giovedì 31 agosto 2017

Recensioni: Randy Newman, Jade Jackson

RANDY NEWMAN -  Dark Matter (2017)

Undici album in studio in circa 50 anni di carriera non sono decisamente molti ma RN in realtà è ultimamente un autore di colonne sonore molto richiesto (dote di famiglia: lo zio Alfred Newman ha vinto 9 Oscar, l’altro zio Lionel 1 Oscar, più altre nomination tra un altro zio e cugini vari) vincendo 2 Oscar per Monsters & Co e Toy Story 3.  Questo Dark Matter, uscito a 9 anni di distanza dal precedente Harps & Angels del 2008, risente pienamente del carattere cinematografico della sua carriera: parti orchestrali complesse ed eleganti, fiati stile New Orleans ed il suo pianoforte colpito od accarezzato a seconda delle occasioni fanno da sfondo a digressioni ed a racconti personali e sociali, per lo più ironici e surreali. Insomma una sorta di chamber-pop raffinato e divertente (avrebbe dovuto inserire un brano sul “coso” di Trump che si doveva chiamare “What a Dick” ma si vede che in produzione non se la sono sentita). Da ascoltare: She chose me, On the Beach. Voto: ☆☆☆



JADE JACKSON - Gilded (2017)
Album di esordio per questa cantautrice californiana che per la verità faceva musica da una decina d’anni circa in giro per le caffetterie americane e proprio lì è stata notata da moglie e figlio di Mike Ness (frontman dei Social Distortion) che ascoltatala, decideva di produrne il disco e farle da mentore. Le sue dichiarate influenze musicali sono Townes Van Zandt, Lucinda Williams, Gillian Welch, Ryan Adams ed altri ancora.

Gli 11 brani del disco sono una miscela sonora di country classico, autentico Americana, west-coast punk, folk acustico: il tutto nel contesto di un livello elevato di maturità e raffinatezza, inconsueto in un album di debutto. Da ascoltare: Aden, Finish Line, Salt to Sugar. Voto: ☆☆☆☆


sabato 26 agosto 2017

Recensioni: Jo Harman, Passenger

JO HARMAN - People We Become (2017)

Il suo debutto del 2013 “Dirt on my Tongue” mescolava rock, soul, blues e jazz con una maturità compositiva incompatibile con la sua giovane età.  Anche se proveniente dall’Inghilterra, le sue radici musicali sono a molte migliaia di miglia, attraverso l’Atlantico, nel blues e nel soul del profondo sud degli Stati Uniti. La sua voce poi, a volte roca e fumosa, a volte intensamente morbida e passionale le ha fatto anche conseguire il Female Vocalist of the year ai Blues Award britannici di quest’anno.
Un disco insolito in cui forse si avvertono due anime distinte: una forza blues-rock che è impossibile non rimandare a Beth Hart o Joss Stone ed accanto ad essa una sensibilità più soft, dal gospel-soul stile Mavis Staples al country-folk di Julia Fordham, Grace Slick o della prima Carly Simon. Impreziosito dalla presenza di Michael McDonald (Doobie Brothers) nel singolo “When we were young”, il disco è per lo più contrassegnato da ballate acustiche e ce la conferma come una tra le migliori voci blues-rock contemporanee. Da ascoltare: Silhouettes of You, Lind Me Your Love, Unchanged and Alone, The Final Page. Voto: ☆☆☆☆



PASSENGER - The Boy Who Cry Wolf (2017), Sunday Night Sessions (2017)



Ad un anno dal precedente, Mike Rosenberg ha pubblicato due distinti lavori, uno di cover ed uno di nuovi brani originali.
The Boy.. è l’ideale continuazione del disco precedente “Young as the morning, old as the sea” con brani che raccontano le piccole cose quotidiane attraverso il suo folk più tradizionale. Chitarra acustica, arpeggi melodici di facile presa, voce piena di carica soul sono i suoi segni distintivi I brani appaiono non molto dissimili l’uno dall’altro per un album che non aggiunge niente di nuovo a quanto già conoscevamo di lui: bello, piacerà a chi già lo conosce ma magari niente di invitante per chi non ne ha mai sentito parlare. Da ascoltare: Simple Song, Walls. Voto: ☆☆



