lunedì 22 luglio 2013

DAUGHN GIBSON (2013) Me Moan

Gli anni ’50 hanno visto nascere e fiorire il Rock’n’Roll; i ’60 il beat, la psichedelia inglese, l’acid-rock californiano, il flower-power, il british blues, il soul Motown/Stax, il folk-rock, il garage, la canzone di protesta; i ’70 il progressive, la West-Coast, il country-rock, il southern rock, l’hard rock, il reggae, il folk anglo-scoto-irlandese, il power-pop, l’elettronica, il jazz-rock, il punk; gli ’80 la new wave, il synth-pop, l’heavy metal, il dark, l’hardcore, il rap, l’acid jazz; i ’90 il grunge, il brit-pop, lo stoner, l’hip-hop, il trip-hop, il drum’n’bass, il punk-pop, la techno. E ora?  Gli anni zero, a differenza dei decenni precedenti, non hanno prodotto alcun fenomeno musicale di rilievo storico, ma solo la riproposizione riveduta e aggiornata dei movimenti musicali dei decenni precedenti, seguendo la coolness del momento. Non pare che gli anni ’10 siano artisticamente più creativi, a giudicare dall’incipit: dopo avere sdoganato come “nostra” la musica da dancefloor (che ormai occupa buona parte dei servizi/recensioni sulle riviste cosiddette “rock”) e aver beatificato produttori una volta odiati dai rockettari come Giorgio Moroder, Chic, Cerrone o i loro corrispettivi attuali, alla base del fenomeno dei DJ-Set, la tendenza attuale è ancora quella di creare interesse intorno a riscoperte di stili musicali tradizionali, “modernizzandoli”.
Lungo preambolo per sottolineare come l’hype del momento sia la rivisitazione della musica popolare con l’elettronica, e dalla Pennsylvania Josh Martin, vero nome di Daughn Gibson, reinterpreta l’americana ed il country & western, ma anche l’hillbilly ed il folk, con loops, samples, battiti elettronici, drum machine, scaldandoli con la sua voce baritonale e tenebrosa tra Nick Cave, Scott Walker e Stan Ridgway. Potremmo chiamarla “countronica” (dopo la folktronica e l’indietronica degli anni scorsi) e non farà la storia della nostra musica, ma può risultare interessante e perfino piacevole se interpretata con gusto. L’originalità è esclusa per definizione. Gibson/Martin è finora uno degli interpreti migliori di questo stile (ai primi ascolti spiazzante, ma a tratti geniale) che unisce Johnny Cash ai Burial, con produzione dubstep (sembra un’eresia, ma ricordate il vocione di Cash in The Wanderer, su Zooropa degli antesignani U2, 1993?). Gibson peraltro mostra più coraggio e coesione stilistica, possedendo tuttavia meno classe, dell’ultimo John Grant, che l’ha preceduto nel genere.

Preferite: Kissin’ On The Blacktop, Into The Sea, Mad Ocean

Voto Microby: 7.2/10

1 commento:

lucaf ha detto...

Innanzitutto proporrei a tutti i lettori del blog di salvarsi da qualche parte la prima parte della tua recensione come sommo compendio per capire la scena musicale rock degli ultimi 70 anni! Certo ogni volta che un genere si esaurisce per inedia, si è portati a pensare che davanti a noi non ci sia altro che il nulla cosmico. Non credo sia così anche se le mode sono sempre più freneticamente passeggere e pochi sono i generi che sopravvivono al tempo, rinnovandosi in autori che possano apportare ancora un pò di genio ad uno stile. Autenticità e contaminazione, energia e brillantezza, spregiudicatezza e slancio: questi devono essere i denominatori comuni a qualsiasi movimento culturale, ivi compreso quello musicale; mai fermarsi a rimpiangere il passato o contemplare il presente.

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