lunedì 9 gennaio 2017

THE MARCUS KING BAND, THE CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD, STEVE MASON


THE MARCUS KING BAND (2016) The Marcus King Band




Secondo Warren Haynes, che produce l’album, l’appena ventenne rossocrinito, sovrappeso e dal look sudista Marcus King da Greenville, South Carolina, è il miglior giovane talento chitarristico dai tempi di Derek Trucks. Figlio d’arte (il padre è il bluesman Marvin King) e coadiuvato da una band di strumentisti altrettanto giovani e brillanti (sconosciuti, ma ancora per poco), il nostro ridisegna i confini del southern rock attuale (tornato in auge grazie a bands come Blackberry Smoke, A Thousand Horses, Whiskey Myers, orientate tuttavia ad un soul-hard-rock-country di scuola Lynyrd Skynyrd/ZZ Top/Marshall Tucker Band) assimilando elementi soul-blues-rock-jazz che guardano indietro in direzione Allman Brothers Band, con la curiosità più classica che onnivora di Frank Zappa, e l’apertura libera delle jam bands (Gov’t Mule in primis). Si rimane incantati dalla voce cartavetrata del leader, che personalmente mi ricorda un Ben Ottewell (Gomez) prestato al blues, dalla sua calda tecnica chitarristica mai fine a sé stessa (e i duetti tra King e gli ospiti Haynes e Trucks sono da mandare a memoria), ma soprattutto dalla maturità già espressa giovanissimo e solo al secondo album. Non siamo ancora al capolavoro perché restano da migliorare la scrittura (in parte sacrificata a spontaneità ed improvvisazione) e la sobrietà degli arrangiamenti (sebbene non faccia parte del DNA del southern rock, a volte si ha la sensazione del “too much”, che fa pensare ad un’eccessiva sovrapposizione degli strumenti). Ma si tratta di un fior di disco, e di una band di cui sentiremo parlare molto in futuro.
Voto Microby: 8.5
Preferite: Ain’t Nothin’ Wrong With That, Virginia, Devil’s Land



THE CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD (2016) Any Way You Love We Know How You Feel


Dopo alcuni albums (ottimi, da entrambe le parti) seguìti alla separazione dei due fratelli Robinson con la chiusura dello strepitoso progetto Black Crowes, è ormai assodato che musicalmente le idee fondanti la band madre sono state ereditate (ma non ulteriormente sviluppate) dal chitarrista Rich, mentre Chris si è vieppiù allontanato dal southern rock-blues per sposare la psichedelia figlia di Grateful Dead e Quicksilver Messenger Service. Anche l’idea portante di Any Way You Love… è quella di trovarsi in studio con la band (di eccellenti strumentisti, tra i quali in particolare il chitarrista Neal Casal non fa rimpiangere Rich) con abbozzi di idee, più che canzoni già strutturate, e lasciare che l’ispirazione del momento producesse il risultato finale. Il concetto strutturale delle jam bands. Quel che ne esce è ancora una volta un morbido rock-blues psichedelico di ottimo livello, che sarà strepitoso nella resa live, ma che trova i suoi (veniali) punti deboli proprio nel progetto stesso, costituito da una scrittura poco solida perché libera come finalità, da cui discende la sensazione che i musicisti l’abbiano presa fin troppo poco sul serio, e l’utilizzo eccessivo del moog, che almeno alle orecchie del nuovo millennio suona desueto ed eccessivamente datato.
Voto Microby: 8
Preferite: Narcissus Soaking Wet, Forever As The Moon, Ain’t It Hard But Fair



STEVE MASON (2016) Meet The Humans


Quarto album dell’ex vocalist della Beta Band, gruppo scozzese di culto il cui pop intelligente (contaminato da rap, dub, gospel, R’n’B, trip-hop, nu-soul) e dagli arrangiamenti originali ma anglosassoni-puri, è rimasto un punto fermo già dopo il primo album nel 1998. Meet The Humans è lo sforzo solista che più assomiglia alla band-madre, ma pur di buona qualità è lontano dall’eccellente Monkey Minds In The Devil’s Time del 2013. Comunque sempre un piacere diverso dal pop mainstream attuale.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Alive, Planet Sizes, Water Bored
















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