Sunday Night Sessions è una collezione di cover: comprende brani di David Bowie, Rolling Stones, REM, Tracy Chapman, Eagles ed altri. Alcune cover appaiono particolarmente riuscite: Fast Cars di Tracy Chapman l’avevamo sentita in occasione del concerto al Vittoriale a Gardone Riviera ed è stato un vero piacere poterla riascoltare e metterla nella playlist sull’iPod! Sul suo canale YouTube peraltro si possono trovare altri pezzi che evidentemente non aveva deciso di inserire nel disco ma che valgono comunque l’ascolto. Da ascoltare: Space Oddity, Fast Cars. Voto: ☆☆




lunedì 21 agosto 2017

MANCHESTER ORCHESTRA


MANCHESTER ORCHESTRA (2017) A Black Mile To The Surface


Come per Manchester By The Sea, lo splendido film di Kenneth Lonergan, la città inglese dello United e del City (ma anche di The Smiths, Stone Roses e Oasis tra gli altri) non c’entra nulla con la ragione sociale della band, originaria di Atlanta (Georgia, USA) e giunta con questo al quinto album. Dimenticata (per un disco?) la passione per le chitarre elettriche taglienti e la voce selvaggia di impronta indie-hard-rock, ecco emergere la scrittura, sopraffina nell’intreccio di linee melodiche ed armonie vocali. L’epica passionale di U2 e Big Country negli ’80 si incrocia col romanticismo neo-prog di Elbow e Blue October nel nuovo millennio, la voce e l’intensità dei migliori Band of Horses con la propulsione ritmica tambureggiante e cinematica di Woodkid, e le aperture/chiusure corali rimandano a dei Fleet Foxes elettrici (una delle possibili evoluzioni del gruppo californiano, disattesa pochi mesi fa). Inserti di voci e rumori di fondo richiamano il tipico vezzo in studio dei Pink Floyd. Il tutto viene eseguito tecnicamente in modo ineccepibile, con pieno controllo dei mezzi, col cuore in mano e la mente lucida. Il suono è formalmente pulito ma denso e corposo, tale da non lasciare spazio all’immaginazione, tuttavia abbondantemente soddisfatta. Tutta un’altra band rispetto alla Manchester Orchestra conosciuta finora. Non è dato sapere perché solo dopo 10 anni dal debutto il combo guidato dall’eccellente vocalist Andy Hull sia giunto ad una organizzazione musicale siffatta, ma siamo ben lieti dell’evento, che ha permesso di partorire un capolavoro nel suo genere. In linea qualitativa anche la bella copertina.
Voto Microby: 9
Preferite: The Gold, The Moth, The Alien

mercoledì 16 agosto 2017

BROKEN SOCIAL SCENE, ARCADE FIRE


BROKEN SOCIAL SCENE (2017) Hug of Thunder

ARCADE FIRE (2017) Everything Now


In comune le due formazioni non hanno solo la patria (Canada: Toronto i BSS e Montreal gli AF) ed il fatto che l’ultima è per entrambe la quinta fatica in studio. Hanno soprattutto l’influenza basilare esercitata in primis sull’indie-pop rock, uscito grazie a loro dall’idea obbligata di produzioni scarne, lo-fi, D.I.Y. con l’unica alternativa di un “tradimento” mainstream, ed inoltre sull’evoluzione della musica radiofonica bianca degli ultimi 15 anni, che grazie a loro ha sdoganato prima le produzioni ipertrofiche, dense, anthemiche direttamente provenienti dai garage e dai club invece che costruite da ingegneri del suono in studio, e quindi il melting pot musicale ottenuto dalla fusione di generi agli antipodi: rock e disco music, folk e punk, new wave e marce militari. Altre due caratteristiche accomunano BSS ed AF e risultano fondamentali per comprenderne genesi ed evoluzione: sono collettivi ampi (10-12 membri-base) ed aperti (da cui la ricchezza, a volte pletorica, di idee e la difficoltà a farle convivere in buon equilibrio), ed entrambi paiono soffrire di horror vacui, dal momento che i loro album sono densamente farciti di voci e strumenti ultrastratificati, che spesso danno l’impressione di non voler lasciare disoccupato un membro o un ospite della band. Un lavoro di continua addizione anziché di sottrazione quando la misura sembra colma. Con entrambe le band dopo l’ascolto di un album ho la medesima sensazione di un luculliano pranzo di nozze, in cui ho mangiato bene (spesso benissimo) ma dopo il quale non voglio sentir parlare di cibo per una settimana. Per ripensare però dieci giorni dopo, smaltita l’abbuffata, a quanto vorrei riassaporare con calma 2-3 piatti al momento snobbati per rischio-indigestione. Ecco, BSS ed AR sono “too much”. Ma mentre i primi (e di minor successo soprattutto fuori dal Canada) tendono a ripetere il medesimo schema dal 2001 ad oggi (ed al collettivo tendo personalmente a preferire quanto pubblicato dai singoli membri, in particolare Feist, ma anche Kevin Drew o i gruppi The Dears e Stars), gli Arcade Fire hanno coraggiosamente sterzato nel 2013 con Reflektor verso una musica sempre ipertrofica ma a trazione electro-dance (con risultati alterni ma mediamente apprezzati), ed attualmente alla crasi (discutibile e poco equilibrata, come dimostra anche il ricorso a più produttori) tra pop-rock, disco music, elettronica e musica orchestrale. Il giudizio finale è, a mio parere, penalizzante per entrambi: meglio i BSS che tuttavia insistono in una rivoluzione che è già passata agli archivi (anche se la classe rimane indubbia), laddove gli AF risultano a sprazzi piacevoli ma banali, bombastici per radio e classifiche ma ruffiani ad un orecchio attento. Il mio consiglio per i pochi che non conoscono i due gruppi è di andarsi ad ascoltare l’epica liberatoria di You Forgot It In People (BSS, 2002) e di Funeral (AF, 2004), o quella suburbana di The Suburbs (AF, 2010): questi sì che hanno fatto la storia.

