giovedì 8 dicembre 2016

Recensioni: Heidi Talbot, Phish, Lori Cullen

HEIDI TALBOT - Here We Go, 1, 2, 3 (2016)

Al quinto album, tre anni ed un figlio dopo il precedente, bellissimo, Angels Without Wings, Heidi Talbot, irlandese della contea di Kildare vicina a Dublino (ma ora residente in Scozia), torna a deliziare con il suo folk acustico elegante e sopraffino. HT affonda le sue radici nel coro della chiesa diretto dalla madre e nelle scuole di canto del conservatorio di Dublino: trasferitasi per qualche anno a New York entra nel giro folk locale, pubblica i suoi primi lavori e riceve varie nominations agli Indie Acoustic Awards (2008), Irish Music Awards e ai BBC Radio Folk Awards, facendola emergere come una delle voci più interessanti degli ultimi anni.  Il suo stile attraversa le epoche passando dal folk acustico, all’Americana, al pop classico. In quest’ultimo disco i ritmi folk, lievemente upbeat, guidati da armonica e violini sono rincorsi dalla voce alternativamente gioiosa e malinconica di Heidi. La cover di Motherland di Natalie Merchant sembra quasi volerci far comprendere che sia lei ora a prendere il suo testimone. Da ascoltare: Here We Go 1,2,3, Time to Rest, The Year That I Was Born. Voto: ☆☆☆☆ 1/2



PHISH - Big Boat (2016)

Ancora una volta i Phish si confermano come una delle migliori jam band americane del momento. Dal vivo sono una delle band più attive ed i loro concerti sono tradizionalmente considerati tra i migliori cui si possa assistere: in studio ultimamente apparivano non particolarmente brillanti anche se non mancavano lavori molto buoni (Joy del 2009, Fuego del 2014 e quello solista di Anastasio del 2015 non mi erano assolutamente dispiaciuti). Con Big Boat sembra di tornare alla discografia pre 2004 (anno della loro momentanea separazione) con un bel gruppo di canzoni che, grazie alla formidabile chitarra di Trey Anastasio ed alle tastiere di McConnell, appaiono richiamare il sound che amavamo negli anni ’90.  Pop-rock energico e sintetizzato alternato a classiche ballad rock ma soprattutto le proverbiali canzoni-jam ricche di cambi di ritmo e soluzioni melodiche alla Jerry Garcia. Da ascoltare: Home, Breath and Burning, Blaze On. Voto: ☆☆☆☆


LORI CULLEN - Sexsmith Swinghammer Songs (2016) 


Nuovo disco per la corista canadese, compagna di Kurt Swinghammer e grande amica di Ron Sexsmith dei quali ha pensato di registrare composizioni appositamente scritte per lei e per la sua voce purissima. Dodici tracce ricche di morbidezza ed intimità, con echi dei conterranei Joni Mitchell e Gordon Lightfoot, profumi di bossanova, abbondanti spruzzate di Bacharach e jazz soffuso. Da ascoltare: Then There Were Three, New Love, Strange Is This Life. Voto: ☆☆☆

martedì 6 dicembre 2016

PIERS FACCINI, DAMIEN JURADO


PIERS FACCINI (2016) I Dreamed An Island




E’ inarrestabile l’evoluzione del cantautore anglo-italo-francese dagli esordi (Leave No Trace, 2004) nella scia degli interpreti intimisti, che con Damien Rice avevano riportato in classifica la poesia umbratile di Nick Drake, alla musica folk europea. Il gioiello The Wilderness (2011) aveva segnato lo spartiacque tra uno dei più dotati ma numerosi singer-songwriters del genere e la scoperta/proposta dei suoni antichi ed universali della musica folk, apolidi come il suo DNA ma ristretti al bacino d’influenza idealmente chiuso tra la terra d’Albione, i Balcani, l’Arabia ed il Sahara. Il nostro canta in inglese, francese, italiano (e dialetti), arabo senza inficiare l’omogeneità di un disco dai profumi del british folk revival come mediorientali e maghrebini, in un’esplorazione che lo accomuna a John Martyn ed ai Fairport Convention (senza però oltrepassare musicalmente l’Oceano come loro) ma anche alla mediterraneità di Mauro Pagani, Fabrizio De Andrè e Cesare Basile. Negli anni ’70 sarebbe stato un capolavoro di grande influenza per il folk a venire. Attualmente rappresenta la miglior crasi musicale, in chiave acustica, tra la vecchia Europa e l’attuale melting pot culturale creatosi con l’ ondata migratoria dal medioriente all’Inghilterra. Niente di più contemporaneo.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Bring Down The Wall, To Be Sky, Anima


 
DAMIEN JURADO (2016) Visions of Us On The Land



Occorre che smettiamo di pensare all’artista di Seattle come ad una giovane promessa, chè almeno altre due generazioni di singer-songwriters si sono succedute dopo la sua. D’altra parte il dodicesimo album del cantautore partito avendo come stella polare Bob Dylan e Neil Young ma anche la scrittura urbana di Lou Reed certifica uno stile che è ormai personale, ormai virato nelle ultime 4 prove sotto la guida del produttore Richard Swift verso una psichedelia gentile, più Love che Pink Floyd (come invece ultimamente Ray La Montagne, che partito dal country-folk ha avuto una simile deviazione del percorso musicale), più Joseph Arthur che Syd Barrett. L’alternarsi di ballate acustiche tra Dylan, Young ed Elliott Smith con i continui giochi di chitarra e voce riverberate non nuoce né annoia, nonostante la lunghezza del progetto attuale (17 canzoni), e testimonia di un artista mai sotto la soglia della buona qualità ma che altrettanto non ha mai prodotto un capolavoro.
Voto Microby: 7.5
Preferite: QACHINA, Lon Bella, TAQOMA


 

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