Finalmente Chris Martin e sodali
hanno smesso di scimmiottare l’epicità degli U2 e l’easy listening danzereccio di Rihanna. Forse che, sfondata la
soglia degli –anta, si siano resi conto di non poter inseguire a vita gli
ardori tardo adolescenziali e meno che meno sentirsi in sintonia con i pruriti
peripuberali? Certo Bono & Co. restano sottotraccia nelle liriche peace & love e nell’afflato
terzomondista, ma di grazia non c’è traccia dei lustrini Beyoncè/Rihanna-like. Tant’è,
di fatto riescono a pubblicare il miglior album personale dai tempi di Viva la vida. Non un capolavoro (gli
unici a loro nome restano i primi 2 e parzialmente lo stesso Viva la vida), perché i punti di domanda
sono numerosi anche per Everyday Life.
Il più consistente (ma per alcuni sarà invece un pregio) è la mancanza di una
direzione musicale coesa, negli intenti e nella realizzazione: belle canzoni ma
assolutamente slegate l’una dall’altra. Come una sorta di compilation di
artisti vari: nel pout-pourri abbiamo
un brano per sola orchestra, in stile soundtrack morriconiana (Sunrise), un gospel nero (BrokEn) e per par condicio un brano a
cappella presbiteriano che più bianco non si può (When I Need A Friend), un paio di canzoni pop-folk in stile
ultimo-Iron & Wine (Trouble In Town
ed Old Friends), un punk-folk che
starebbe bene nel carniere di Frank Turner (Guns),
una intima Eko ispirata da Paul
Simon, una splendida Arabesque
inebriata di ritmi da Raì maghrebino e di fiati da Africa nigeriana (Femi Kuti
al sax), una composizione per solo piano di impronta new age che si dissolve in
una giaculatoria in arabo (come il titolo, trascrivibile come Bani Adam), una leggera (e unico brano
debole del disco) Cry Cry Cry, dai
profumi pop-soul sixties, un paio di ballate malinconiche (Daddy ed Everyday Life), ed
ovviamente alcune canzoni in puro stile Coldplay, adatte al singalong nelle arene (il singolo Orphans, Church e Champion of The
World). Il tutto è abbracciato dal falsetto –quasi da copyright-- di Chris
Martin, e legato/frammisto a samples
come d’abitudine nel nuovo millennio. Se si eccettua l’estrema varietà musicale
dei contenuti (i detrattori parleranno al solito di scarsa personalità), i
difetti sono per la verità quasi aneddotici: perché pubblicare 2 CD quando la
durata totale del lavoro è di 53 minuti? E perché il dispersivo vezzo di
inserire ben 8 interludi da 3” ciascuno (in serie) per suonare le campane di
Fra Martino? L’album è diviso in 2 parti (il dualismo non manicheo ricorrente
nell’opera del quartetto britannico), Sunrise
e Sunset, e si apre e si chiude con
l’orchestra quasi a sottolineare la circolarità degli opposti. Ma anche per
invitare a riascoltare l’album che, finalmente abbandonata la grandeur dei precedenti lavori, per la
prima volta nell’ultimo decennio merita l’heavy
rotation.
Voto Microby: 8
Preferite: Arabesque, Orphans, Champion of The
World