venerdì 31 agosto 2012

Regina Spektor - What we saw from the cheap seats (2012)

Ascolto questo album da un paio di mesi, non me ne stanco mai e avrei voluto parlarne a lungo. La recente minirecensione di Microby (che ripropongo prima della mia, per mantenere un pò di ordine) mi ha convinto che fosse finalmente venuto il momento di divulgare anche le mie sensazioni dopo l'ascolto di questo magnifico disco.
MICROBY: La fuoriclasse dell’anti-folk newyorkese, trapiantata nella grande mela con la famiglia moscovita all’età di 9 anni, continua a deliziarci con un cantautorato intelligente e vario, come al solito guidato da pianoforte, che sia acustico o elettrico sempre con eccellenti risultati, dalla ballata languida al reggae lieve, dall’impegno sociale alla fuga nel cinema. Osa arrangiamenti bizzarri sapendo di poterselo permettere, ed il risultato è il suo album migliore. E’ definitivamente una grande, sempre più lontano da Tori Amos ed émule, e sempre più sulla scia di Randy Newman. 8.8/10
LUCAF: Regina è stata in cima alla lista dei migliori dischi di questo blog nel 2009 per il magnifico "Far"; nello stesso anno ho avuto l'opportunità di assistere ad un suo concerto al Radio City Music Hall di New York e ne sono stato rapito. In questi due anni la sua carriera ha subito una costante accellerazione: concerti e riconoscimenti ovunque, Peter Gabriel ne ha fatto una cover nel suo disco, persino Obama e co. l'hanno incensata. Nonostante ciò Regina si comporta in maniera discreta, non atteggiandosi a diva della musica rock, e pertanto anche il suo disco non poteva che essere non convenzionale. Undici brani diversi tra loro ma uniti dalla sua voce dolce ed innocente ma potente e acrobatica e dai suoi arrangiamenti genialmente semplici con cambi di ritmo improvvisi e stravaganti. Una serie di brani stupendi: Don't Leave Me (Ne me quitte pas), sicuramente destinata ad essere la vera Hit del disco, l'elegante Firewood, quasi un valzer per voce e piano, la ballata How, sospesa ad un metro da terra, All the Rowboats, aggressiva e melodica, The Party la più spektoriana di tutto il disco. Insomma, anche qui un disco stupendo, a mio parere un filino meno del già citato "Far" ma sempre da annoverare tra i migliori del 2012, A proposito, oggi mi sono comprato i biglietti per il suo concerto al Beacon Theatre di New York il prossimo 24 ottobre... Voto ★★★★1/2

venerdì 24 agosto 2012

MINIRECENSIONI: Regina Spektor, Kelly Hogan, Counting Crows, Dr. John, The Tallest Man On Earth

REGINA SPEKTOR (2012) What We Saw From The Cheap Seats (La fuoriclasse dell’anti-folk newyorkese, trapiantata nella grande mela con la famiglia moscovita all’età di 9 anni, continua a deliziarci con un cantautorato intelligente e vario, come al solito guidato da pianoforte, che sia acustico o elettrico sempre con eccellenti risultati, dalla ballata languida al reggae lieve, dall’impegno sociale alla fuga nel cinema. Osa arrangiamenti bizzarri sapendo di poterselo permettere, ed il risultato è il suo album migliore. E’ definitivamente una grande, sempre più lontano da Tori Amos ed émule, e sempre più sulla scia di Randy Newman) 8.8/10

KELLY HOGAN (2012) I Like To Keep Myself In Pain (Membro fisso della band di Neko Case con sporadiche incisioni in proprio –la precedente è del 2001--, la Hogan deve avere carisma da vendere per aver convinto gente del calibro di Vic Chesnutt, M.Ward, Andrew Bird, Stephin Merritt, John Wesley Harding, Robyn Hitchcock a scrivere canzoni per lei, e Booker T. Jones a suonare l’organo nell’ultimo lavoro. Tutto al servizio di un talento interpretativo versatile ed insieme classico in un mix riuscitissimo di pop, soul e country) 8/10

