lunedì 29 maggio 2017

Recensione: Zac Brown Band - Welcome Home

ZAC BROWN BAND: Welcome Home (2017)

L’ultimo album Jakyll & Hyde aveva un pò deluso: troppo poliedrico e kitsch (per usare i termini della recensione di Microby) per non ingenerare delusione e perplessità nei più devoti fan del gruppo. Il mix di rock, county, southern, raggae, dance, pop, hard rock (a proposito c’era anche il povero Chris Cornell, riposi in pace) mi aveva fatto temere per il peggio. In questo lavoro già il titolo e la copertina sono rassicuranti e confermano il ritorno alle sonorità che lo hanno fatto conoscere ed apprezzare: un misto di country-rock dal sapore southern, con accenni di soul e gospel, secondo i dettami dei suoi lavori più riusciti. 

I computer ed i sintetizzatori sono stati messi da parte ed il sapore è puramente country, a livello dello stupendo Uncaged. Alcuni pezzi sembrano un incrocio tra Charlie Daniels e Marshall Tucker Band, John Prine e Mavericks. Un bel disco: sono tornati tra noi. Da ascoltare: Your Majesty, Trying to Drive, Real Thing. Voto: ☆☆☆☆


sabato 27 maggio 2017

BARENAKED LADIES & THE PERSUASIONS


BARENAKED LADIES & THE PERSUASIONS (2017) Ladies And Gentlemen: Barenaked Ladies & The Persuasions




Band di successo nel natìo Canada, plurivincitrice di Juno Awards e plurinominata ai Grammys, celebre per i divertenti ed imprevedibili shows live, solitamente etichettata (in modo fuorviante per un appassionato del genere) come alt-rock, vista la difficoltà di catalogare un prodotto che ha spaziato nel tempo (e sempre pregevolmente) dal pop al rock, dal soul all'hip-hop, dal country all'easy listening, le "Signore completamente nude" (ma il titolo di un loro album precisa: Barenaked Ladies Are Men) propongono ora una collaborazione con lo storico gruppo americano di colore a cappella The Persuasions per un album in cui vengono rivisitati vecchi brani propri, in uno stile tra il pop, il soul ed il doo-wop, ed una hit dei Persuasions, Good Times, virata calypso (starebbe bene in un disco di David Lindley). Il risultato finale è sorprendente al primo ascolto, da applausi dopo averlo assimilato più volte, e cronicamente fresco ed allegro dopo che il CD si è incollato al lettore. Non un brano debole, la fantasia (organizzata) al potere, la melodia degli anni '50-'60 con la ritmica dei '70-'80 nelle orecchie, la felicità nel cuore ed un sorriso fisso stampato sulle labbra l'esito immediato e duraturo degli ascolti. Se si volesse cercare un difetto, lo si troverebbe nella lontananza dagli hypes attuali e nella mancanza di ricerca di soluzioni sonore "nuove": ma con Ladies And Gentlemen, Barenaked Ladies & The Persuasions scelgono di schierarsi tra gli evergreen, totalmente a prova di tempo. Il mio disco per l'estate.
Voto Microby: 8.5
Preferite: Don't Shuffle Me Back, Good Times, Narrow Streets

venerdì 19 maggio 2017

FATHER JOHN MISTY


FATHER JOHN MISTY (2017) Pure Comedy




Josh Tillman, ex batterista dei Fleet Foxes, al terzo album pubblicato sotto moniker ribadisce la lontananza dalle linee musicali della band californiana, ma anche la fedeltà ai suoni cantautorali di fine anni '60/inizio '70. Prepotente in tal senso il riferimento al primo Elton John (cui assomiglia anche per timbro vocale e tecnica pianistica): piano-orchestra-sezione ritmica e poco altro. In particolare è lampante il gemellaggio col capolavoro "Madman Across The Water" (1971). Forte del consenso della critica riguardo al precedente disco "I Love You, Honeybear" (2015; recensione sulle pagine di questo blog), Tillman replica la scrittura limitandosi ad asciugare gli arrangiamenti (la cui occasionale ridondanza lo aveva fatto accostare a Rufus Wainwright), spesso ora caratterizzati solo da voce e piano con scarno contrappunto di archi (ed ancora meno di fiati), ma eccedendo nella lunghezza dei brani e del progetto: 76 minuti che si fanno apprezzare maggiormente nelle singole canzoni, risultando leggermente tediosi nell'insieme. Le lodi sperticate della critica sembrano un po' fuori luogo, considerata l'ispirazione derivativa che data mezzo secolo (Elton John ed Harry Nilsson tra gli altri), ma penna, esecuzione e compattezza dell'album sono indubbie. Caldamente consigliato, dopo quanto scritto, a chi ha amato il primo Reginald Dwight.
Voto Microby: 7.6
Preferite: Total Entertainment Forever, Pure Comedy, Ballad of The Dying Man

