Meglio
chiarire subito: non c’è nulla del brit-pop beatlesiano dei Blur
né delle ritmiche dub/funk/hip-hop trascinanti dei Gorillaz
nel primo album a proprio nome del loro leader. E’ invece un disco
intimo, crepuscolare, che ai primi ascolti sembra intenzionalmente
dimesso e malinconico ma via via si scopre soulful.
I testi scorrono su poche, accennate tracce ritmiche più parenti del
blues del Mali che del pop radiofonico, e l’atmosfera
vespertina/notturna rimanda all’esperienza The
Good, The Bad And The Queen. A completare il
quadro, semplici arpeggi di chitarra acustica e minimali note di
piano jazzy avvicinano
in definitiva il genietto inglese più al Brian
Eno pop ed al David
Byrne da soundtracks
che alle popstars da MTV. A volte non sempre a fuoco, anche nei
singoli progetti, tuttavia un artista di cui ammirare il continuo
movimento.
Voto
Microby: 7.6
Preferite:
The Selfish Giant,
Lonely Press Play, Hostiles
MAC
DeMARCO (2014) Salad Days
Il
23enne canadese per il quale si è di nuovo parlato di slacker
rock (per indicare la musica da cazzeggio) un
po’ burlone deve essere, se nel 2012 ha titolato il suo debutto su
lunga distanza “2”. E’ tuttavia unico nel panorama pop attuale:
col suono di una chitarra semiamplificata, gioiosa e scintillante,
quasi hawaiana, ed una voce all’opposto colloquiale e distratta, ma
sempre melliflua e sinuosa, ottiene un effetto generale scanzonato da
ferie estive. Apparentemente semplice, in realtà il progetto miscela
con originalità il glam psichedelico
con il soft rock ’70,
l’estetica indie con
il power flower,
risultando una sorta di ibrido tra Robyn
Hitchcock e Jonathan
Richman. Difficile un giudizio sospeso: lo si
ama o lo si odia.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
Blue Boy, Passing
Out Pieces, Let Her Go
BARZIN (2014) To Live Alone In That Long Summer
Il
titolo del quarto album di Barzin Hosseini,
canadese di origini iraniane, esplicita il contenuto:
singer-songwriter acustico,
dagli accenti delicati e l’andamento lento, da slowcore
cantautoriale, affine per sensibilità introspettiva ma musicalmente
diverso dal confessionale di William Fitzsimmons, dai deserti di Bill
Callahan, dagli ampi spazi verdi di Bon Iver, dal caminetto di Damien
Rice. Più simile invece a gruppi quali Red
House Painters, Mojave
3 e Great Lake
Swimmers, con membri dei quali si accompagna
in questo ultimo sforzo, finalmente non lo-fi anzi sobriamente
raffinato, con la voce modulata del nostro sostenuta da lineari,
dolci trame chitarristiche, contrappunti di pianoforte e fiati, ed
una sezione ritmica lieve. Nell’insieme un po’ monocromatico, ma
gli spunti singoli sono interessanti.
Voto
Microby: 7.4
Preferite:
Fake It ‘Til You
Make It, All The While, Without Your Light
1 commento:
Damon Albarn: un disco decisamente interessante anche se riflessivo e di conseguenza poco immediato. Voto ☆☆☆1/2.
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