venerdì 30 agosto 2019

Recensione: The Black Keys - Let's Rock (2019)

THE BLACK KEYS - Let’s Rock (2019)

A 5 anni di distanza dal non indimenticabile “Turn Blue”, Dan Auerbach (chitarrista e voce) e Patrick Carney (batteria) trovano finalmente il tempo per fare qualcosa insieme, tra impegni vari di produzione, colonne sonore e attività di talent-scout. Let’s rock è il primo lavoro dal 2006 (anno di Magic Potion) senza l’aiuto in produzione di Danger Mouse e segna indubbiamente il ritorno verso il sound glam, un pò garage, un pò blues elettrico dei primissimi lavori del duo, coniugato stavolta ad un tocco di rhythm’n’blues e di country-rock. Chitarre lievemente distorte e sezioni ritmiche vibranti, ritmo pulsante, energia, canzoni dirette e potenti con aperture melodiche (tutto il lavoro di Auerbach insieme a John Prine non può che avergli giovato). Niente a che vedere con l’eccellente El Camino del 2011, ma i Black Keys sono tornati a fare quello che facevano agli inizi di carriera: scrivere canzoni, fare casino e esaltare la chitarra elettrica per un sano, solido rock’n’roll. Da ascoltare: Tell Me Lies, Go, Shine a Little Light. Voto: 1/2


mercoledì 28 agosto 2019

R.I.P. Neal Casal

Brutta giornata: è mancato Neal Casal, cantautore statunitense ed ex chitarrista dei Chris Robinson Brotherhood e dei Cardinals di Ryan Adams.
La notizia è confermata dall'Instagram ufficiale di Casal:
It’s with great sadness that we tell you our brother Neal Casal has passed away. As so many of you know, Neal was a gentle, introspective, deeply soulful human being who lived his life through artistry and kindness. His family, friends and fans will always remember him for the light that he brought to the world. Rest easy Neal, we love you.
Purtroppo pare che il musicista si sia suicidato.



domenica 25 agosto 2019

FRANK TURNER


FRANK TURNER (2019) No Man's Land

Da quando nel 2005 Frank Turner, sciolta la propria band punk Million Dead, ha imbracciato la chitarra acustica per raccontare in modo diverso le proprie storie, è diventato senza volerlo paladino ed alfiere del cosiddetto folk-punk. Paragonato a (e stimato da) gente come Bruce Springsteen e Billy Bragg (quest’ultimo in effetti il riferimento più immediato), ha guadagnato stima crescente grazie ad album che miscelano sapientemente la naivetè consolatoria della musica folk con la rabbia dell’approccio punk. Il tutto condìto da arrangiamenti attenti all’airplay, tanto da dare quel tocco pop caro al mainstream. Per fare tutto questo occorre talento, e ben diverso da quello degli Ed Sheeran di turno. Il successo che l’ha portato nel tempo ai sold-out live (strameritati: l’ho verificato personalmente pochi giorni fa alla Festa di Radio Onda d’Urto a Brescia), e perfino a riempire la Wembley Arena, è frutto di ispirata connessione cuore-cervello. Chi continua a denigrarlo sono poche testate di rigida ed irriducibile impostazione marxista-femminista, che non giustificano l’impegno sociale a lui, nato in Bahrain da famiglia ricca inglese, educato ad Eaton come il principe William ed iscritto poi alla prestigiosa London School of Economics. Come se potessimo non riconoscere il talento musicale di Miles Davis e Damon Albarn, tanto per citarne due a caso, perché impegnati socialmente ma di estrazione borghese. Per venire all’ultimo atto discografico del nostro, va detto subito che è il più folk del suo carniere, perché prevalentemente acustico ma soprattutto per le tematiche: la storia di 12 donne del mondo più (Mata Hari) o meno (Jinny Bingham) note, che in qualche modo hanno lasciato traccia nella storia; più un tredicesimo brano dedicato a quella per Frank più importante, sua madre. Il tutto suonato con una backing band totalmente al femminile (e diversa da quella al maschile che lo asseconda su palco) e con una produttrice pop (Catherine Marks, già al lavoro con The Killers e Foals). Colpisce la varietà degli stili, dal folk irlandese al jazz tra le guerre, dal punk-pop al cantautorato intimo, dal valzer all’heartland rock, scientemente adattati al contesto geografico e sociale della donna di turno. Le vicende raccontate sono spesso tragiche ed a sfondo dark, ovviamente interpretate da un punto di vista maschile. Perciò al sottoscritto (col limite della conoscenza della lingua inglese non sufficiente a cogliere le sfumature delle liriche) pare pretestuoso bocciare il disco perché le rivisitazioni delle storie paiono “incoerenti” o “parodistiche” solo perché proposte da un uomo (Go London si chiede perfino “why he’s the best man to tell these women’s stories”… e allora??). Da sempre la musica folk e quella punk sono pregne di tessuto sociale, seppur affrontato con attitudini musicali diverse. Frank Turner è tornato alle radici della tradizione folk, quella di tramandare storie vere cantandole, ma arricchendo la saggezza popolare con l’urgenza giovanile della musica punk. E con arrangiamenti che sono un piacere per le orecchie. Consigliato.
Voto Microby: 7.8
Preferite: The Lioness, Jinny Bingham’s Ghost, Rescue Annie

domenica 18 agosto 2019

Recensione: Chris Robinson Brotherhood: Servants of the Sun (2019)

