BLUR
(2015) The Magic Whip
Mai
realmente sciolti, i Blur pubblicano il 2° album in studio del
millennio a 12 anni del precedente Think Tank.
Pur sembrando ai primi ascolti la logica prosecuzione di Everyday
Robots, il primo sforzo solista di Damon
Albarn nel 2014, TMW appare tuttavia anche l’evoluzione degli
ultimi lavori dei Blur e delle esperienze collaterali targate The
Good, The Bad & The Queen e, più marginalmente (nel mood
malinconico che forse appartiene alla voce di Albarn, pura o filtrata
che sia), Gorillaz. Lontane le chitarre brit-pop e l’ispirazione
beatlesiana del passato, a prevalere è ora un pop
psichedelico dai ritmi reiterati ed
ipnotici (mai la sezione ritmica era stata così determinante) ,
dalle melodie dilatate e pigre, dai suoni cesellati ed eleganti che
si incattiviscono occasionalmente con la spinta metodicamente
abrasiva del chitarrista Graham Coxon. Influenze orientali ed archi
da chamber-pop
globalizzano una scrittura (che resta profondamente british)
impigrita dalla tradizione sub-sahariana. Accompagna il tutto la
solita, indubbia classe, per un percorso artistico che, a differenza
degli eterni rivali Oasis, è sempre stato mobile, curioso, aperto a
molteplici influenze. Interessante e coraggioso, ammaliante più che
piacevole, TMW è un buon disco, che cresce ad ogni ascolto, ma non
un capolavoro.
Voto
Microby: 7.8Preferite: Lonesome Street, Go Out, I Broadcast
TOBIAS
JESSO JR. (2015) Goon
Il trentenne cantautore di pop-ballads di Vancouver sta sollevando al debutto parecchio interesse mediatico: parte per i paragoni (tutti condivisibili perché evidenti) con le ballatone di artisti dei ’70 quali Harry Nilsson, Elton John, Carole King, John Lennon, Randy Newman, e parte per l’endorsement avuto da Adele (che alcune delle canzoni saprebbe trasformarle in tormentoni spaccaclassifica). Ciò che piace di TJ Jr. è la palpabile naiveté, il tuffo senza vergogna nel pop pianistico leggero, mieloso ed appiccicoso dei primi seventies, gli arrangiamenti popolari e desueti. Ciò che convince di meno sono, a parte la classe ancora ben lontana dai paragoni e dalla mèntore, l’ispirazione patchwork, tra brani dalla melodia indubbiamente bella ed altri sottotono, e lo squilibrio tra una prima parte di ottimo livello ed una seconda appena sufficiente. Resta sotto esame, ma certo il nostro sembra sincero (come il Tom Odell del 2013, che gli è decisamente superiore), non un prodotto costruito a tavolino.
Preferite: How Could You Babe, Without You, The Wait
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