ST.
VINCENT (2017) Masseduction
Quando
il mondo musicale giovanile era semplicisticamente distinto in
rockettari e discotecari, tra i primi i punti di riferimento al
femminile erano Joni Mitchell per la musica acustica e Patti Smith
per quella elettrica, e per entrambe lo strumento cardine era la
chitarra. Con l’archiviazione a fine millennio della musica rock
come genere musicale “storico”, derivato dal rock’n’roll ed
evoluto in una pletora di sottogeneri (ma pur sempre identificato
nella forza primigenia del trio chitarra-basso-batteria), ci si è
trovati nel nuovo millennio allo sdoganamento della musica da
dancefloor come parte integrante della nuova cultura musicale
giovanile, non necessariamente frivola ma certamente nichilista anche
quando arrabbiata. E, piaccia o no, i punti di riferimento al
femminile sono da 20 anni Madonna per l’audience bianca e Janet
Jackson per quella nera. L’americana Annie Clark, in
arte St. Vincent, è certamente la più dotata tra le artiste
impegnate nella crasi tra rock urticante, airplay radiofonico e
discoteca, ma ad un primo ascolto di Masseduction paiono
francamente esagerati i peana pressochè unanimi della critica: più
che la sua chitarra acida e fuzzata (comunque un suo marchio di
fabbrica) ad innervosire l’ascoltatore è il gioco di rimandi
musicali e di cameo ad effetto che sa tanto di prodotto costruito in
studio. E allora non bastano arrangiamenti che Madonna e Prince
proponevano 30 anni fa per solleticare gli smaliziati ascoltatori
non-teenagers, né una produzione trendy, né le ospitate al sax di
Kamasi Washington (un altro idolatrato da una critica molto benevola)
ed ai cori dell’ex fidanzata top model Cara Delevingne. Tutto
questo, insieme al fatto di essere un’artista multimediale bella ed
affascinante e di godere dell’appoggio e della stima prima di David
Bowie, poi di David Byrne, fa molto glamour ma non hipster (di
alternativo nella proposta musicale di St. Vincent c’è ben poco,
anche se si apprezza il gusto nell’assemblaggio di idee vecchie e
nuove). Poi si ascolta più volte l’album ed emergono una bella
scrittura, che suona moderna anche quando non lo è (ma è un pregio
riuscire a farlo), e che rappresenta benissimo la musica attuale
bianca a suo modo impegnata e giovanile, urbana e nevrotica, che
stimola ma permette anche l’evasione della sala da ballo. Manca,
come in tutti i lavori precedenti (l’attuale è il quinto), la
coesione che appartiene invece alla paragonabile Nadine Shah, ma a
questo punto viene da pensare che sia una precisa scelta. In ogni
caso un album da ascoltare per chiunque voglia avere una fotografia
dello stato dell’arte musicale giovanile, lontano da quel genere
una volta chiamato rock.
Voto
Microby: 7.9
Preferite:
Los Ageless, Masseduction, Happy
Birthday Johnny
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