CHRIS ROBINSON BROTHERHOOD - Servants of the Sun (2019)


Leader dei Black Crowes, con il sesto lavoro dei suoi CRB, per questa occasione impreziositi da Neal Casal alla chitarra, ha ormai abbandonato ogni velleità di riunirsi al fratello Rich ed a Marc Ford, lanciati nel progetto Magpie Salute. La sua “fratellanza” è sempre più in direzione di una Americana dall’impronta prevalentemente cosmico-psichedelica con rare digressioni verso il RnR ed è ormai riuscito a toglierci la nostalgia dei Grateful Dead, che grazie all’intervento delle tastiere “progressive” di Adam MacDougall, rimanda prevalentemente al loro periodo fine anni ’70 (Terrapin Station, ecc). In questo nuovo album numerose sono le escursioni nel funky e nel country-blues: si sentono molto anche echi di Frank Zappa e dei Little Feat, almeno di quelli senza Lowell George, mentre le ballate stile Black Crowes, si sentono sempre meno. Peccato che il non facile carattere di CR abbia indotto MacDougall a lasciare la band ma il nostro CR riuscirà sempre a deliziarci. Da ascoltare: Some Earthly Delights; Let It Fall. Voto:


lunedì 12 agosto 2019

MAVIS STAPLES


MAVIS STAPLES (2019) We Get By

Anche ascoltato alla cieca, la straniante impressione è che We Get By sia un disco di Ben Harper cantato da Mavis Staples. Scrittura e costruzione melodica, arrangiamenti ed esecuzione rimandano al versatile cantautore americano del periodo di mezzo della sua carriera (a cavallo degli ultimi 2 decenni). Scoperte le carte, il trucco è facilmente svelato: in effetti tutte le canzoni sono scritte da lui, e la stessa produzione è ora passata nelle sue mani (dopo il buon lavoro svolto da Jeff Tweedy nei precedenti tre lavori in studio). Il risultato è migliore degli ultimi sforzi di Harper stesso (quelli ad impronta blues acustica, che ho trovato piuttosto mosci). Mavis Staples, dopo una vita da stella di famiglia nelle Staple Singers, ha dato una svolta alla sua carriera, che sembrava facilmente votata al ruolo di icona del retro-soul a fianco delle altrettanto grandi Aretha Franklin e Sharon Jones, quando nel 2007 tornava sul mercato discografico con lo splendido We’ll Never Turn Back prodotto da Ry Cooder. Affidarsi alle mani ed alla cultura musicale di un bianco (seppur genialmente contaminato con la tradizione black) non è stata mossa isolata, dal momento che la ricerca di una crasi tra black & white music è stata da allora una costante del lavoro di Mavis Staples. Mai un capolavoro, tuttavia sempre lavori di buon livello ed assai facilmente distinguibili dalla pletora di artisti (anche di valore) dèditi al retro-soul. Come si scriveva su queste pagine in occasione del precedente If All I Was Was Black, il tutto ha preso forma “con la classe cristallina dei protagonisti, il plauso al bilaterale sforzo di aggiornamento di stili musicali consolidati, ma anche i limiti del risultato: i due generi sembrano potersi unire in matrimonio solo al costo di lasciare per strada la trascinante passione black e le atmosfere desertiche white”. Ben Harper ha conservato essenzialità ed asciuttezza degli arrangiamenti, mascherando bene la passionalità del soul, e non risulta mai stucchevole né sopra le righe. Anzi forse proprio il “fly down” alla lunga conquista. We Get By non contiene canzoni memorabili, ma nessuna meno che buona. Mavis possiede, anche ad 80 anni, classe da vendere ed una voce riconoscibilissima, e senza tema di smentite è attualmente (dopo le dipartite della Franklin e della Jones) la regina del soul. Quello che guarda avanti, ma nel rispetto della tradizione. In tal senso distinguendosi chiaramente sia dal retro-soul che dal nu-soul/alternative R&B. Per tanti motivi: chapeau.
Voto Microby: 7.6
Preferite: Stronger, Sometime, Change

giovedì 1 agosto 2019

THE LEISURE SOCIETY


THE LEISURE SOCIETY (2019) Arrivals & Departures



Pescate a caso nella discografia della band inglese ed ascolterete un disco eccellente. Partiti nella scia (prevalentemente mediatica) folk-pop di Fleet Foxes e Mumford & Sons, si sono identificati ben presto in un pop tout-court, raffinato e colto quanto basta per cogliere spunti che vanno dal chamber pop alla musica da cinema all’alt-folk, e sempre con in testa i mostri sacri del genere, dai classici Paul McCartney e Burt Bacharach ai contemporanei Belle and Sebastian e Badly Drawn Boy. Il capolavoro sta nel secondo sforzo della loro produzione (Into The Murky Water del 2011), ma anche l’ultimo arrivato (il quinto) si distingue al solito per l’apparente leggerezza, che si palesa con gli ascolti successivi in trame eleganti e fresche, intelligenti ed orecchiabili. Una seconda parte più debole impedisce il capolavoro. Lontano dalla luce dei riflettori rispetto ai gruppi più mainstream, il gruppo guidato dal londinese Nick Hemming ci dà l’ennesima conferma del proprio genio.
Voto Microby: 8
Preferite: A Bird, A Bee, Humanity , God Has Taken A Vacation , Let Me Bring You Down

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