mercoledì 17 maggio 2017

FLEET FOXES


FLEET FOXES (2017) Crack-Up



Insieme ai londinesi Mumford & Sons artefici della rinascita del folk-rock che ibridava i suoni inglesi con il country-rock americano ed il folk-pop gentile degli anni ’70, il gruppo di Seattle, fin dagli esordi più purista e meno mainstream di Marcus Mumford e sodali, arriva carico di aspettative al terzo album, dopo uno iato di 6 anni dal capolavoro “Helplessness Blues” (2011). La deriva commercialmente dozzinale del terzo lavoro di Mumford & Sons (e, nel piccolo, degli altrimenti ottimi Bear’s Den: entrambi dedicatisi a suoni metronomici da new wave anni ’80) faceva temere il peggio (una scena già prosciugata con i pantaloni ancora corti?), ma la serietà del leader indiscusso delle volpi Robin Pecknold e la sua scarsa attenzione per il mercato sembravano rassicurare. Ma è invece proprio la rigida coerenza ai suoni classici caratterizzanti il gruppo a far storcere il naso: manca la freschezza e varietà melodica dell’esordio così come la mirabile fusione dei generi di cui sopra di “Helplessness Blues”, che già tuttavia spostava l’asticella verso lidi più colti e seriosi, pur lasciando intravedere altre possibili evoluzioni (in area Canterbury?). Ecco, “Crack-Up” si prende davvero troppo sul serio: acustico, giocato prevalentemente sulle tipiche belle armonizzazioni vocali (quasi sempre il cantato è a due voci, spesso evocative di CSN&Y), con misurati interventi di archi, tastiere e poco altro, ed una sezione ritmica minimale, il lavoro sembra più adatto a fantastiche performances nelle cattedrali anglicane (tali sono i rimandi alla musica elisabettiana) che alle piazze, e meno che meno alle arene. Il teatro, per essere pratici, sarebbe una soluzione apprezzabile. Ma chi si aspettava (come il sottoscritto) una nuova via musicale da seguire, anche a piccoli passi, rimarrà parzialmente deluso perché troverà invece una fossilizzazione su schemi personali ma già noti, esasperati nella pulizia formale. Esattamente come l’ultimo sforzo del pur apprezzabile Josh Tillman, ex batterista della band con il moniker Father John Misty, “Crack-Up” si comporta da primo della classe, manca di ironia ed alla fine di leggerezza, facendosi certamente molto ammirare ma poco amare. A latere: 1) bellissima, come al solito, la copertina 2) i Fleet Foxes si potranno applaudire dal vivo nell’unica data italiana a Ferrara sotto le stelle il 3 luglio p.v.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Naiads-Cassadies, Kept Woman, On Another Ocean (January-June)

mercoledì 10 maggio 2017

JOHN MAYER, WHY?


