martedì 6 dicembre 2016

PIERS FACCINI, DAMIEN JURADO


PIERS FACCINI (2016) I Dreamed An Island




E’ inarrestabile l’evoluzione del cantautore anglo-italo-francese dagli esordi (Leave No Trace, 2004) nella scia degli interpreti intimisti, che con Damien Rice avevano riportato in classifica la poesia umbratile di Nick Drake, alla musica folk europea. Il gioiello The Wilderness (2011) aveva segnato lo spartiacque tra uno dei più dotati ma numerosi singer-songwriters del genere e la scoperta/proposta dei suoni antichi ed universali della musica folk, apolidi come il suo DNA ma ristretti al bacino d’influenza idealmente chiuso tra la terra d’Albione, i Balcani, l’Arabia ed il Sahara. Il nostro canta in inglese, francese, italiano (e dialetti), arabo senza inficiare l’omogeneità di un disco dai profumi del british folk revival come mediorientali e maghrebini, in un’esplorazione che lo accomuna a John Martyn ed ai Fairport Convention (senza però oltrepassare musicalmente l’Oceano come loro) ma anche alla mediterraneità di Mauro Pagani, Fabrizio De Andrè e Cesare Basile. Negli anni ’70 sarebbe stato un capolavoro di grande influenza per il folk a venire. Attualmente rappresenta la miglior crasi musicale, in chiave acustica, tra la vecchia Europa e l’attuale melting pot culturale creatosi con l’ ondata migratoria dal medioriente all’Inghilterra. Niente di più contemporaneo.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Bring Down The Wall, To Be Sky, Anima


 
DAMIEN JURADO (2016) Visions of Us On The Land



Occorre che smettiamo di pensare all’artista di Seattle come ad una giovane promessa, chè almeno altre due generazioni di singer-songwriters si sono succedute dopo la sua. D’altra parte il dodicesimo album del cantautore partito avendo come stella polare Bob Dylan e Neil Young ma anche la scrittura urbana di Lou Reed certifica uno stile che è ormai personale, ormai virato nelle ultime 4 prove sotto la guida del produttore Richard Swift verso una psichedelia gentile, più Love che Pink Floyd (come invece ultimamente Ray La Montagne, che partito dal country-folk ha avuto una simile deviazione del percorso musicale), più Joseph Arthur che Syd Barrett. L’alternarsi di ballate acustiche tra Dylan, Young ed Elliott Smith con i continui giochi di chitarra e voce riverberate non nuoce né annoia, nonostante la lunghezza del progetto attuale (17 canzoni), e testimonia di un artista mai sotto la soglia della buona qualità ma che altrettanto non ha mai prodotto un capolavoro.
Voto Microby: 7.5
Preferite: QACHINA, Lon Bella, TAQOMA


 

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