lunedì 2 dicembre 2013

ARCADE FIRE (2013) Reflektor

A mio avviso la corposa (8 elementi in pianta stabile, ampliati nelle eccitantissime performances live) band di Montreal rappresenta il gruppo più influente nella musica rock dell’ultimo decennio. Tanto che l’arcadefireizzazione del suono (fatto per lavoro di addizione sullo spartito: più musicisti, più strumenti –acustici/elettrici/sintetici- più pathos, suoni ipersaturi, per un effetto finale più ansiogeno che liberatorio, eccetto che nelle energiche e festose esibizioni dal vivo) si riscontra in molte bands attuali, poche delle quali riescono tuttavia ad ottenere l’equilibrio perfetto raggiunto dai canadesi in passato.
Perciò dopo 3 splendidi lavori (uno ogni triennio dal 2004) tra i quali (Funeral / Neon Bible / The Suburbs) è arduo scegliere il migliore, la pubblicazione del quarto era carica di aspettative.
Parzialmente deluse, perché se encomiabile è stato il coraggio di cambiare una volta raggiunto il successo, il risultato sonoro del “mix di Studio 54 e voodoo haitiano” (come ha illustrato l’album il leader Win Butler; cui aggiungerei: + glam rock + new wave + dark + synth pop + dub + funk elettronico) è davvero poco memorabile.
E’ un disco ostico, Reflektor, ai primi ascolti perfino respingente per chi mastica la classicità del rock: la ritmica urbana dei Talking Heads abbraccia lo spleen cupo dei Joy Division e l’elettronica dark dei Depeche Mode, con la solita densità (ora spesso pletorica) di arrangiamenti e la carica epico-drammatica che contraddistingue la band, tuttavia stavolta protesa non all’interpretazione personale del rock che è stato ma alla ricerca di quello che sarà. Riuscendovi solo in parte, non tanto per il deciso ricorso all’elettronica spesso dance-oriented (il disco è coprodotto da James Murphy degli LCD Soundsystem) che potrebbe stare nelle corde dell’ensemble nordamericano, quanto per una prolissità concettuale (75’ totali, tutti i brani sono sopra i 6’, gli arrangiamenti sono ripetitivi e le code sfinenti) che può descrivere bene l’alienazione odierna ma non la frenesia contemporanea. Soprattutto, francamente, non si riconoscono canzoni da tramandare ai posteri.
In summa, se di album game-changer si doveva trattare, è a mio parere azzardato ed eccessivamente generoso paragonarlo (come fatto da molta critica) all’Exile On Main Street degli Stones, al Kid A dei Radiohead, all’Achtung Baby degli U2 o all’Heroes di David Bowie: anche se, soprattutto di quest’ultimo “brano” del duca bianco si prende a prestito la densità straniante ed angosciosa del suono, mischiandola con la ritmica dell’ultimo Primal Scream.

Preferite: Normal Person, Reflektor, Afterlife

Voto Microby: 7/10

2 commenti:

lucaf ha detto...

Sottoscrivo in pieno le tue impressioni. Un lavoro decisamente sottotono, in cui si fatica a trovare ispirazioni non fini a se stesse (forse solo la title-track). Sembra un disco dei New Order. Voto ★★ 1/2.

microby ha detto...

E' vero! Mi fossero venuti in mente avrei detto più New Order che Depeche Mode.

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