domenica 30 novembre 2014

Recensioni al volo: Damien Rice, ASA, Goldfrapp (deluxe edition)

DAMIEN RICE - My Favourite Faded Fantasy (2014)
Ben otto anni ci sono voluti affinchè DR trovasse il coraggio di riprovare ad avere il successo dei due precedenti “O“ (del 2002) e “9” (del 2006). Chitarra acustica, voce lieve, canzoni che sembrano non finire mai alla ricerca interna della loro strada (un solo brano sotto i 5 minuti), arrangiamenti molto curati, atmosfere soft, probabilmente ispirate dall’esilio volontario in Islanda dopo la sua dolorosa rottura sentimentale ed artistica da Lisa Hanningan (ricordate il toccante brano di apertura di “9”?). Stiamo parlando di uno dei migliori cantautori (irlandesi e non) degli ultimi vent’anni, una sorta di nuovo poeta della musica. I brani migliori: My favourite Faded Fantasy, It Takes a lot to know a man, I don’t want to change you. Voto: ☆☆☆☆

ASA - Bed of Stone (2014)
Nel caso viviate nelle caverne e non conosciate ancora ASA (si pronuncia “Asha”), sappiate che si tratta di un’artista franco-nigeriana dal talento eccezionale, attualmente probabilmente la migliore giovane musicista africana. Ne avevo già scritto 4 anni fa (cercatevi il video di “Be My Man”, fantastico R&B stile Motown) e questo lavoro (il suo terzo) non smentisce la sua qualità: un album con canzoni una diversa dall’altra ma sempre tipicamente sue. Si corre dal jazz-blues al pop, dal R&B al neo-soul con un tanto di impronta etno che non annoia mai ma anzi ne arricchisce le melodie. I richiami: Sade, Lauryn Hill, Jill Scott, D’Angelo. I brani migliori: How Did Love Find Me, Ife,The One That Never Comes. Voto: ☆☆☆☆

GOLDFRAPP - Tales of Us (Deluxe Version) (2014)

Con la scusa dell’uscita della versione Deluxe datata 2014, vorrei recuperare a futura memoria questo lavoro del duo di Bristol, uscito verso la fine del 2013, e già brillantemente recensito da microby ad ottobre 2013. Le delusioni patite ascoltando i loro ultimi cazzeggi trip-hop ed electro-pop immersi in un intimismo quasi algido non erano sicuramente un buon viatico per questo disco. Al contrario, il suo ascolto rivela un disco acustico in cui le rare incursioni elettroniche non oscurano le atmosfere riflessive, notturne, delicate, quasi sussurrate che riportano inevitabilmente al loro promettente disco di esordio.  A mio parere, ad oggi, il loro miglior disco. I brani migliori: Annabel, Drew, Clay.  Voto: ☆☆☆☆

giovedì 27 novembre 2014

Robbie Boyd - So Called Man (2014)

ROBBIE BOYD - So Called Man (2014)
Cominciamo subito dalla fine. Sicuramente il miglior disco pop-folk dell’anno, punto.

Prodotto da Tristan Ivey (lo stesso di Frank Turner) RB, inglese di Londra, è al suo esordio con questo disco di 12 brani ricchi di melodie scanzonate, che ricordano gli up-beat migliori di Jason Mraz, il folk-rock di Mumford & Sons, le ballate pop di Ryan Adams o gli esordi dei Coldplay. Un disco indubbiamente di facile ascolto, rinfrescante ed energetico, il cui unico difetto è quello di essere troppo accattivante e troppo perfetto. Voto: ☆☆☆☆


