lunedì 6 gennaio 2014

Recensioni bonsai fine 2013

Il 2013 è già passato ma, prima del giudizio universale sul meglio dell'anno, è doveroso ricordare anche solo telegraficamente alcuni dischi che, solamente per pigrizia (almeno per quanto mi riguarda), non sono stati recensiti sul blog.
Avett Brothers - Magpie and the Dandelion. Doveva essere una specie di disco 2 del precedente "The carpenter" ma, a mio parere, è decisamente migliore di quello (che pure era molto interessante). Voto: ☆☆
Israel Nash Gripka - Israel Nash's Rain Plans. Amanti di Neil Young non perdetevi questo disco. Nel bene e nel male è il "suo" ultimo lavoro (per chi non lo conosce Israel è un suo devoto fan e tutto il disco trasuda le note di Harvest, Zuma, ecc). Voto: ☆☆
Kings of Leon - Mechanical Bull. Avrebbe senz'altro meritato di una maggiore attenzione dal blog. Un bel disco rock, piacevole, mai noioso. Voto: ☆☆
Vampire Weekend - Modern Vampires of the city. Forse è la volta buona: qualità decisamente elevata (e disco dell'anno per Rolling Stone) per questa band americana di alternative indie-rock. Voto: ☆☆
Sting - The Last Ship. A sorpresa, un gran bel disco. Sentito, vissuto, ben suonato ed orchestrato (rappresenterà la colonna sonora di un musical). Voto: ☆☆
Blackfield - IV. Ennesimo progetto di Steven Wilson (Porcupine Tree). Il migliore disco progressive dell'anno (ma aspettiamo il giudizio di Gigi, vero devoto cultore del genere). Voto: ☆☆
The Band Of Heathens - Sunday Morning Records  Stavolta la band texana ha toppato. Voto: ☆
David Bromberg Band - Only Slightly Mad.  Gran bel disco di folk blues nella migliore tradizione di questo eccellente cantautore: sembra di essere tornati ai tempi di Demon in Disguise o Midnight on the waterVoto: ☆☆1/2
Patti Griffin - Silver Bell. Cantautrice country di buon livello, disco piacevole. Voto: ☆☆
Jake Bugg - Shangri La.    JB si conferma giovane di grandi promesse. Disco leggermente più pop del precedente. Voto: ☆☆
Aloe Blacc - Lift your spirit.   Ormai è entrato di buon diritto tra i migliori esponenti soul-black. Disco da classifica, senza rinunciare alla qualità. Voto: ☆☆
Jay-Jay Johanson - Cockroach. Non sempre si può rimanere ad un buon livello. Rivedibile. Voto: ☆☆
Turin Brakes - We were here. Buon lavoro. Questa band non stecca mai. Voto: ☆☆1/2
Gov't Mule - Shout! Disco doppio con gli stessi brani reinterpretati in compagnia di qualche grande star musicale. Il meglio lo si sente quando Warren Haynes sale in cattedra. Voto: ☆☆
The Cooper Brothers - Southbound. Solido disco di rock southern, sicuramente da scoprire ed ascoltare. Voto: ☆☆
James Maddock - Another life.  Non particolarmente ispirato. Voto: ☆☆

1 commento:

microby ha detto...

Le mie impressioni sui dischi di:

ISRAEL NASH GRIPKA (2013) Israel Nash’s Rain Plans
Dopo l’eccellente prova del 2011, che miscelava sapientemente Ryan Bingham, Black Crowes, Bruce Springsteen, Steve Earle, il cantautore americano continua a scandagliare le radici della musica del nuovo continente ispirandosi stavolta ad un altro nume tutelare, Neil Young, del quale (complice la voce simile e l’utilizzo di chitarre e sezione ritmica evocativi) sono fortemente richiamati Harvest e Zuma, con accenni di southern soul-rock. Non mera emulazione, ma belle canzoni elettroacustiche che trasudano rispetto ed omaggio al maestro canadese ed alla tradizione roots-rock americana. 8/10

KINGS OF LEON (2013) Mechanical Bull
La famiglia Followill (3 fratelli e un cugino) da Nashville, Tennessee, mi ha sempre ricordato i Creedence Clearwater Revival (adattati al nuovo millennio), forse per via della voce nasale, aspra e soulful di Caleb insieme ai brevi fraseggi di chitarra elettrica, acida ed urgente: certo il loro southern rock non è più frullato con la cattiveria punk e la sporcizia garage come agli esordi, ma da 3-4 albums è coniugato con le necessità dell’airplay commerciale. Che sia un gruppo da classifica ormai è scontato, così come lo snobismo di molta critica italiana che li adorava sporchi e cattivi, e li stronca a priori da quando hanno raggiunto il successo. Peraltro strameritato, per la qualità delle canzoni ed un sound riconoscibilissimo, che marca la differenza con gli altri gruppi rock mainstream. 7.7/10

BLACKFIELD (2013) IV
Steven Wilson da solista e nei numerosi progetti collaterali non è mai riuscito ad uguagliare le qualità del suo gruppo madre, i Porcupine Tree. Non fa eccezione il quarto sforzo collaborativo con la popstar israeliana Aven Geffen (che per la prima volta scrive da solo tutti i brani), sempre nei solchi di un pop romantico di derivazione progressive, senza suites e solos ed invece fatto di canzoni brevi ben scritte, con belle melodie ma dagli arrangiamenti un po’ troppo zuccherini ed enfatici, come dei Barclay James Harvest aggiornati ad oggi. Gradevole, ma si sente poco la mano di Wilson, che anche come Blackfield ha fatto meglio in passato. 7.4/10

JAKE BUGG (2013) Shangri-La
Sul diciannovenne di Nottingham, che aveva sorpreso all’esordio lo scorso anno con una matura ed ispirata prova sospesa tra il folk di Bob Dylan, Fred Neil e Donovan, avevano scommesso tutti. Al secondo album vola negli USA e viene prodotto dal leggendario Rick Rubin, che ne ha accelerato il processo dal folk al rock, dal cantautorato acustico a quello elettrico, a tratti con accenti psichedelici. Forse precocemente, dal momento che la voce adenoidea e tardo-adolescenziale del nostro mostra qualche difficoltà nell’adattarsi al contesto, ma da lì a stroncarlo come ha fatto la critica americana (“un semplice esercizio di folk-rock ’60, piacevole solo in superficie” per AMG) ce ne passa. La scrittura continua ad essere di valore, e le canzoni suonano sincere e si ascoltano con piacere, che abbiano un taglio folk o rock. 7.5/10

TURIN BRAKES (2013) We Were Here
Il new acoustic movement all’inizio del millennio ha certamente aiutato il duo inglese Olly Knights e Gale Paridjanian a farsi notare come una delle migliori espressioni di quella corrente ma, passato l’hype, li ha relegati commercialmente a fenomeno del passato. Peccato perché, come e più dei conterranei I Am Kloot e meglio dei norvegesi Kings of Convenience (capostipiti del movimento), al sesto album continuano a produrre musica cantautorale di bella scrittura e personalità, marchiata da una voce intensa ed una chitarra acustica riconoscibilissime, ed arrangiamenti eleganti ma caldi, ora allargati ad influenze floydiane. Non sbagliano un colpo ed invecchieranno bene, come il vino buono. 7.7/10

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