lunedì 27 settembre 2021

LINDSEY BUCKINGHAM (2021) Lindsey Buckingham


Genere
: Soft-rock, Pop ’70

Simili: Fleetwood Mac, Brian Wilson, Don Henley, Neil Finn

Voto Microby: 7.6

Preferite: On The Wrong Side, I Don’t Mind, Blind Love

Lindsey Buckingham non è mai riuscito a crearsi un’identità artistica prescindibile dalla sua appartenenza ai Fleetwood Mac. Non per demeriti propri ma per il peso del marchio FM, di cui peraltro è stato con Stevie Nicks l’artefice del suono di enorme successo commerciale: suoi gli arrangiamenti certosini al limite del perfezionismo, la precisione degli impasti vocali, la brillantezza delle chitarre, la scelta di una sezione ritmica metronomica e radio-friendly. Una frattura clamorosa con un passato da band di punta del British Blues Revival dal suono magmatico e derive nella psichedelia, grazie ad un chitarrista mitico come Peter Green (ombra insuperabile per Lindsey che, pur eccellente chitarrista, ha sempre realisticamente evitato il confronto/sfida), ma che prima del successo commerciale planetario dei ’70 (Rumours del 1977 resta uno dei 5 album più venduti della storia) era riuscita ad ottenere un solo singolo di rilievo, quel Black Magic Woman poi diventato iconico grazie alla versione di Santana. Nella sua attività da solista il cantante e chitarrista di Palo Alto ha più degli ex-sodali continuato il suono dei FM, tuttavia caratterizzandolo con influenze del pop di marca Brian Wilson e quindi col profumo degli anni ’50 e ’60. Non ha mai sfornato un capolavoro, ma sempre dischi tra il discreto ed il buono (Out of The Cradle del 1992 su tutti), di quelli che non sono un must nella discoteca casalinga ma che ti rendono piacevole la giornata quando li ascolti. Quest’ultimo ritorno a 10 anni dal precedente (escluso quello in coppia con Christine McVie nel 2017) è a mio avviso il migliore della sua discografia in proprio: un soft-rock elettroacustico che attraversa la California soleggiata dei ’50-’60-’70 per collegarsi ai Fleetwood Mac degli ’80 (dalle parti di Mirage e Tango In The Night), solo all’apparenza semplice, impreziosito da plettri brillanti, armonie vocali cesellate, arrangiamenti eleganti, orecchiabilità evergreen per un assetto finale piacevole e rasserenante. Non cambierà la storia, ma rende le giornate più gradevoli.

mercoledì 8 settembre 2021

BOBBY GILLESPIE & JEHNNY BETH (2021) Utopian Ashes

 


Genere: Pop-rock, Chamber pop, Country-soul noir

Simili: Nancy Sinatra & Lee Hazelwood, Gram Parsons & Emmylou Harris, Serge Gainsbourg & Jane Birkin

Voto Microby: 7.8

Preferite: English Town, Chase It Down, Remember We Were Lovers

Lo scozzese Bobby Gillespie (frontman dei Primal Scream) e la francese Camille Berthomier (in arte Jehnny Beth, frontwoman delle Savages) non hanno timore di uscire dalla comfort zone delle reciproche bands e deludono chi si attendeva una proposta aggressiva, rock e/o screamadelica, ma di converso affascinano con un pop rétro dalle tinte country-soul noir, assai adatto a raccontare in modo romantico e struggente, senza spigoli né rabbia, la fine di una storia d’amore (non la loro), còlta nella fase in cui entrambi realizzano che la relazione è troppo difficoltosa per proseguirla ma ancora intensa per interromperla senza dolore. Il pathos emerge in modo elegantemente rassegnato, grazie ad una strumentazione quasi da camera, acustica e ricca di plettri, tasti ed archi, e di armonie vocali in cui Gillespie sorprende nel ruolo di malinconico chansonnier e la Beth in quello della controparte dalla voce insolitamente modulata e perfino vibrata. Accompagnano in punta di piedi ma con arrangiamenti ricchi gli altri tre Primal Scream e il basso di Johnny Hostile, partner della Beth nella vita. Un album nella scrittura e nel mood più scozzese che francese, che richiama coppie d’altri tempi, da Nancy Sinatra/Lee Hazelwood ai recenti Lindsey Buckingham/Christine McVie, ma in cui si scorge nascosto il seme di Grievous Angel di Gram Parsons.

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