Voto Microby: BSS 7.4 , AF 6.5

Preferite: BSS: Hug of Thunder, Victim Lover, Skyline

AF: Everything Now, Put Your Money On Me, Signs of Life
 



martedì 8 agosto 2017

Recensioni al Volo: Elliott Murphy, Ani Difranco

ELLIOTT MURPHY - Prodigal Son (2017)

Trentacinque dischi in 40 anni di carriera, cittadino americano di New York ma anche europeo di Parigi, dove si è trasferito da molti anni e da dove ama andare a zonzo per l’Italia (per un periodo ha fatto anche il busker a Roma). Chitarra e armonica, voce invecchiata ma sempre calda e profonda, anche in questo lavoro conferma la sua qualità compositiva con le sue ballate ricche di accenni soul o gospel.
Da ricordare il brano finale, il lunghissimo Absalom, Davy & Jachie O, dodici minuti di cavalcata musical-letteraria (brano ispirato alla Bibbia). Voto: ☆☆☆1/2


ANI DIFRANCO - Binary (2017)


Un bel pò di dischi alle spalle anche per l’artista di Buffalo (questo è il 20° album in 25 anni di carriera, a tre anni dal precedente “Allergic to Water”), cantautrice sempre caratterizzata dallo spirito tagliente e dalla narrazione ruvidamente politica e nel solco della non-violenza. Accanto al country-folk, che si sposa benissimo con i mentori del passato (Guthrie e Seeger su tutti) la sua capacità melodica sa integrare un re del funky-jazz come Maceo Parker ad un vate dell’indie-rock (Justin Vernon, AKA Bon Iver). Del resto l’eclettismo musicale è sempre stato il punto di forza di AD, anche questa volta riuscita a fondere magistralmente il suo essere fieramente “indie” ad intensità armoniche emozionanti impreziosite da texture eteree o rumoriste (quando prevalgono i clanks ed i ronzii di Bon Iver). Da ascoltare: Binary, Pacifist’s Lament, Even More. Voto: ☆☆☆☆

mercoledì 2 agosto 2017

BNQT, CIGARETTES AFTER SEX


BNQT (2017) Volume 1



Pensato come un divertissement tra amici, il debutto dei BNQT (da intendersi come "Banquet") è il risultato di un supergruppo indie pop-rock costituito dai lead singers di fior di bands: Eric Pulido (Midlake e coordinatore del progetto), Ben Bridwell (Band of Horses), Alex Kapranos (Franz Ferdinand), Fran Healy (Travis) e Jason Lytle (Grandaddy). Ciascuno ha scritto e cantato due brani, e tutti li hanno eseguiti arrangiandoli col supporto degli altri Midlake come backing band. Partorito come un gioco, il progetto è andato oltre perchè, pur senza gridare al capolavoro, innanzitutto suona coeso come il prodotto di una band con 5 lead singers, e soprattutto comunica realmente il primum movens, cioè la spensieratezza e la gioia di fare musica insieme. Per nulla tamarra e fracassona, la festa è anzi un trionfo di melodie pop che guardano agli anni '70, con arrangiamenti ricchi di chitarre, tastiere, fiati ed armonie vocali, che stuzzicheranno chi ha amato nei seventies i 10CC e l'Electric Light Orchestra, o più recentemente i Traveling Wilburys. Il titolo dell'album fa supporre che la festa sia appena cominciata.
Voto Microby: 7.4
Preferite: Unlikely Force, 100 Million Miles, Hey Banana






CIGARETTES AFTER SEX (2017) Cigarettes After Sex





Il combo di ambient pop romantico, originario di El Paso (Texas) ma operativo a Brooklyn, è attivo dal 2008 sotto la guida del songwriter, cantante e chitarrista Greg Gonzalez, ma giunge solo ora al debutto discografico. Slowcore e dream pop
sono le influenze principali, servite dalla voce androgina, sussurrata e dimessa di Gonzalez, da chitarre pizzicate, semiamplificate e riverberate, da un tappeto soffice e fragile di tastiere, e da una sezione ritmica puramente strutturale. Troppo poco per un progetto che regge qualche canzone ma fatica sulla lunga distanza, per l'eccessiva (volontaria?) monocromaticità delle soluzioni sonore e l'assenza di cambi di ritmo o di refrain memorabili. Mezzo punto di valutazione in più per il nome della band, ma l'impressione finale è che il sesso sia meglio dell'after sex (ma va??) e lo stesso mood post-ascolto ribadisce che "post coitum omne animal triste est".
Voto Microby: 7
Preferite: John Wayne, K., Truly































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