonore, per l’ex leader dei Dire Straits, e nessuna novità di rilievo: solita rivisitazione in punta di piedi, e classe certificata, del folk scozzese e dei suoni bianchi e neri –folk, country, blues—della provincia americana. Grande rispetto per la tradizione ma purtroppo nessuna ricerca, lui che potrebbe; nessun capolavoro, ma buona qualità media delle 20 canzoni) 7.4/10

VAN MORRISON (2012) Born To Sing: No Plan B (Da almeno vent’anni “The Man” si ripete ugale a se stesso, in una sapiente, godibile e griffata miscela di folk-soul-blues-jazz: e non si smentisce nemmeno con l’ultima prova. Come per gli ultimi Dylan e Knopfler la solita, risaputa ma buona, gustosa, rassicurante minestra. Forse i nostri eroi hanno deciso di non avere più l’età adatta ad innovare. E forse è comprensibile, ma che peccato…) 7.6/10

DAVE MATTHEWS BAND (2012) Away From The World (Prosegue la vena creativa, ritrovata nel 2009 col precedente Big Whiskey…, del sudafricano cresciuto musicalmente negli USA. Qui c’è solo una maggiore vena acustica e qualche accenno prog, ma qualità compositiva ed esecutiva e la voce ricca di pathos  sono tornati all’alto livello degli esordi) 7.9/10

CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD (2012) Big Moon Ritual / The Magic Door (Progetto di due albums a pochi mesi l’uno dall’altro, distinti ma che sembrano tuttavia registrati nella medesima sessione, per il cantante dei Black Crowes, che esplora la psichedelia californiana del Laurel Canyon ’60-’70, purtroppo senza la ricerca e l’attualizzazione operata da Jonathan Wilson lo scorso anno per un lavoro simile. Insieme ad un synth un po’ troppo gommoso, il non aver osato l’originalità rappresenta tuttavia l’unica pecca dell’album, dal momento che le composizioni, dilatate dai 7 ai 14 minuti ed ovviamente impreziosite da ispirati, lunghi assoli di chitarra elettrica, corrono nel solco dei migliori Grateful Dead/Quicksilver Messenger Service, solo meno acide e più  serene e solari. Consigliatissimo a chi è in crisi di astinenza da Jerry Garcia/John Cipollina. Meglio il primo del secondo lavoro) 7.8/10 – 7.5/10

SMOKE FAIRIES (2012) Blood Speaks (Come facciano le inglesi Jessica Davies e Katherine Blamire a tenersi in equilibrio tra l’alternative/indie rock, il blues ed il folk inglese di marca seventies che permea i loro –finora 3—lavori è un mistero. Le canzoni scorrono tra echi di Sandy Denny, amalgama alla Clannad, ricerca alla Unthanks con i piedi per terra, aperture alla Loreena McKennitt, fisicità alla Jefferson Airplane, mai facili al primo impatto ma preziose dopo ripetuti ascolti. Come PJ Harvey interpreterebbe oggi Steeleye Span/Pentangle/Fairport Convention) 8/10


sabato 20 ottobre 2012

Recensioni bonsai: Tori Amos, Maceo Parker, Trey Anastasio, JohnnyHickman, Cosmo Jarvis


Tori Amos - Gold Dust (2012)
13° album, pubblicato per la Deutsche Grammophone. Già questo è abbastanza rivelatore. Si tratta infatti di un disco in cui Tori recupera parte della sua vecchia produzione, condendola con archi e orchestrazioni varie, eseguite dalla Dutch Orchestra.  Mi è sempre piaciuta Tori Amos: il suo disco del 2009 era arrivato anche al terzo posto della classifica di questo blog. Potrei chiudere in due modi: "disco da consigliare solo ai veri appassionati" oppure "espressione di onanismo musicale".  Fate voi. Voto ★★.
Maceo Parker - Soul classic (2012)
Per risollevarsi dal disco precedente ci vuole sicuramente un bel power funk come quello di MP, qui registrato in alcuni concerti europei. Per chi non lo conosce, si tratta di una sassofonista assolutamente pazzesco, con il ritmo nelle vene. Impossibile ascoltarlo senza saltare sulla sedia. Ascoltare a canna, please! Voto ★★★1/2
Trey Anastasio - Traveler (2012)
L'ex leader dei Phish è uno a cui non manca di sicuro la voglia di scrivere e suonare.  La sua caratteristica è quella di farlo con grande classe e condire la sua ispirazione con musicalità zappiane o funkieggianti, a seconda dell'estro. Non la sua migliore opera però un bel disco.Voto ★★★1/2
Johnny Hickman - Tilting (2012)
Non poteva mancare un disco di puro folk-country. Hickman è il chitarrista dei Cracker, bel gruppo americano di sano country-rock. Atmosfere folk-bluesy orchestrate con classe sopraffina per un disco godibilissimo, tutto da ascoltare e canticchiare. Voto ★★★1/2
Cosmo Jarvis - Think Bigger (2012)
Americano di 23 anni trapiantato in Inghilterra, ha l'incredibile capacità di passare repentinamente da un tranquillo rock'n'roll ad uno scatenato hard-rock urlato e sanguinante, oppure da melodie funkeggianti alla Lenny Kravitz a controtempi indie alla Jeff Buckley. Il brano "Train Downtown" è qullo che ho ascoltato di più nell'ultimo mese. Wow! Voto ★★★



