venerdì 24 maggio 2013

MINIRECENSIONI: Phosphorescent, House of Love, Steve Earle, Lanegan & Garwood

  • PHOSPHORESCENT (2013) Muchacho
  • Phosphorescent è il moniker del cantautore americano Matthew Houck, attivo discograficamente dal 2003 ma qui giunto al suo lavoro migliore: nella sostanza è artefice, con la band di turnisti, di un’americana ibridata con il border messicano, con violini, slide e fiati, spruzzate di elettronica alla Vangelis, enfasi alla Woodkid, retrogusto amaro alla Rover, gridolini alla Michael Jackson, inserti di brass band tipo french funeral a New Orleans, costruzione naif dei brani e dell’insieme alla Polyphonic Spree. Decisamente riuscito ed originale, anche se manca un po’ il senso della misura, forse voluto visto che l’album comunica un grande senso di libertà, da comune neo-hippie. 8.1/10

  • HOUSE OF LOVE (2013) She Paints Words In Red
  • Sei albums in 25 anni per il gruppo londinese guidato da Guy Chadwick, geniale beautiful loser del pop chitarristico inglese post-Smiths, artefice negli ’80 di un suono innovativo col suo jingle-jangle sixties che, come i contemporanei Church in Australia, illuminava strutture musicali che poi avremmo chiamato shoegaze e dream-pop. Nulla è cambiato da allora, soprattutto in termini di qualità compositiva e melodie sognanti: la Casa dell’Amore continua con parsimonia a proporci musica dolcissima ma mai melensa, come se Byrds e Big Star avessero incontrato anzitempo la new wave di qualità. 8/10
  • STEVE EARLE (2013) The Low Highway
  • Sia nella vita che nella musica Steve Earle è ormai iscritto di diritto tra gli outlaws e tra i grandi, tra i beautiful losers e tra le stars della roots music americana, per via di un percorso di vita ed artistico embricati sia con la disperazione che con il successo, con il rock radiofonico e col country-folk delle origini. Dal 1995 ha sposato quest’ultimo, senza mai una caduta di tono e di ispirazione nella lettura aggiornata della musica dei padri, e senza mai scendere dal trono dei grandi, seduto insieme a Townes Van Zandt, Guy Clark, Joe Ely, John Mellencamp. 7.4/10

  • MARK LANEGAN & DUKE GARWOOD (2013) Black Pudding
  • Non sembra conoscere vie di mezzo l’ex cantante degli Screaming Trees: dopo il pasticcio hard-rock-blues a base di drum machine dello scorso anno, elettrico, saturo e (finto) arrabbiato, ora si ripresenta in collaborazione (sia di scrittura che di esecuzione) col polistrumentista Garwood in un lavoro agli opposti, acustico, scarnificato, lento, essenziale (troppo), folk-blues nell’essenza american roots. Meglio del precedente, ma ancora molto lontano dai capolavori acustici degli esordi da solista. 7/10

mercoledì 8 maggio 2013

MINIRECENSIONI: Steve Mason, The Cave Singers, Keaton Henson, Milk Carton Kids

  • STEVE MASON (2013) Monkey Minds In The Devil’s Time
  • Già voce e membro fondatore della Beta Band, lo scozzese al terzo album da solista conferma l’originalità e l’eclettismo della band-madre, proponendo 20 brani la cui metà è rappresentata da brevi intermezzi strumentali/parlati/ritmati, e l’altra metà da gioielli pop contaminati di volta in volta da rap, dub, gospel, R’n’B, trip-hop, nu-soul, sempre con decisa e moderna sensibilità anglosassone, ed arrangiamenti che piacerebbero a Steven Wilson per i suoi Porcupine Tree più pop. Il risultato finale è eccellente. Peccato che gli intermezzi più che movimentare frenino la fluidità del lavoro. 8.4/10

