lunedì 6 novembre 2017

ST. VINCENT


ST. VINCENT (2017) Masseduction
Quando il mondo musicale giovanile era semplicisticamente distinto in rockettari e discotecari, tra i primi i punti di riferimento al femminile erano Joni Mitchell per la musica acustica e Patti Smith per quella elettrica, e per entrambe lo strumento cardine era la chitarra. Con l’archiviazione a fine millennio della musica rock come genere musicale “storico”, derivato dal rock’n’roll ed evoluto in una pletora di sottogeneri (ma pur sempre identificato nella forza primigenia del trio chitarra-basso-batteria), ci si è trovati nel nuovo millennio allo sdoganamento della musica da dancefloor come parte integrante della nuova cultura musicale giovanile, non necessariamente frivola ma certamente nichilista anche quando arrabbiata. E, piaccia o no, i punti di riferimento al femminile sono da 20 anni Madonna per l’audience bianca e Janet Jackson per quella nera. L’americana Annie Clark, in arte St. Vincent, è certamente la più dotata tra le artiste impegnate nella crasi tra rock urticante, airplay radiofonico e discoteca, ma ad un primo ascolto di Masseduction paiono francamente esagerati i peana pressochè unanimi della critica: più che la sua chitarra acida e fuzzata (comunque un suo marchio di fabbrica) ad innervosire l’ascoltatore è il gioco di rimandi musicali e di cameo ad effetto che sa tanto di prodotto costruito in studio. E allora non bastano arrangiamenti che Madonna e Prince proponevano 30 anni fa per solleticare gli smaliziati ascoltatori non-teenagers, né una produzione trendy, né le ospitate al sax di Kamasi Washington (un altro idolatrato da una critica molto benevola) ed ai cori dell’ex fidanzata top model Cara Delevingne. Tutto questo, insieme al fatto di essere un’artista multimediale bella ed affascinante e di godere dell’appoggio e della stima prima di David Bowie, poi di David Byrne, fa molto glamour ma non hipster (di alternativo nella proposta musicale di St. Vincent c’è ben poco, anche se si apprezza il gusto nell’assemblaggio di idee vecchie e nuove). Poi si ascolta più volte l’album ed emergono una bella scrittura, che suona moderna anche quando non lo è (ma è un pregio riuscire a farlo), e che rappresenta benissimo la musica attuale bianca a suo modo impegnata e giovanile, urbana e nevrotica, che stimola ma permette anche l’evasione della sala da ballo. Manca, come in tutti i lavori precedenti (l’attuale è il quinto), la coesione che appartiene invece alla paragonabile Nadine Shah, ma a questo punto viene da pensare che sia una precisa scelta. In ogni caso un album da ascoltare per chiunque voglia avere una fotografia dello stato dell’arte musicale giovanile, lontano da quel genere una volta chiamato rock.
Voto Microby: 7.9
Preferite: Los Ageless, Masseduction, Happy Birthday Johnny

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