AGNES OBEL (2016) Citizen of
Glass
Un
album ogni 3 anni per la danese che al precedente disco ho definito
(e confermo il giudizio) la miglior interprete femminile del
cosiddetto chamber pop:
a piano e voce si accompagnano gli strumenti classici da camera
(viola, violoncello, violino, arpa, chitarra e sporadiche
percussioni). Invece di seguire la via più facile del pop (l’esordio
era stato di platino nei paesi del nord Europa), la nostra ha
accentuato l’austerità derivante dagli studi classici, e pubblica
un lavoro che non accetta deroghe all’ascolto esclusivo e molto
attento. Si viene ripagati da canzoni che rimarranno nel tempo pur
partendo dalla polifonia corale elisabettiana. A tratti mi ricorda
un’interprete olandese che avevo molto apprezzato negli anni ’80
e ’90, Mathilde Santing,
nei suoi lavori più scarni e meno adesi agli arrangiamenti del
tempo. L’ascoltatore che non avesse in mente tali presupposti
considererebbe probabilmente pedante, noioso e perfino artefatto
Citizen of Glass. La
pazienza premia con un gioiellino.
Voto
Microby: 8
Preferite:
Familiar, Golden
Green, Trojan Horses
MORELAND & ARBUCKLE (2016)
Promised Land Or Bust
Il British Blues Revival
esportato negli USA e nel mondo negli anni ’60 da Alexis Korner e
John Mayall rivive, ben sporcato col Delta
Blues ed il Boogie,
nella chitarra ruvida (più hard-garage che virtuosistica, come siamo
abituati ad ascoltare in quasi tutto il rock-blues recente) di Aaron
Moreland e nell’armonica infuocata del vocalist Dustin Arbuckle,
che non imita (come la massa) il timbro vocale dei neri ma canta da
bianco che ha il blues nell’anima. Il duo del Kansas è completato
dal batterista Kendall Newby, membro effettivo del trio, e da alcuni
ospiti. Non si ascolta questo album per stupirsi degli assoli (come
per Joe Bonamassa, ad esempio), ma per fare il pieno di energia, che
trasuda da tutte le note, come fosse una registrazione in presa
diretta. Un rock-blues
antico, che trae ispirazione da entrambe le sponde dell’oceano e
dei due generi, il rock ed il blues, e per questo piacerà sia a chi
ama John Mayall
ed i Cream sia a chi va matto per Black
Keys o Jon Spencer Blues Explosion.
Voto Microby:
7.8
Preferite: Mean
And Evil, Take Me With You (When You Go), When The Lights Are Burning
Low
STEVE GUNN (2016) Eyes On The
Lines
Il
giovane chitarrista fingerstyle, dopo le esperienze da session man
con Michael Chapman e Jack Rose e come membro dei Violators, la
backing band di Kurt Vile, ha lentamente mollato gli ormeggi ed ora,
alla terza esperienza da solista, pare pronto ad esprimersi anche in
forma di scrittore di canzoni e cantante. Perfettibili entrambi,
nonostante la qualità sia già attualmente buona. Certo la matrice
psichedelica fine anni ’60
la fa da padrona, così ci si compiace di ascoltare dei fraseggi di
chitarra, per lo più elettrica o semiamplificata, che sembrano
appartenuti ai Grateful
Dead più
concisi o ai Velvet
Underground
più liquidi e melodici. Con la speranza che possa esplorare anche
territori musicali più personali.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
Conditions
Wild, Ancient Jules, Heavy Sails
Nessun commento:
Posta un commento