domenica 25 agosto 2019

FRANK TURNER


FRANK TURNER (2019) No Man's Land

Da quando nel 2005 Frank Turner, sciolta la propria band punk Million Dead, ha imbracciato la chitarra acustica per raccontare in modo diverso le proprie storie, è diventato senza volerlo paladino ed alfiere del cosiddetto folk-punk. Paragonato a (e stimato da) gente come Bruce Springsteen e Billy Bragg (quest’ultimo in effetti il riferimento più immediato), ha guadagnato stima crescente grazie ad album che miscelano sapientemente la naivetè consolatoria della musica folk con la rabbia dell’approccio punk. Il tutto condìto da arrangiamenti attenti all’airplay, tanto da dare quel tocco pop caro al mainstream. Per fare tutto questo occorre talento, e ben diverso da quello degli Ed Sheeran di turno. Il successo che l’ha portato nel tempo ai sold-out live (strameritati: l’ho verificato personalmente pochi giorni fa alla Festa di Radio Onda d’Urto a Brescia), e perfino a riempire la Wembley Arena, è frutto di ispirata connessione cuore-cervello. Chi continua a denigrarlo sono poche testate di rigida ed irriducibile impostazione marxista-femminista, che non giustificano l’impegno sociale a lui, nato in Bahrain da famiglia ricca inglese, educato ad Eaton come il principe William ed iscritto poi alla prestigiosa London School of Economics. Come se potessimo non riconoscere il talento musicale di Miles Davis e Damon Albarn, tanto per citarne due a caso, perché impegnati socialmente ma di estrazione borghese. Per venire all’ultimo atto discografico del nostro, va detto subito che è il più folk del suo carniere, perché prevalentemente acustico ma soprattutto per le tematiche: la storia di 12 donne del mondo più (Mata Hari) o meno (Jinny Bingham) note, che in qualche modo hanno lasciato traccia nella storia; più un tredicesimo brano dedicato a quella per Frank più importante, sua madre. Il tutto suonato con una backing band totalmente al femminile (e diversa da quella al maschile che lo asseconda su palco) e con una produttrice pop (Catherine Marks, già al lavoro con The Killers e Foals). Colpisce la varietà degli stili, dal folk irlandese al jazz tra le guerre, dal punk-pop al cantautorato intimo, dal valzer all’heartland rock, scientemente adattati al contesto geografico e sociale della donna di turno. Le vicende raccontate sono spesso tragiche ed a sfondo dark, ovviamente interpretate da un punto di vista maschile. Perciò al sottoscritto (col limite della conoscenza della lingua inglese non sufficiente a cogliere le sfumature delle liriche) pare pretestuoso bocciare il disco perché le rivisitazioni delle storie paiono “incoerenti” o “parodistiche” solo perché proposte da un uomo (Go London si chiede perfino “why he’s the best man to tell these women’s stories”… e allora??). Da sempre la musica folk e quella punk sono pregne di tessuto sociale, seppur affrontato con attitudini musicali diverse. Frank Turner è tornato alle radici della tradizione folk, quella di tramandare storie vere cantandole, ma arricchendo la saggezza popolare con l’urgenza giovanile della musica punk. E con arrangiamenti che sono un piacere per le orecchie. Consigliato.
Voto Microby: 7.8
Preferite: The Lioness, Jinny Bingham’s Ghost, Rescue Annie

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