SAULT (2020) Untitled (Rise)
Genere musicale non proprio nelle corde del nostro blog, il quarto album in 18 mesi dei misteriosi Sault merita una segnalazione per i rumours che su tutte le riviste di musica ne fanno il caso dell'anno. Anche per chi come me è solitamente poco interessato ai gossip (per essere conciso, Sault è un collettivo militante aperto londinese di cui non si conoscono le identità, discograficamente molto prolifico dall'esordio nel 2019, e minimale anche nelle copertine dei dischi, nere con numeri composti da stuzzicadenti o mani in penombra, e ovviamente prive di informazioni sui credits eccetto la produzione di Inflo, già dietro la consolle dell’ultimo Kiwanuka), la proposta musicale è singolare pur nella rielaborazione di un suono classico della blackness: “Dentro le loro canzoni scorrono oltre 50 anni di black music: c’è il miglior neo-soul, l’R&B più puro, il funk più torrido, reminiscenze disco, l’influenza afrobeat, il messaggio delle spoken words, la dolcezza del pop, la solennità del gospel e il fascino delle rare grooves anni ’80, ma sottotraccia si respira anche il basso ruvido post-punk, la dub, e qua e là un po’ di elettronica” (Michele Boroni, Rock On Line). In sostanza un trionfo di ritmo e percussioni che può essere ricondotto al fenomeno della blaxploitation negli anni '70, rivisitata, ampliata ed embricata con l'evoluzione della musica black successiva ai seventies. A mio avviso non un capolavoro come da più parti sbandierato (anche perchè la seconda parte non è all'altezza della prima), ma un lavoro che sembrerà originale ai millennials e risveglierà nostalgie vintage ai vegliardi come me.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Fearless, Strong, Son Shine