THOMAS
COHEN (2016) Bloom Forever
Esordio
da solista per il 25enne londinese, ex leader degli S.C.U.M., padre
di 2 figli (Bloom e Forever sono i secondi nomi della figlia
Phaedra), ma soprattutto vedovo di Peaches Geldof, figlia di Bob,
giornalista e modella di successo deceduta due anni orsono per
overdose da eroina. Cronaca rosa e nera non rappresentano un mero
gossip, ma il seme ed il frutto dell’album, il mezzo artistico per
elaborare un tremendo lutto (come il più recente lavoro di Nick
Cave). Cohen, forse complice la gioventù
e la spinta dei figli in tenera età, affronta la prova senza essere
lugubre, è malinconico ma mai disperato, e si avvale di suoni
avvolgenti, caldi, umbratili a ricordare Ed
Harcourt e Richard
Hawley, ma anche sofisticati ed a tratti
decadenti come i migliori Neil Hannon
(The Divine Comedy), Jarvis Cocker
(Pulp), perfino il David Bowie di Hunky
Dory ed il Lou Reed di Berlin:
un sax languido insieme a chitarre elettriche concise e taglienti, un
piano Rhodes liquido ed una voce pacata, dolcemente triste. In Bloom
Forever c’è consapevolezza di quanto
accaduto, accettazione della realtà ed un disegno proiettato nel
futuro, non fosse altro per i figli, a braccetto con una scrittura ed
esecuzione da plauso. “The
sun still shining on, even though it’s cold” (New
Morning Comes).
Voto
Microby: 8
Preferite:
New
Morning Comes, Ain’t Gonna Be No Rain, Honeymoon
MUTUAL BENEFIT (2016) Skip A
Sinking Stone
Così
come il conterraneo Ben Cooper (alias Radical
Face), che gli è allineato come stile
musicale, anche il polistrumentista Jordan
Lee ha scelto un moniker per presentare
il proprio progetto, in cui tutto è gentile, dalla voce alle
percussioni, dagli strumenti acustici (con le tastiere in primo
piano) all’elettronica morbida ambient-style, per finire con la
bella copertina dai colori pastello. Chamber-pop
bucolico figlio della meditazione e degli
ampi spazi aperti piuttosto che dell’hype universitario e delle
città, che discende dal Sufjan Stevens
più malinconico e dall’Andrew Bird
più languido, ma alla seconda prova più che positiva l’americano
resta ancora un gradino sotto entrambi.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
Not
For Nothing, The Hereafter, Getting Gone
OSCAR
(2016) Cut And Paste
Figlio
d’arte (i genitori fondarono The Regents, new wave band di fine
’70), il giovane londinese Oscar
Scheller
fedelmente al titolo dell’album ed al proprio abbigliamento ci
propone un patchwork
di brit-pop
di marca-Blur, synth-pop
anni ’80, dub
e college rock
che risulta naif, fresco, orecchiabile, essenziale ma non
semplicistico. Il tutto condito da una voce baritonale da crooner che
sembra la versione allegra di Richard Butler (Psychedelic Furs) e
Morrissey (Smiths). Niente male l’esordio del ragazzino.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
Sometimes,
Be Good, Feel It Too
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