sabato 22 novembre 2014

NEIL YOUNG (2014) Storytone

NEIL YOUNG (2014) Storytone
Matto d’un canadese! Prima propone musica tecnicamente ad altissima fedeltà col progetto “Pono”, poi incide un disco lo-fi primordiale come A Letter Home, giustamente stroncato da Luca sul blog. Due anni fa pubblica un capolavoro di rock psichedelico (Psychedelic Pills), tutto viscere e zero belletti, ed oggi se ne esce con un disco doppio (anzi schizoidamente speculare, con la medesima scaletta di 10 brani interpretati nel primo CD con un’orchestra sinfonica di 93 elementi o una big band da swing-era, e nel secondo CD in solitario, solo piano-voce o chitarra acustica-voce, con comparsate di armonica) in cui è difficile distinguere quale sia l’album ufficiale e quale il bonus. Sì perché, dopo un iniziale smarrimento, ti trovi a considerare che alcuni brani “solo” non sfigurerebbero su After The Gold Rush (quelli piano-voce) o su Tonight’s The Night (quelli chitarra-voce), ed altri “orchestrali” sono parenti, anche per qualità, di canzoni già apprezzate su Harvest o Comes A Time, o che quelli con la ”brass band” richiamano This Note’s For You. Manca l’equilibrio, perché nel primo disco gli archi sono talvolta ridondanti e melliflui, e nel secondo alcuni episodi sono all’opposto grezzi come dei demo. Diavolo d’un canadese! Sarà perché dopo 36 anni ha divorziato dalla sua adorata Pegi per mettersi con Daryl Hannah, l’ex sirena di Manhattan? Matto? Chi ha detto matto?? Genio!!
Voto Microby: 7.8
Preferite: CD1 - I’m Glad I Found You, Say Hello To Chicago; CD2 - Plastic Flowers, When I Watch You Sleeping

giovedì 20 novembre 2014

BEN HOWARD, COUNTING CROWS


BEN HOWARD (2014) I Forget Where We Were
E’ simile a quella dell’hawaiiano Jack Johnson, la storia musicale del 27enne inglese: apprezzato folksinger dalla comunità di surfisti locali, e dagli stessi convinto a trascurare la tavola per dedicarsi professionalmente alla chitarra, eccolo ora al secondo album a ricevere gli apprezzamenti di critica e pubblico. Per mood classificato tra i cantautori intimisti post-Damien Rice, in realtà il nostro è sì malinconico, ma dagli arrangiamenti tremendamente moderni pur evitando l’hype dell’elettronica. Mentre i coevi Jake Bugg ed Ed Sheeran partono dal british-folk per arrivare ad un tiro rock-soul radiofonicamente d’impatto, Ben Howard resta nel limbo dell’indeterminatezza, del dubbio, dell’introversione. Intimità e struggimento esaltati dall’uso sapiente del riverbero pressoché costante sulle chitarre, acustiche, semiamplificate ed elettriche ad effetto “space” (ma anche The Edge). Perde in immediatezza, ma acquista in profondità. E si sfila dal gruppo di Nick Drake-Damien Rice-Neil Halstead-Bill Fay per accodarsi a quello di John Martyn-David Gray- Xavier Rudd-Nick Mulvey. Splendidi gli arrangiamenti, deve migliorare nella scrittura delle melodie, che tendono ad assomigliarsi. Ma è da seguire.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Rivers In Your Mouth, Small Things, I Forget Where We Were

COUNTING CROWS (2014) Somewhere Under Wonderland
L’americana dei Counting Crows è sempre stata immediatamente riconoscibile: propulsione elettrica appassionata anni ’90 (figlia dei R.E.M.) su solide basi roots anni ’70 (figlie di The Band). Col valore aggiunto della voce del leader Adam Duritz, drammatica ma verbosa come un film di Woody Allen, logorroicamente lamentosa come i testi del regista newyorkese ma priva del suo sarcasmo. A 6 anni dalla precedente prova autografa (2 anni dopo l’ottima interpretazione di materiale altrui con Underwater Sunshine) la band di San Francisco conferma le doti di sempre, con una maggior tendenza rock, al solito struggente più che ludico. Un bel disco nella sua classicità. Chi cerca novità si rivolga altrove.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Scarecrow, Earthquake Driver, Possibility Days
 