sabato 13 ottobre 2012

Tallest Man on Earth in concerto a Brescia


Senza dubbio sorprendente. Innanzitutto l'inattesa folla ad accoglierlo, nello spazio, rivelatosi angusto, del Ridotto del Grande: pensavo evidentemente a torto di essere uno dei pochi gasati a conoscerlo. Dopo il perdibile gruppo spalla (gli inglesi Dan Haywood's New Hawks) si presenta il nostro Kristian Mattson, capelli schizzati e canotta grigia un pò burina. Ci illudiamo che venga accompagnato da qualche altro strumentista, ma invece no, l'unica compagna del concerto sarà la sua chitarra, acustica, classica o elettrica che sia, solo in due brani abbandonata per il piano.
Nonostante il suo metro e sessanta di statura, fin dal primo attacco diventa davvero l'uomo più alto del mondo. I brani sono soprattutto quelli dall'ultimo lavoro, il bellissimo "There's no leaving now", alternati a brani meno recenti, quali "King of Spain", "la bellissima "Love is all", "the Gardener" , "The dreamer" suonata al piano, ed una stupenda versione di "Graceland" di Paul Simon, già presente sul singolo di King of Spain introdotta e fusa con "The wild hunt". Tutti i brani sono tirati e sembrano grondare sangue e sudore; il suo fingerpicking non stanca mai, anzi, ci ipnotizza e ci teletrasporta nelle distese sconfinate delle brughiere di tutto il mondo.
Nel camerino, alla fine del concerto, appare stanchissimo e ci fa sapere di essere diretto ad una battuta di pesca alla mosca nei nostri fiumi ai confini con la Svizzera.  Buona pesca Kristian, torna a trovarci presto.


lunedì 8 ottobre 2012

MINIRECENSIONI: Calexico, Cat Power, Patrick Watson, The Welcome Wagon, David Byrne & St. Vincent

CALEXICO (2012) Algiers (Joey Burns e John Convertino non tradiscono mai, seppur allontanandosi dalle tradizionali musiche tex-mex e del border: in un album registrato ad Algiers, quartiere di New Orleans, la città più europea degli Stati Uniti, suonano più lineari di sempre, ma il timbro malinconico, la tesa rassegnazione, la partecipazione commossa e l’atmosfera da aspettativa compressa profumano ancora di frontiera, di confine, che sia messicano, cubano o mediterraneo) 8/10

CAT POWER (2012) Sun (Al primo album di canzoni autografe dopo 6 anni l’americana Chan Marshall, una delle cantautrici più stimate della sua generazione, prova a cambiare registro con arrangiamenti elettronici, drum machine, loop sintetici, chitarre taglienti e fredde ed il missaggio di Zdar (Cassius e Phoenix). La solita voce calda e malinconica di Chan prova a scaldare il tutto, ma non basta per un lavoro privo di grande ispirazione e con una produzione (la prima in proprio) ancora acerba) 6.9/10   

PATRICK WATSON (2012) Adventures In Your Own Backyard (Nato in California ma cresciuto in Quebec, Patrick Watson è leader dell’omonima band canadese che, al quarto disco, abbandona la sperimentazione per una forma-canzone sempre elaborata ma più semplice, tra cabaret e chamber-pop acustico, cui non mancano influenze morriconiane, tratti edonistici ma anche un’elettronica soffusa. La voce richiama Antony Hegarty, ma come fosse arrangiato da Andrew Bird/Sufjan Stevens e prodotto da Rufus Wainwright. Da seguire con attenzione) 7.7/10

