ISRAEL NASH (2015) Israel
Nash's Silver Season
Dopo
l’esordio nel 2008 in debito con C.C.R. e The Band, nel 2011
l’artista del Missouri proseguiva con Barn
Doors & Concrete Floors il suo viaggio
nelle radici dell’”americana”
con un eccellente roots-rock
figlio di Black Crowes, Bruce Springsteen, Steve Earle, Ryan Bingham.
Allargatosi nel 2013 ad influenze west-coastiane con Israel
Nash’s Rain Plans, un album che gli ha dato
visibilità in quanto ispiratissimo figlio di C.S.&N.
e soprattutto del Neil Young
sia acustico che elettrico (chi ama il canadese non perda tutta la
produzione di Israel Nash Gripka), al quarto lavoro il nostro
abbrevia il cognome e, curiosamente, quel “Nash” ora più
evidente lo avvicina alle atmosfere più solari e bucoliche (ma
sempre americanissime) dell’inglese dei CSN&Y, ma l’impronta
younghiana resta predominante, senza la depressione virata a rabbia
di Young ma con la medesima via di fuga non nel “take it easy”
californiano bensì nella psichedelia, nel Laurel Canyon, nella pedal
steel guitar rurale e nella comunità
americana dei capelloni post-power flower. Ci riesce ancora una volta
bene, senza però raggiungere l’eccellenza degli ultimi 2 lavori.
Voto
Microby: 7.6
Preferite:
Lavendula, L.A.
Lately, Willow
BOY & BEAR (2015) Limit of
Love
Bollata
all’esordio come la risposta australiana a Fleet Foxes e Mumford &
Sons, la band nata intorno al progetto solista del leader Dave
Hosking si è smarcata già col 2° album (ad impronta rock) dal
folk-pop gentile del debutto, ed approda al 3° lavoro con
un’identità pop-rock
dagli arrangiamenti semplici e lineari, che ben servono canzoni
sospese tra il soft-rock dei Fleetwood Mac
pre-esplosione commerciale ed il rock asciutto ed orecchiabile dei
Pretenders. Gli
aussies cambiano ma restano sempre apprezzabili.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
Walk The Wire,
Where’d You Go, A Thousand Faces
JULIA
HOLTER (2015) Have You In My Wilderness
Quasi
unanimemente acclamato worldwide
quale prova di assoluto valore e della raggiunta maturità artistica,
il quarto album della losangelena non finisce di convincermi. Di
formazione classica ma attirata dall’avantgarde
alla Laurie Anderson
e dalla forma-pop alla Kate Bush,
finora era riuscita a fonderle con il dark, l’elettronica, il jazz,
la canzone mitteleuropea senza però concretizzare il capolavoro
(nelle sue possibilità). Ora ci ha provato ma il calcolo è
tangibile: eccesso di arrangiamenti e cura per i dettagli formali,
riferimenti che si allargano (complimenti: per nulla facile!) a Nico
senza il suo teutonico decadentismo sturm und
drang e a Laura
Nyro senza la sua grazia intimamente
folk. Certamente più apprezzabile dal vivo, dove i barocchismi e gli
eccessi di citazioni dovrebbero lasciare spazio alla spontaneità
della scrittura (di buon livello) e al rapporto diretto col pubblico.
Resta, nel bagaglio musicale espresso finora ed intuibile per il
futuro, una delle artiste femminili da seguire con maggiore
attenzione.
Voto
Microby: 7.3
Preferite:
Feel
You, Silhouette, Sea Calls Me Home
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