  • THE CAVE SINGERS (2013) Naomi
  • Quarto album per la band di Seattle che riesce ad integrare con buona personalità il folk saltellante del Paul Simon di Graceland, il pop urbano apolide dei Vampire Weekend e le spigolosità punk dei primi R.E.M. All’insieme gioverebbe un po’ di colore e varietà negli arrangiamenti. 7.3/10
  • KEATON HENSON (2013) Birthdays
  • Parte della numerosa e trendy famiglia dei cantautori tristi e barbuti, dalla voce sussurrata e tremula ed arrangiamenti scarni, l’americano Henson presenta un album dicotomico: un “lato A” che sembra clonato da Bon Iver/William Fitzsimmons, ed un “lato B” più personale con le sue esplosioni elettriche ed i contrappunti di fiati, a dare colore ad una voce che resta flebile e depressogena. 7/10
  • MILK CARTON KIDS (2013) The Ash And Clay
  • Al secondo album il duo losangeleno Kenneth Pattengale e Joey Ryan conferma, tra intrecci di chitarre acustiche ed armonizzazioni vocali tipiche del folk-pop del Greenwich Village NYC di fine ’60-inizio ’70, la devozione a Simon & Garfunkel, con discreta vena ma senza alcuno sforzo per differenziarsene. Di gran lunga meglio gli originali. 6.9/10

sabato 4 maggio 2013

Recensioni al volo: Frank Turner, Johnny Marr, The Leisure Society, The Strokes


Frank Turner - Tape Deck Heart (2013)
Già leader della band alternative-folk punk inglese Million Dead e da qualche anno dedicatosi alla carriera solista, è al quinto lavoro. Ormai del suo passato punk gli sono tuttavia rimasti solo i numerosi tatuaggi, almeno a giudicare da quest'ultimo disco, intriso di un sano vero rock&roll: linee di pianoforte, assoli di chitarre, batteria vibrante come nelle migliori tradizioni di REM, Counting Crows o Interpol con le ballate più tranquilli che virano verso Duncan Sheik o Josh Ritter. Un disco sorprendente per carica ed emotività che consiglio a tutti di godere a volume alzato lasciandosi prendere dalla grande energia che emana. Voto ★★★
Johnny Marr - The Messenger (2013)
Quanti anni abbiamo aspettato il suo debutto solista: che emozione! Soprattutto perchè il disco suona come un album degli Smiths: ok i testi e la voce non possono ovviamente essere quelli di Morrissey ma le melodie indie-rock e gli arpeggi acustici sono quelli che ti aspetteresti da un loro nuovo lavoro (si ascolti la stupenda New Town Velocity, una delle migliori canzoni dell'anno senza dubbio alcuno). Ciò non significa affatto guardarsi indietro (ma vi rendete conto che sono 26 anni che non ci sono più gli Smiths...) e rinnegare il presente: il suo rock è attuale come lo è quello dei Franz Ferdinand o dei Modest Mouse, un bell'insieme di grunge, britpop, alternative e new wave. E ciò vale per tutto l'album, pur nei suoi alti (molti) e nei suoi bassi. Gli Smiths sono tornati. Voto ★★★1/2

The Leisure Society - Alone Aboard The Ark (2013)
Eravamo rimasti tutti piacevolmente sorpresi dall'eleganza del precedente lavoro Into The Murky Water (chi se ne è dimenticato vada a ripescare la bella recensione di Microby del 2011) e pertanto aspettavamo con trepidazione questo nuovo (il loro terzo) album che, tanto per essere chiari, conferma le grandi qualità del gruppo di Brighton.  Lo stile è sempre quello: un bel chamber pop-folk caldo e leggiadro, impreziosito dalla strumentazione vintage di Ray Davies (Kinks) nel cui studio londinese il disco è stato registrato.  Non mancano comunque le inflessioni più jazzate, le chitarre rock e una sottile nuance elettronica, perfettamente integrata nel contesto melodico. Se si deve trovare un difetto è quello di essere un filino più commerciale e teatrale del precedente ma non vi è dubbio che in complesso siamo davanti ad una band in grande crescita. Voto ★★★1/2
The Strokes - Comedown Machine (2013)
Per quei pochi che non li conoscono la band del mitico Julian Casablancas è sicuramente da annoverare tra i migliori esempi di indie rock (ormai poco indie visto il successo planetario della loro musica). Una miscela di synth-pop, surf pop ed un pizzico di new wave anni '80 (ma quella buona però, genere Human League o Simple Minds): anche questo nuovo lavoro non smentisce quanto di buono sentito prima. Anche in questo caso, come per la Leisure Society, la tendenza è quella di virare sempre più verso un pop funkeggiante che potrà far storcere il naso a molti (soprattutto a coloro che vogliono il continuo ripetersi delle atmosfere di Is This it del 2001) ma che nelle loro mani funziona a meraviglia. Voto ★★★1/2

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