sabato 23 maggio 2015

Recensioni: Paul Weller, The Tallest Man on Earth, San Fermin

PAUL WELLER - Saturns pattern (2015)
Per continuare i riferimenti ai grandi del brit-rock, dopo Damon Alban e Noel Gallagher, anche Paul Weller ha intrapreso, molto prima degli altri, una ambiziosa carriera solista, per la verità non sempre ispirata. Questo è il terzo lavoro negli ultimi 5 anni (con una spinta compositiva così spiccata da fargli dimenticare anche l’apostrofo nel titolo….) e come in ogni disco scorrono gli omaggi al blues (il brano di apertura White Sky), accanto a brani acustici vagamente country (In the Car) e mix di soul e surf-rock alla Beach Boys (Saturns Pattern e Going My Way). Disco classificabile tra i più interessanti dell’ultimo periodo: evidentemente il Modfather ha ancora molto da dire.  Attendiamo con ansia di sentirlo al Vittoriale il prossimo luglio. Voto: ☆☆☆1/2


THE TALLEST MAN ON EARTH - Dark bird is home (2015)
Il piccolo grande uomo svedese (Kristian Matsson) è giunto all’album numero 4 (a 3 anni dal precedente There’s No Leaving Now), che appare subito essere il più soft ed il meno aggressivo della sua produzione. Se i primi lavori erano soprattutto lui e la sua chitarra acustica, in questo la strumentazione e gli arrangiamenti appaiono più complessi (Sagres) ma non per questo meno ipnotici e surreali. Non si perde mai la sua inflessione malinconica ma essa viene modulata melodicamente quasi nel tentativo di scrollarsi di dosso l’etichetta di Dylan svedese ispirata dal suo primo disco Shallow Grave e dal successivo The Wild Hunt del 2010. Da ascoltare: Darkness of the Dream, Sagres, Dark Bird Is Home. Un ennesimo passo in avanti. Voto: ☆☆☆



SAN FERMIN - Jackrabbit (2015)

Il loro debutto ci aveva affascinato per il loro stile indie-pop barocco, elegante ed educato, ricco di pianoforte, violoncelli, corni e cori, soprattutto in un momento in cui sentivamo la mancanza di Sufjan Stevens ed i nostri bisogni strumentali repressi erano affidati solo a Fanfarlo, The National e Leisure Society. In questo secondo album lo stile appare quasi troppo fluido, a tratti esageratamente classico, con alcuni pezzi sicuramente interessanti (The Woods, Emily, Jackrabbit) ed altri decisamente poco riusciti. Forse proprio un eccesso melodrammatico ha finito per penalizzare questo lavoro che possiamo considerare meno convincente del precedente ma pur tuttavia non povero di charme. Probabilmente ci aspettavamo troppo: per quest’anno ci godiamo il nuovo vecchio Sufjan. Voto: ☆☆☆


3 commenti:

microby ha detto...

SAN FERMIN: Il collettivo fondato dal newyorkese Ellis Ludwig-Leone (che, ricordiamo, compone tutte le melodie e le partiture ma le fa eseguire, sia in studio che in concerto, da musicisti e cantanti professionisti) ribadisce il chamber-pop denso, elaborato, teatrale ed acclamato dell’esordio omonimo nel 2013. Sostituita la voce femminile con quella di Charlene Kaye, ed invece confermata quella baritonale, Bill Callahan-like, di Allen Tate, la scrittura attuale è orientata più al pop che alla classica, ma il lavoro di produzione lavora ancora più per addizione che per sottrazione. Dopo alcuni ascolti necessari per apprezzare la complessità dell’architettura sonora, il giudizio è alla fine positivo ma, vuoi perché non c’è più il fattore-sorpresa, vuoi perché gli arrangiamenti sono talvolta eccessivi e ridondanti, vuoi perché la seconda parte non è all’altezza della prima, di fatto concordo con Luca che Jackrabbit si colloca per qualità un gradino sotto il suo predecessore. Da apprezzare, di nuovo, la creativa e singolare copertina.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Emily, Jackrabbit, Ladies Mary

microby ha detto...

PAUL WELLER: Concordo sul fatto che sia l’album più riuscito degli ultimi 3-4, cioè dalla svolta electro-psico-pop di 22 Dreams (2008). Continuo a preferire il modfather più classico, ma devo ammettere che in Saturn’s Pattern la musica rock, blues, R’n’B, psichedelica, pop, dub è modernizzata senza essere maltrattata, e finalmente i loops elettronici e i riverberi sintetici sono al servizio di una scrittura solida e soprattutto di un’idea precisa, compatta di dove andare a parare. Sempre un passo avanti rispetto ai coetanei, e più contemporaneo di molti giovani interpreti del pop-rock, black & white, degli ultimi 50 anni. Sarò anch'io al Vittoriale!
Voto Microby: 7.6
Preferite: Saturns Pattern, Going My Way, Pick It Up

microby ha detto...

THE TALLEST MAN ON EARTH : Nel 2012 concludevo la recensione di There's No Leaving Now con la frase: "Curioso di vedere se la misura del nostro folksinger è solo la semplicità, o se si troverà a proprio agio anche con produzioni più ricche". Pienamente soddisfatto, perchè Matsson riesce a maneggiare arrangiamenti complessi senza snaturarsi, ed anzi riuscendo a farsi identificare grazie, e non sembri una contraddizione, alla personalissima rilettura dello stile di Bob Dylan embricato con le orchestrazioni anni '60 alla Phil Ochs e Fred Neil, fino a toccare le atmosfere degli attuali Conor Oberst e Tom Petty acustico. Non stona un sax soffiato alla Van Morrison (in Timothy). Concordo che sia il suo lavoro migliore.
Voto Microby: 7.6
Preferite: Sagres, Timothy, Darkness of The Dream

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