THE WELCOME WAGON (2012) Precious Remedies Against Satan’s Devices (Bell’esempio di christian rock servitoci dal reverendo Thomas Vito Aiuto e dalla moglie Monique: musica dalla tradizione folk-country americana in salsa indie, testi tratti da salmi o ispirati alle sacre scritture, strumenti per lo più acustici, arrangiamenti misurati. Le radici musicali sono bianche anche quando si canta Hallelujah) 7.7/10

DAVID BYRNE & ST.VINCENT (2012) Love This Giant (L’ex Talking Heads e la chitarrista Annie Clark in una riuscita collaborazione pop, equamente divisa tra responsabilità compositive e resa musicale: moderno ma non sintetico il drum programming di John Congleton, portato dalla Clark, e urbani ma caldi gli arrangiamenti per fiati, sempre voluti dalla Clark ma che sembrano figli di Rey Momo. L’onnipresenza della brass band rappresenta il valore aggiunto ma anche il limite dell’operazione, dal momento che egemonizza gli arrangiamenti rendendo il disco poco vario. Meno riuscito delle collaborazioni di Byrne con Brian Eno, ma nettamente superiore a quella precedente con Fatboy Slim. E diverso da ogni album a nome St. Vincent) 7.6/10

mercoledì 3 ottobre 2012

Jesse Harris - Sub Rosa (2012)

Il mondo musicale è pieno di autori che scrivono per altri e che si augurano che prima o poi il successo arrida anche a loro stessi. La storia della musica ne è piena: basti pensare a Carole King o Willie Nelson, inizialmente più celebri per i brani scritti per altri piuttosto che per loro stessi. Jesse Harris potrebbe essere uno di questi: ha cominciato a scrivere da almeno 10 anni e la svolta alla propria carriera arriva quando compone "Don't know why" per Norah Jones. Un successo planetario per il quale gli viene almeno riconosciuto un Grammy come migliore autore nel 2003: da allora i suoi brani sono stati interpretati da musicisti del calibro di Solomon Burke, Smokey Robinson, Emmylou Harris o Willie Nelson (ironia della sorte). Purtroppo però i suoi lavori non sono altrettanto fortunati: questo è il suo settimo disco e stavolta prova ad attorniarsi di top-artists quali Norah Jones, Conor Oberst (Bright Eyes), Melody Gardot, Bill Frisell. Il risultato è ottimo anche stavolta: un pop-jazz con forti influenze folk ed un pizzico di brasile (il disco è stato in parte registrato a Rio, con musicisti locali ed in parte a New York, sua città natale): l'arpeggio ricorda James Taylor e Josh Rouse, la musicalià e il piglio melodico rimandano a David Grey e Ben Folds. Di sicuro non sarà un successo, ma piace. Voto ★★★

martedì 25 settembre 2012

BOB DYLAN (2012) Tempest

Continua il viaggio di Dylan tra i differenti stili musicali dell’America del secolo scorso. Promettente l’inizio col primo singolo, Duquesne Whistle, un folk-swing che starebbe bene nei films di Woody Allen. E poi la voce, mai così bella, sempre meno ipernasale ed invece più piena, calda, rauca, quasi waitsiana; da promuovere insieme alla buona qualità della scrittura. Entusiasmo che si stempera nella svogliatezza generale dell’esecuzione: ciascun brano muore come nasce, senza mai un cambio di passo, di ritmo, una variazione del tema musicale, un breve assolo, uno sforzo mentale per trovare una chiusura adeguata alle canzoni, che finiscono tutte in dissolvenza. Ascoltare Narrow Way, Early Roman Kings, Tin Angel e la lunghissima title track (che da sole fanno 35 minuti!) ed anelare ad un pizzico di fantasia come fosse una boccata d’ossigeno equivale ad una sofferenza cui ci si sottrae facilmente skippando le canzoni al secondo ascolto. Per non parlare dei blues, che sarebbero statici anche per Muddy Waters. A che serve una backing band eccellente se la costringi ad un mero accompagnamento scolastico? Senza leggere/comprendere i testi, è come pretendere che un americano possa apprezzare Radici di Guccini: probabilmente lo troverebbe noioso, ripetitivo, musicalmente povero, e di sicuro skipperebbe (bestemmia!) La locomotiva. Noia che traspare poco nella prima parte, fatta di canzoni più varie e brevi, e che si merita un 7.5, ma che ti abbraccia inesorabile durante i lunghi/ssimi e monocordi brani della seconda parte, da 6.5. In conclusione un lavoro di transizione, che sembra (nonostante nella realtà non lo sia) fondato su scarti degli ultimi 4-5 albums, da Time Out of Mind (1997) in poi.

