venerdì 22 novembre 2019

MICHAEL KIWANUKA


MICHAEL KIWANUKA (2019) Kiwanuka



Eccolo il mio disco dell’anno 2019. Dopo Home Again, che aveva palesato il talento dell’anglo-ugandese conquistando peraltro la palma di miglior album del 2012 del nostro blog, e la conferma perfino in meglio nel 2016 con Love & Hate, arriva ora il terzo album semplicemente omonimo, quasi ad affermare hic et nunc che il suo stile è questo, personale e consolidato. Per nulla interessato all’evoluzione della musica black post-hip hop, altrettanto lontano dalle belle ma algide confezioni del nu-soul e dell’alt-R&B, il nostro continua ad immergersi nel suono soul-Motown dei tre lustri a cavallo tra ‘60 e ‘70, quasi che Marvin Gaye non fosse stato ucciso dalla pistola del padre in quel tragico 1 aprile 1984. Come nel precedente lavoro, Danger Mouse alla produzione aiuta nella coesione dei brani e, tecnicamente, in modo non invadente con samples ed una sezione ritmica che profumano di nuovo millennio scongiurando il rischio di puro revivalismo. Sorprendenti per l’utilizzo che ne era stato già in Love & Hate, i cori risultano assai originali ispirandosi alla sensuale fede del gospel, ma insieme agli archi (da Luis Bacalov virato-soul) rimandano anche alla cultura americana anni ‘70 della blaxploitation e, più sorprendentemente, alla library music italiana dei ‘70 che insonorizzava le pellicole di costume leggere oppure di impegno sociale (gli indimenticabili Piero Umiliani, Alessandro Alessandroni, Piero Piccioni, fino all’Ennio Morricone più popolare). Gli stessi testi sono in sintonia col profilo musicale: amore ma anche sociopolitica, spirito ma anche ambiente. Sorprendente Kiwanuka? No, unico nel panorama musicale attuale. Il nuovo album parte ritmato, quasi festoso, con brani rhythm‘n’blues che anche nel prosieguo offrono momenti di vivacità ad un disco nei fatti profondamente melodico, che si chiude addirittura pacificato. Spirituale e laico, carnale e religioso, senza che se ne percepisca la contraddizione, come riesce solo ai grandi. Come Michael Kiwanuka, seme ugandese sbocciato a Londra per diventare il migliore soulman d’Europa.
Voto Microby: 8.7
Preferite: Piano Joint (This Kind od Love), Final Days, Hero

1 commento:

lucaf ha detto...

Assolutamente d'accordo. Un capolavoro: espressione del meglio della black music e della R&B degli anni '60 e '70. Sottolineerei anche le orchestrazioni alla Van Morrison e quelle chitarre cosmiche pinkfloydiane.
Voto: ☆ ☆ ☆ ☆1/2 e candidatura al miglior disco dell'anno.

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