martedì 13 settembre 2016

RICHMOND FONTAINE, RYLEY WALKER, BEAR'S DEN


RICHMOND FONTAINE (2016) You Can't Go Back If There's Nothing To Go Back To




Decimo e (dichiarato) ultimo album per la formazione di Portland, Oregon guidata dal musicista e romanziere Willy Vlautin. Il quale firma uno dei migliori lavori della band percorrendo con la bella voce dal timbro dolente e malinconico i vasti territori di confine, le praterie desolate ed i deserti polverosi degli Stati Uniti. Il solito marchio stilistico rappresentato da un alt-country/americana slowcore, figlio di Uncle Tupelo e Walkabouts e fratello di Carolina, l’ultima fatica degli Spain. Vlautin è beautiful winner come scrittore, beautiful loser come musicista, ma in entrambi i casi si dimostra raffinato ed intenso ritrattista della vita ai margini.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Two Friends Lost At Sea, Wake Up Ray, A Night In The City


 
RYLEY WALKER (2016) Golden Sings That Have Been Sung


Terza prova per il virtuoso chitarrista fingerstyle americano, e nessuna modifica stilistica rispetto al precedente Primrose Green che lo scorso anno l’aveva imposto all’attenzione mediatica. Ancora echi di Tim Buckley, i primi Van Morrison e John Martyn e del folk inglese dei ’60-‘70 ibridati con il primo Bruce Cockburn ed il David Crosby di If I Could Only Remember My Name. Psichedelia, folk, jazz ben miscelati ma che non guardano oltre i seventies, e purtroppo serviti da una voce “normale”, quando i maestri di riferimento invece erano/sono stellari. Per palati fini ed appassionati dei riferimenti di cui sopra, ma con la speranza di un’evoluzione stilistica.
Voto Microby: 7.4
Preferite: The Halwit In Me, A Choir Apart, The Roundabout



BEAR'S DEN (2016) Red Earth & Pouring Rain


Deludente secondo lavoro per il trio (ora duo) londinese, autore due anni fa di un eccellente esordio strettamente embricato con Fleet Foxes e Mumford & Sons. Proprio di questi ultimi i Bear’s Den sembrano voler emulare le gesta, dal momento che hanno impresso al loro indie-folk gentile ma frizzante una brusca sterzata verso i suoni sintetici della new wave anni ’80, con batteria metronomica, basso gommoso, chitarre riverberate per una connotazione guitar-synth-pop che attualmente li colloca stilisticamente tra James, Simple Minds, Of Mosters And Men, Everything Everything e gli ultimi, melodrammatici Mumford & Sons. Revivalisti come centinaia di altri gruppi, purtroppo. Anche se di buona fattura, non ne avevamo bisogno, mentre ci mancherà la loro naiveté folk-pop.
Voto Microby: 6.7
Preferite: Emeralds, Greenwoods Bethlehem, Dew On The Vine








 

 

 

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