EMA
è l’acronimo dell’americana (South Dakota, ma artisticamente
cresciuta a Los Angeles) Erika M. Anderson,
già attiva per una decina di anni in gruppi californiani
psych-noise-folk (Gowns
il più noto, con cui ha inciso 3 dischi). Alla seconda prova da
solista si conferma artista rock di serie A proponendo con grande
personalità canzoni che frullano Patti Smith
con Carla Bozulich,
Courtney Love con i
Nine Inch Nails. Tra
ballate struggenti e brani aggressivi, ovunque trasuda rabbia,
pathos, disperazione e lotta, ovunque il rumore è funzionale al
contesto e la melodia rifugge la retorica, ovunque la voce della
protagonista esprime cervello, cuore e viscere. E dopo un paio di
ascolti che risultano ostici, conquista chi le si abbandona.
Voto
Microby: 7.8
Preferite:
So Blonde, Chtulu, When She Comes
HAUSCHKA
(2014) Abandoned City
Il
tedesco Volker Bertelmann (in arte Hauschka), seguace di John
Cage e dei suoi studi sul pianoforte
preparato, ha spesso mischiato le carte lavorando contemporaneamente
su melodia e ritmica, e partendo da Cage ed Erik Satie si è
progressivamente allontanato dall’avantgarde
accostandosi al mondo dell’indie-elettronica
umana ed orecchiabile, solo strumentale, da ascolto e non da dancefloor.
All’undicesimo album conferma la direzione, non innovativa ma
estremamente piacevole per le orecchie (e molto più creativa del
chiacchierato SOHN), intrapresa col precedente Salon
des amateurs del 2011.
Voto
Microby: 7.6
Preferite:
Bakerville, Elizabeth Bay, Craco
COLDPLAY
(2014) Ghost Stories
Il
precedente album delle popstars inglesi raccontava di una storia
d’amore avversata, tra Mylo
e Xyloto, ma con un
lieto fine. Ed era pertanto brillante, colorato ed assai radiofonico,
sebbene lontano dai loro migliori lavori. Ghost
Stories racconta la fine della storia d’amore
tra Chris Martin e Gwyneth Paltrow ed è, come atteso, triste,
rassegnato, dimesso. Non nei suoni, gli unici a salvarsi, come al
solito ricercati ed eleganti, a coprire tuttavia un vuoto di idee che
sta diventando preoccupante: non una canzone memorabile, al massimo
2-3 graziose in virtù di arrangiamenti rubati allo Sting
meno ispirato o agli U2
meno innodici; la (ex) carismatica voce del leader spesso
irriconoscibile, a tratti addirittura filtrata, ed intrusioni
elettroniche camuffate da ambient
ma in realtà perse tra lounge
e new age, fino alle
kitcherie
Rihanna-like. Una prima parte quantomeno orecchiabile, una seconda
francamente senza idee, per una band che si sta perdendo.
Voto
Microby: 6.8
Preferite:
Ink,
Always In My Head,
True Love