COUNTING CROWS (2012) Underwater Sunshine (Il 6° album in studio della band di San Francisco è di sole covers, in parte a causa dei disturbi mentali del leader Adam Duritz emersi dopo la separazione dalla Geffen nel 2009. Ed è un bel lavoro, per lo più di brani non troppo noti, interpretati con personalità (il caratteristico ibrido 60’-70’-80’ The Band/Van Morrison/R.E.M. col cameo della voce struggente di Duritz), al punto da dimenticarsi presto che non si tratta di canzoni autografe. Bel ritorno) 7.8/10

DR. JOHN (2012) Locked Down (Malcolm John Rebennack, in arte Dr. John, rappresenta la quintessenza del suono di New Orleans: già virtuoso pianista di boogie e blues, riesce a shakerarli con funky, R’n’B, jazz, rock’n’roll, psichedelia e col locale voodoo e mardi gras, ed in quest’ultimo lavoro perfino col mali-blues e l’ethio-jazz. A 71 anni, già da 3-4 album ci sta deliziando con una seconda giovinezza artistica, all’altezza dei suoi capolavori) 8/10

THE TALLEST MAN ON EARTH (2012) There’s No Leaving Now (3° album per il 29enne svedese Kristian Matsson che, in barba allo showbiz, sta ottenendo attenzione anche oltreoceano con lavori scarni in cui non va oltre l’utilizzo lo-fi di chitarra acustica, piano, voce e solo occasionale sezione ritmica in punta di piedi. Il trucco sta in un suono cristallino ed in una voce nasale che rimandano nostalgicamente ai primi Bob Dylan, Jim Croce, Gordon Lightfoot, John Sebastian. Ma non si tratta di un inganno, in quanto supportato da belle canzoni. Curioso di vedere se la misura del nostro folksinger è solo la semplicità, o se si troverà a proprio agio anche con produzioni più ricche) 7.2/10

lunedì 13 agosto 2012

Zac Brown - Uncaged (2012)

Band originaria della Georgia, protagonista della scena southern-rock, ne ha ridefinito le caratteristiche tradizionali attingendo al meglio della cultura musicale americana: R&B, Soul e Gospel arricchiscono il tessuto country e bluegrass. La loro capacità di essere originali nella tradizione, la loro passione e carica nei concerti ne ha fatto una delle band di maggiore successo degli ultimi anni nonostante abbiano solo tre dischi all'attivo (più una serie di lavori in piccole case discografiche che immagino verranno ripescati a breve). Fantastica "Day That I Die", con Amos Lee alla voce. Bellissime anche l'apertura "Jump right in" con armonie caraibiche alla Jimmy Buffett, "Overnight" con atmosfere R&B impreziosite dalla presenza di Trombone Shorty e le lente e dolcissime "Lance's Song" e "Last but not least". Un disco da ascoltare in spiaggia, quando il sole tramonta con un bel birrone in mano. Voto ★★★

domenica 12 agosto 2012

OF MONSTERS AND MEN (2012) My Head Is An Animal

Non è solo il fatto che questo sestetto islandese all’esordio sia costituito da 4 uomini  e 2 donne a farlo accostare agli Arcade Fire, scatenando un’asta tra le majors per averne il contratto; sono la costruzione, gli arrangiamenti, i cori, la tensione delle canzoni che rimandano al grande gruppo canadese. Con la differenza che la scrittura degli OMAM è chiaramente non urbana, ma di impronta folk-rock (azzarderei scozzese, alla Runrig acustici), con sottrazione degli strumenti della tradizione popolare ad un tappeto che resta prevalentemente acustico ma “pieno”, ed aggiunta di tastiere, fiati e cori da stadio (vedi Bellowhead e gli stessi Arcade Fire). Unico peccato è che la varietà di temi musicali e la tesa drammaticità degli Arcade Fire siano assenti negli OMAM, a favore di un’enfasi costante e spesso eccessiva (ma che rappresenterà un punto di forza nei live-acts). Resta, per qualità compositiva e senso della melodia, un bell’esordio, di grande speranza perché perfezionabile, ed un gruppo dal futuro radioso (anche commerciale): ora occorre liberarsi dei numi tutelari ed acquisire la personalità dei grandi.

Preferite: King And Lionheart, Little Talks, Your Bones

Voto Microby: 7.9/10

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