venerdì 14 novembre 2014

LUCINDA WILLIAMS, MARIANNE FAITHFULL


LUCINDA WILLIAMS (2014) Down Where The Spirit Meets The Bone
Cinquantunanni e 12 dischi senza averne sbagliato uno. L’americana è sempre riconoscibilissima con la sua miscela cantautorale di rock languido e country passionale con accenti blues, ben servita da una voce roca ed emozionale, che tuttavia non le permette mai di allontanarsi da un umore nostalgico e malinconico. Nell’ultimo album, doppio per 20 brani e 104 minuti di durata, la fanno da padrone le sontuose partiture per chitarra elettrica (offerte dai fidi Val McCallum e Greg Leisz e dagli ospiti Tony Joe White, Bill Frisell, Jonathan Wilson, Doug Pettibone e Stuart Mathis), ben sostenute dalla sezione ritmica di Elvis Costello. Bel disco, meglio quando di ispirazione rock piuttosto che country. Unica nota stonata la prolissità, sia nella singola canzone (spesso troppo insistita) che nella totalità del lavoro (almeno 5-6 canzoni sono pleonastiche e diluiscono l’impatto sonoro). Ma è un peccato veniale.
Voto Microby: 7.8
Preferite: Burning Bridges, Protection, Walk On, East Side of Town, Big Mess

MARIANNE FAITHFULL (2014) Give My Love To London
A 68 anni l’ex icona pop dei sixties e più tardi potente ed originale interprete del cantautorato post-punk e poi kurtweilliano, oltre che attrice intensa e di successo, torna ad una scrittura anni ’60 ma con arrangiamenti evergreen, supportata alla penna e agli strumenti da un parterre d’eccezione: Steve Earle, Nick Cave, Roger Waters, Brian Eno, Anna Calvi, Tom McRae, Ed Harcourt, Flood, e lo struggente violino di Warren Ellis. L’album è bello, lirico, passionale e coeso, nonostante l’ampia varietà di stili, dal folk-beat alla ballata pianistica, dal rock’n’roll al cabaret mitteleuropeo, dalla composizione orchestrale allo spunto velvetiano. Uno tra i suoi lavori migliori di sempre.
Voto Microby: 8
Preferite: Love More or Less, Sparrows Will Sing, Give My Love To London


venerdì 7 novembre 2014

STEVIE NICKS, MY BRIGHTEST DIAMOND, THE BLACK KEYS


STEVIE NICKS (2014) 24 Karat Gold (Songs From The Vault)
Unica tra i membri dei Fleetwood Mac ad aver goduto di ampio successo commerciale anche da solista, la cantante americana nell'ultimo album propone brani scritti tra il 1969 ed il 1995. Tuttavia lo stile compositivo non lascia trasparire chiare differenze o disequilibri, in parte aiutato dal fatto che non si tratta di outtakes originali, ma di brani totalmente riarrangiati e prodotti insieme a Dave Stewart. Il risultato è un ottimo lavoro, decisamente più guitar-oriented rock rispetto al pop patinato dei FM, grazie anche alla brillante partecipazione di chitarristi di levatura (Waddy Wachtel, Davey Johnstone, Mike Campbell). Personalmente sono tra quelli che non amano molto il timbro vocale della nostra, pur caratteristico ed immediatamente riconoscibile (ipernasale, che alla lunga trovo lagnoso e poco versatile nell'interpretazione); ho amici che non sopportano Dylan o Costello per il medesimo motivo. Altrimenti il voto sarebbe anche più alto.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Mabel Normand, Starshine, 24 Karat Gold
MY BRIGHTEST DIAMOND (2014) This Is My Hand
In sordina, e col costante apprezzamento della critica, la polistrumentista americana Shara Worden (unica titolare della ragione sociale MBD) è giunta alla quinta fatica. Figlia di musicisti e cresciuta tra studi di musica classica ed ascolto di musica colta di varia estrazione, riporta in toto nei suoi albums il proprio background di opera, cabaret, chamber pop, jazz orchestrale, folk e rock. E lo fa in modo originale e brillante nonostante (o anche grazie a) riferimenti palesi ai progetti simili di Woodkid, Sufjan Stevens, San Fermin, Kate Bush, Antony And The Johnsons. Spazio prevalente a tastiere, tamburi, elettronica soffusa, contrappunti di fiati, voce spesso modulata al falsetto, per un pop intellettuale ma di ascolto piacevolissimo.
Voto Microby: 7.7
Preferite: Pressure, Love Killer, Before The Words

