lunedì 3 ottobre 2016

THOMAS COHEN, MUTUAL BENEFIT, OSCAR


THOMAS COHEN (2016) Bloom Forever



Esordio da solista per il 25enne londinese, ex leader degli S.C.U.M., padre di 2 figli (Bloom e Forever sono i secondi nomi della figlia Phaedra), ma soprattutto vedovo di Peaches Geldof, figlia di Bob, giornalista e modella di successo deceduta due anni orsono per overdose da eroina. Cronaca rosa e nera non rappresentano un mero gossip, ma il seme ed il frutto dell’album, il mezzo artistico per elaborare un tremendo lutto (come il più recente lavoro di Nick Cave). Cohen, forse complice la gioventù e la spinta dei figli in tenera età, affronta la prova senza essere lugubre, è malinconico ma mai disperato, e si avvale di suoni avvolgenti, caldi, umbratili a ricordare Ed Harcourt e Richard Hawley, ma anche sofisticati ed a tratti decadenti come i migliori Neil Hannon (The Divine Comedy), Jarvis Cocker (Pulp), perfino il David Bowie di Hunky Dory ed il Lou Reed di Berlin: un sax languido insieme a chitarre elettriche concise e taglienti, un piano Rhodes liquido ed una voce pacata, dolcemente triste. In Bloom Forever c’è consapevolezza di quanto accaduto, accettazione della realtà ed un disegno proiettato nel futuro, non fosse altro per i figli, a braccetto con una scrittura ed esecuzione da plauso. “The sun still shining on, even though it’s cold” (New Morning Comes).
Voto Microby: 8
Preferite: New Morning Comes, Ain’t Gonna Be No Rain, Honeymoon




MUTUAL BENEFIT (2016) Skip A Sinking Stone

Così come il conterraneo Ben Cooper (alias Radical Face), che gli è allineato come stile musicale, anche il polistrumentista Jordan Lee ha scelto un moniker per presentare il proprio progetto, in cui tutto è gentile, dalla voce alle percussioni, dagli strumenti acustici (con le tastiere in primo piano) all’elettronica morbida ambient-style, per finire con la bella copertina dai colori pastello. Chamber-pop bucolico figlio della meditazione e degli ampi spazi aperti piuttosto che dell’hype universitario e delle città, che discende dal Sufjan Stevens più malinconico e dall’Andrew Bird più languido, ma alla seconda prova più che positiva l’americano resta ancora un gradino sotto entrambi.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Not For Nothing, The Hereafter, Getting Gone



OSCAR (2016) Cut And Paste

Figlio d’arte (i genitori fondarono The Regents, new wave band di fine ’70), il giovane londinese Oscar Scheller fedelmente al titolo dell’album ed al proprio abbigliamento ci propone un patchwork di brit-pop di marca-Blur, synth-pop anni ’80, dub e college rock che risulta naif, fresco, orecchiabile, essenziale ma non semplicistico. Il tutto condito da una voce baritonale da crooner che sembra la versione allegra di Richard Butler (Psychedelic Furs) e Morrissey (Smiths). Niente male l’esordio del ragazzino.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Sometimes, Be Good, Feel It Too



















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