NICK CAVE & The Bad Seeds
(2016) Skeleton Tree
Da
sempre preda delle proprie ossessioni riguardanti la religione, la
morte, l’amore, la famiglia, la violenza, la società malata ed al
contempo turbolento esploratore dei propri conflitti ed angosce
interiori, l’australiano ha partorito Skeleton
Tree affrontando la realtà della tragica
perdita del figlio quindicenne, precipitato da una scogliera nel
luglio 2015. Se si eccettuano le colonne sonore con Warren Ellis, mai
come stavolta Cave ha lavorato musicalmente per sottrazione. Abituati
agli eccessi dei Birthday Party e dei primi lavori da solista negli
‘80, quando ancora la rabbia e l’urgenza punk giovanile erano
preponderanti, ma anche al cantore romantico ma mai pacificato di
murder ballads coi Bad
Seeds nei ’90-‘00, così come al rocker grintoso ma non più
frustrato nelle parentesi coi Grinderman, l’ultimo album sorprende
per il suono asciutto, essenziale, rarefatto: una sorta di ambient
spettrale sulla
quale declamare i testi, mai così
centrali al disegno e fondamentali per comprenderlo. L’impressione
generale è quella che l’album rappresenti una sorta di
elaborazione ma non accettazione del lutto (“nothing really matters
when the one you love is gone”, canta in I
Need You) , piuttosto che una catarsi o una
rassegnazione, e meno che meno una rimozione o negazione. I Bad Seeds
svolgono un lavoro di supporto empatico a questa messa da requiem,
che avrebbe potuto essere suonata parimenti da Brian
Eno, o Daniel Lanois, o Nils Frahm, o James
Blake. Non un capolavoro, ma la sincerità e la
sofferenza palpabili lo posizionano anche assai lontano dalla noia
anodina riportata in alcune recensioni. Nel primo brano del disco,
Jesus Alone, l’incipit
recita “You fell from the sky/crash landed in a field […] with my
voice I am calling you”: insieme una preghiera a Dio ed un richiamo
affettuoso al figlio.
Voto
Microby: 7.7
Preferite:
Skeleton
Tree, I Need You, Girl In Amber
ED LAURIE & STRAW DOG
(2016) Dark Green Blue
Il
londinese di nascita ma globetrotter per vocazione, attore e
musicista Ed Laurie è al quinto lavoro a proprio nome ma al secondo
in collaborazione con la backing band bolzanina Straw Dog. Grazie al
combo nostrano le coordinate musicali del nostro, agli esordi dedito
con pregevoli risultati ad un cantautorato prevalentemente acustico,
intimista ma originale e prezioso (le influenze andavano da Leonard
Cohen a Syd Barrett, da Jacques Brel a Robyn Hitchcock, piuttosto che
guardare come i coevi a Nick Drake ed Elliott Smith; recuperare in
tal senso Small Boat Big Sea
del 2009 e Cathedral
del 2011), hanno assunto una connotazione più precisa ed altrettanto
valida, con riferimenti artistici che attualmente scomodano Lou
Reed e soprattutto Nick
Cave (grazie anche alla voce baritonale
più declamata che cantata di Ed), ma nell’impianto musicale anche
il mai dimenticato trio bostoniano Morphine
del compianto Mark Sandman (come questi la conduzione dei brani è
spesso a guida-sax baritono piuttosto che –chitarra). Laurie non è
più una sorpresa, e gli Straw Dog sono da applauso. Da non perdere
nella tournée in corso.
Voto
Microby: 7.7
Preferite:
Dead
Men’s Game, Cruel Kind of Love, Emperor You Fool
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