Preferite: Duquesne Whistle, Pay In Blood, Soon After Midnight

Voto Microby: 7/10

domenica 23 settembre 2012

ROYAL SOUTHERN BROTHERHOOD (2012) Royal Southern Brotherhood

Quando tre icone della musica del sud degli Stati Uniti, il percussionista e vocalist dei Neville Brothers Cyril Neville, il chitarrista/voce Devon Allman, figlio di Gregg e nipote di Duane, ed il pluripremiato chitarrista e vocalist rock-blues Mike Zito decidono di unire le forze per un progetto comune, già ci si aspettano grandi cose. Se poi al trio si aggregano in pianta stabile Yonrico Scott, ex batterista della Derek Trucks Band, il bassista Charlie Wooten ed in sede di produzione Jim Gaines (Santana e Steve Ray Vaughan tra gli altri), il supergruppo è assicurato ed il capolavoro sembra scontato. Il risultato, tra (molte) luci e (poche) ombre, è un album che evita freddi tecnicismi e la proposizione del solito (ben suonato) album southern rock-blues, dal momento che l’impronta soul/funky di New Orleans è prepotente nei brani a firma Neville, quella blues emerge in quelli proposti da Zito, e l’anima rock/latina nelle canzoni griffate Allman (chiaramente influenzato da Santana piuttosto che dallo zio Duane). I due chitarristi duettano con puntualità senza logorrea, evitando il tranello (ma che bello a pensarci…) della riproposizione delle “twin guitars” Duane Allman/Dickey Betts nell’Allman Brothers Band. Anche l’amalgama generale è buono, e la produzione calda, rollante, precisa ma non leccata. Cosa manca per poter dire che RSB è un grande disco? La qualità compositiva, fatta di “belle” ma non di “grandi” canzoni. Chissà che, finito il rodaggio, tale sorte non possa toccare al secondo disco. Rimaniamo sintonizzati, e per ora godiamoci un lavoro che ricorda uno shake tra Neville Brothers, Santana e Joe Bonamassa.

Preferite: Fired Up!, Fire On The Mountain, Hurts My Heart

Voto Microby: 7.5/10

lunedì 17 settembre 2012

Recensioni bonsai (The Good Ones): John Osho, Bap Kennedy, Ren Harvieu, Bollani

Josh Osho - L.i.f.e. (2012)
Identificato come la risposta inglese a John Legend. In realtà a differenza di Legend, John Osho viene dalla strada (nel vero senso della parola, era un homeless e spacciatore di droga):  la musica come redenzione, non può non emozionare. Disco black da ascoltare e godere (genere Donny Hathaway-Marvin Gaye). Voto ★★★1/2
Bap Kennedy - The sailor's revenge (2012)
Un irlandese che appoggia la sua radice celtica nello spirito americano country-folk più elegante (al contrario di quello che abitualmente succede). Prodotto da Mark Knopfler se ne sente la profonda influenza in ogni brano (sembra di ascoltare l'evoluzione di "Get Lucky"). Un disco sontuoso. Voto ★★★
Ren Harvieu - Through the night (2012)
Ok, potrebbe sembrare l'ennesima vocalist retro-soul sulle orme di Amy Winehouse, Adele, Emeli Sandè, e compagnia bella. Eppure questa 21enne di belle speranze mi sembra sulla buona strada: pezzi scritti da Ed Harcourt e Dave McCabe (Zutons), una voce vellutata che ricorda Shirley Bassey e Linda Ronstadt, qualche atmosfera  Morriconiana. Da ascoltare e ricordare. Voto ★★★
Stefano Bollani : Volare (2012)
E' molto raro che in questo blog si parli di jazz ma qui è doveroso sottolineare l'assoluta bellezza di questo lavoro, semplice ed ispirato. Non avrei mai pensato di poter ascoltare una versione di "Anema e Core" (!!!) fino in fondo. Voto ★★★

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