JOHN MAYER (2017) The Search For Everything




Da sempre indicato come l’erede dell’Eric Clapton pop-soul, per via della voce dal timbro morbido sebbene dalla tonalità poco estesa, della brillantezza tecnica e pulizia formale della chitarra, dell’appeal mediatico, l’americano ha dimostrato addirittura maggior versatilità rispetto al leggendario chitarrista inglese, cimentandosi con apprezzabili risultati in ambito pop, soul, blues, country, jazz, sia in studio che dal vivo. Dopo due interessanti lavori di impronta country-rock, il nostro torna ora alle radici della sua ispirazione, quel morbido soul bianco con la chitarra dallo swing blues che aveva caratterizzato gli esordi del millennio fino al suo maggior successo commerciale, l’insuperato (anche qualitativamente) Continuum (2006). Passata la burrasca dopo i gossip, riguardanti le ex fidanzate Jessica Simpson e Jennifer Aniston, che ne avevano intaccato l’immagine pubblica pochi anni fa e lo avevano spinto ad un ritiro in campagna alla riscoperta delle radici musicali bianche, ora Mayer torna ad un pop solare ed a vellutate ballads soul che ricordano Curtis Mayfield e Jack Johnson, Amos Lee e James Blunt, ed ovviamente lo Slowhand più pop-soul. E’ un buon ritorno, cui tuttavia arrangiamenti un po’ prevedibili impediscono l’eccellenza.
Voto Microby: 7.6
Preferite: Helpless, Love On The Weekend, Emoji of A Wave





WHY? (2017) Moh Lhean


Più un poeta prestato al canto, più declamatore di rime che rapper bianco su un impianto melodico indie-pop, Yoni Wolf nella carriera solista post-cLOUDDEAD ha enfatizzato l’aspetto pop senza rinunciare alla scrittura di musiche sghembe, dal percorso non lineare come da dogma indie, ed accentuato l’attenzione alle poliritmie che movimentano una scrittura altrimenti agrodolce e malinconica. Moh Lhean, titolo enigmatico con il quale Why? (il moniker del californiano) è giunto al sesto album, risulta positivo ed efficace nella sua intelligente originalità, che rimanda per sensibilità musicale ad Alt-J, Grizzly Bear, tUnE-yArDs, Django Django, Steve Mason, seppur scontando una certa frammentarietà nelle singole canzoni e dispersività nell’insieme. Adatto ad orecchie che abbiano voglia di ascoltare qualcosa di diverso in ambito pop.
Voto Microby: 7.5
Preferite: This Ole King, Proactive Evolution, Easy







lunedì 1 maggio 2017

Recensioni al volo: Rodney Crowell, Tom Hickox

RODNEY CROWELL - Close Ties (2017)

Grande esponente del country texano fin dagli anni ’70 (il suo debutto Aint’t Living Long Like This è del 1977), ripreso e reinterpretato  più volte dai grandi della musica americana (Nitty Gritty Dirt Band, Bob Seger e Jimmy Buffett su tutti), dopo un periodo di transizione ad appannamento negli anni’90, negli ultimi 15 anni si è rimesso a fare musica con buoni risultati. Un paio di album con Emmylou Harris e l’ottimo Tarparer Sky del 2014 l’hanno decisamente riportato alla ribalta e quest’ultimo album rappresenta probabilmente il suo miglior lavoro da molti anni. Un album meno country tradizionale ma più orientato al cantautorato alla Guy Clark con ballate country-blues (East Houston Blues) e pezzi più rockeggianti (Storm Warning). Melodie malinconiche con bei passaggi strumentali, impreziositi dalla partecipazione vocale di Rosanne Cash (ex moglie di Rodney), John Paul White (Civil Wars), Sheryl Crow. Da ascoltare: It Ain't Over, I'm Tied To Ya’, Forty Miles From Nowhere. Voto: ☆☆☆☆



TOM HICKOX - Monsters in the Deep (2017)

Il cantautore TH è figlio del direttore d’orchestra Richard, uno dei pesi massimi della scena internazionale della musica classica, morto nel 2008. Evidentemente la sua influenza lirico-operistica ha inciso nel carattere e nella musicalità del figlio Tom, la cui ricca voce baritonale è un misto di Morrissey e John Grant e il cui pop barocco costruito su una tela noir con orchestrazioni di impronta quasi cinematografica alla John Barry portano da qualche parte nella terra di nessuno tra Ed Harcourt e Richard Hawley.

Un disco fuori dal tempo per un talento particolare ma ambizioso, meticoloso e fantasioso; sfumature scure come quelle di David Sylvian e Nick Cave interrotte da lampi di Arcade Fire e Divine Comedy. Da ascoltare: The Dubbing Artist, Perseus And Lampedusa, The Fanfare, Korean Girl In A Waiting Room. Voto: ☆☆☆☆1/2



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