THE MARCUS KING BAND (2016) The
Marcus King Band
Secondo
Warren Haynes,
che produce l’album, l’appena ventenne rossocrinito, sovrappeso e
dal look sudista Marcus King da Greenville, South Carolina, è il
miglior giovane talento chitarristico dai tempi di Derek
Trucks. Figlio d’arte (il padre è il
bluesman Marvin King) e coadiuvato da una band di strumentisti
altrettanto giovani e brillanti (sconosciuti, ma ancora per poco), il
nostro ridisegna i confini del southern
rock attuale (tornato in auge grazie a
bands come Blackberry Smoke, A Thousand Horses, Whiskey Myers,
orientate tuttavia ad un soul-hard-rock-country di scuola Lynyrd
Skynyrd/ZZ Top/Marshall Tucker Band) assimilando elementi
soul-blues-rock-jazz che
guardano indietro in direzione Allman
Brothers Band, con la curiosità più
classica che onnivora di Frank Zappa,
e l’apertura libera delle jam bands (Gov’t
Mule in primis). Si rimane incantati
dalla voce cartavetrata del leader, che personalmente mi ricorda un
Ben Ottewell (Gomez)
prestato al blues, dalla sua calda tecnica chitarristica mai fine a
sé stessa (e i duetti tra King e gli ospiti Haynes e Trucks sono da
mandare a memoria), ma soprattutto dalla maturità già espressa
giovanissimo e solo al secondo album. Non siamo ancora al capolavoro
perché restano da migliorare la scrittura (in parte sacrificata a
spontaneità ed improvvisazione) e la sobrietà degli arrangiamenti
(sebbene non faccia parte del DNA del southern rock, a volte si ha la
sensazione del “too much”, che fa pensare ad un’eccessiva
sovrapposizione degli strumenti). Ma si tratta di un fior di disco, e
di una band di cui sentiremo parlare molto in futuro.
Voto
Microby: 8.5
Preferite:
Ain’t
Nothin’ Wrong With That, Virginia, Devil’s Land
THE CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD
(2016) Any Way You Love We Know How You Feel
Dopo
alcuni albums (ottimi, da entrambe le parti) seguìti alla
separazione dei due fratelli Robinson con la chiusura dello
strepitoso progetto Black Crowes,
è ormai assodato che musicalmente le idee fondanti la band madre
sono state ereditate (ma non ulteriormente sviluppate) dal
chitarrista Rich, mentre Chris si è vieppiù allontanato dal
southern rock-blues per sposare la psichedelia figlia di Grateful
Dead e
Quicksilver Messenger Service.
Anche l’idea portante di Any Way You Love…
è quella di trovarsi in studio con la band (di eccellenti
strumentisti, tra i quali in particolare il chitarrista Neal Casal
non fa rimpiangere Rich) con abbozzi di idee, più che canzoni già
strutturate, e lasciare che l’ispirazione del momento producesse il
risultato finale. Il concetto strutturale delle jam
bands. Quel che ne esce è ancora una
volta un morbido rock-blues psichedelico
di ottimo livello, che sarà strepitoso nella resa live, ma che trova
i suoi (veniali) punti deboli proprio nel progetto stesso, costituito
da una scrittura poco solida perché libera come finalità, da cui
discende la sensazione che i musicisti l’abbiano presa fin troppo
poco sul serio, e l’utilizzo eccessivo del moog, che almeno alle
orecchie del nuovo millennio suona desueto ed eccessivamente datato.
Voto
Microby: 8
Preferite:
Narcissus
Soaking Wet, Forever As The Moon, Ain’t It Hard But Fair
STEVE MASON (2016) Meet The
Humans
Quarto
album dell’ex vocalist della Beta Band,
gruppo scozzese di culto il cui pop
intelligente (contaminato da rap, dub,
gospel, R’n’B, trip-hop, nu-soul) e dagli arrangiamenti originali
ma anglosassoni-puri, è rimasto un punto fermo già dopo il primo
album nel 1998. Meet The Humans
è lo sforzo solista che più assomiglia alla band-madre, ma pur di
buona qualità è lontano dall’eccellente Monkey
Minds In The Devil’s Time del 2013.
Comunque sempre un piacere diverso dal pop mainstream attuale.
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
Alive,
Planet Sizes, Water Bored
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