martedì 17 dicembre 2013

Jonathan Wilson, Elton John, The Strypes, Okkervil River, Pearl Jam

  • JONATHAN WILSON (2013) Fanfare 
  • Il polistrumentista (eccellente chitarrista) californiano d’adozione non esce mentalmente e compositivamente dal Laurel Canyon psichedelico e libero dell’inizio-seventies, e licenzia una bella conferma, solo lievemente inferiore all’esordio a proprio nome del 2011. Ma tutte le qualità della “music is freedom” firmate ai tempi da Quicksilver Messenger Service, Grateful Dead, Crazy Horse e soprattutto CSN&Y (specialmente il Crosby di “If I Could”) sono qui ribadite con brillante ispirazione. Come il precedente, reggerà bene la prova del tempo. 7.7/10

  • ELTON JOHN (2013) The Diving Board 
  • Da una decina d’anni EJ ha recuperato la verve compositiva degli esordi, più guardando all’amata America che alla natìa Inghilterra. Nell’ultima fatica viene spinto dal produttore T-Bone Burnett a licenziare un album scritto con il fido paroliere dei tempi d’oro, Bernie Taupin, ed arrangiato come aveva fatto tra il 1969 ed il 1975. Ne risulta un disco che sarebbe stato splendido allora, e solo buono –ma solo per motivi anagrafici- ora. Così le multiformi influenze pianistiche (classica, jazz, r’n’r, honky tonk, pop) del nostro sostengono belle canzoni, accompagnate da poco più che sezione ritmica e cori, senza mai una caduta qualitativa ed anzi arricchendo di numerose perle la già nobile discografia. 7.8/10
  • THE STRYPES (2013) Snapshot 
  • E’ assai probabile che l’operazione sia stata commercialmente studiata a tavolino, ma musicalmente il quartetto di giovanissimi irlandesi (tra i 15 e i 17 anni!) sa accendere entusiasmi che vanno al di là dell’hype del momento, che li potrebbe far considerare una sorta di One Direction del rock. Non inventano nulla i ragazzini, ma la passione (e la sorprendente perizia tecnica) che riversano nella vigorosa miscela di rock’n’roll ’50, british blues ’60 e pub rock ’70 risveglia energia e buonumore. Non c’è l’urgenza rabbiosa del punk né la sporcizia del garage sound, e nemmeno la pulizia pop ruffiana del punk-funk: ma in un unico bollente calderone troviamo Dr. Feelgood, Yardbirds, Rolling Stones, Chuck Berry, Howlin’ Wolf, The Jam, White Stripes, Nine Below Zero. Il tempo dirà se si tratta solo di bravi revivalisti (quasi una contraddizione vista l’età) o di un gruppo destinato a lasciare il segno. 7.5/10
  • OKKERVIL RIVER (2013) The Silver Gymnasium 
  • La band di Austin ha da sempre un suono riconoscibile col suo indie pop miscelato ad un folk-rock in stile-Counting Crows, guidato dalla partecipazione vocale verbosa ed umorale del band leader Will Sheff. E così è rimasto anche dopo lo shift interno che ha portato nel 2001 alla formazione dell’ottimo progetto collaterale Shearwater (più rock con sprazzi prog) ed in questo 7° abum in cui le consuete ballate dolenti si avvicinano a degli Arcade Fire più folk, ed i brani più allegri hanno inserti di synth alla J. Geils Band. Ma i Counting Crows restano di una categoria superiore ed anche in casa propria Black Sheep Boy del 2005 resta insuperato. 7.4/10
  • PEARL JAM (2013) Lightning Bolt
  • Per i paladini del grunge la prima parte del nuovo album rappresenta la prova più tesa ed agguerrita (in termini di rabbia punk ed aggressività hard-metal) da almeno 15 anni. Peccato che l’energia si stemperi nel prosieguo del lavoro, sebbene con ballads ispirate a completare un disco senza gemme assolute ma anche senza una caduta di tono, granitico ma al solito tecnicamente eccellente. 7.3/10

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