THE BLACK KEYS (2014) Turn Blue
Partito nel 2002 dall’indie garage-rock-blues ed approdato a Grammy e classifiche con l’ultimo El Camino nel 2011, il duo americano Dan Auerbach e Patrick Carney conferma con Turn Blue il produttore vincente Danger Mouse ma resta a metà del guado, indeciso tra il rock sporco e bluesato (tra Yardbirds, Neil Young elettrico e Marc Bolan) che li ha imposti alla critica ed il pop-rock (alla MGMT, Kasabian per risalire fino alla J.Geils Band) che, con tastiere vintage, voce in falsetto seducente e melodie orecchiabili li ha catapultati in classifica. Il lavoro è pertanto dicotomico, ed accontenta entrambi i gruppi di fans senza entusiasmarne nessuno. Possono fare meglio.
Voto Microby: 7.3
Preferite: Weight of Love, Bullet In The Brain, It’s Up To You Now


domenica 2 novembre 2014

Recensioni: Hey Rosetta!, Ben l'Oncle Soul, Yusuf (Cat Stevens)

HEY ROSETTA! - Second Sight (2014)
Nuovo lavoro per la band indie folk-rock canadese, vista da qualcuno come parente povera degli Arcade Fire. In realtà, pur essendo indubbiamente meno istrionici degli AF il loro ascolto è sempre magnetico e rilassante. Rispetto al precedente “Seeds” (andatevi a ripescare la recensione di microby) in questo disco mi sembrano sicuramente meno neo-prog e meno frenetici, con toni più leggeri ed ariosi, portandoli magari più vicino ai Vampire Weekend e allontanandoli decisamente dagli Elbow, più rintracciabili nel precedente lavoro. Buona musica, di quella che ascolti una volta e poi ancora e poi non riesci più a levartela di dosso.  Altro che parenti poveri: gli allievi stanno superando i maestri. Voto: ☆☆☆☆1/2

BEN l’ONCLE SOUL - A coup de Reves (2014)
Il francese Benjamin Duterde è probabilmente uno dei migliori cantanti soul europei: il suo brano “Soul Man” del 2010 è in assoluto uno dei brani più belli di quell’anno. Un lavoro soul genuino, parzialmente cantato in francese, che rinverdisce gli stilemi Motown: vende 500.000 copie in Francia e vince una marea di premi a livello europeo (MTV ecc ecc:). Ben non si monta la testa e se ne va a San Francisco per unirsi ad una band soul psichedelica (“Monophonics”): passano 4 anni e quest'anno si porta dietro a Parigi la band per farsi supportare in questo disco. Anche in questa occasione la sua missione di far rivivere il soul degli albori è perfettamente riuscita: energia e cuore, aggressività e dolcezza, tutto quello che si vuole dal soul è qui vicino, in Francia.     Brani migliori: A Coup De Reves, Attends-Moi. Voto: ☆☆☆☆

YUSUF (CAT STEVENS) - Tell ‘em I’m gone (2014)

Il vecchio gatto (per me rimane sempre Cat Stevens, come Cassius Clay è sempre Cassius Clay e non Muhammad Alì) ha pubblicato un nuovo disco, con un buon numero di ospiti: Richard Thompson, Charlie Musselwhite, Bonnie “Prince” Billy ed altri. Cinque cover e cinque brani originali: le più belle sono le prime tre: I Was Raised in Babylon, Big Boss Band e Dying to Live (vecchio brano di Edgar Winter). Proseguendo nell’ascolto il livello si abbassa parecchio: in sostanza un disco discreto, non eccelso. Voto: ☆☆☆

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