martedì 19 settembre 2017

Sky Music: A tribute to Terje Rypdal (2017)



Il 23 agosto Terje Rypdal ha compiuto 70 anni, peraltro portati malissimo. Nel 2007, quando lo sentii suonare dal vivo per la terza e temo ultima volta, era già messo malissimo. Si esibì da seduto e un mio ex studente, che nel frattempo aveva trovato la sua strada come fotografo, mi disse che durante le prove, alle quali aveva potuto partecipare, non fece che tirar fuori dalla tasca della giacca una fiaschetta per berne compulsivamente il contenuto. La trasformazione fisica attribuibile all’alcol è evidentissima passando in rassegna le fotografie che lo ritraggono: il bel marcantonio degli anni ’70 ha lasciato il posto a un gigante imbolsito che si muove a fatica.
Proprio il 23 agosto la norvegese Rune Grammofon ha aggiunto al proprio notevole catalogo (Biosphere, Arve Henriksen, Food, Alog, Espen Eriksen) un tributo al titanico chitarrista e compositore norvegese,k dove a una band guidata dal tastierista Ståle Storløkken (con Rypdal in Vossabrygg e Crime Scene) e chiamata per l’occasione Sky Music (Skywards era il titolo di un disco del 1997) si aggiungono le performance soliste di Bill Frisell, Nels Cline e David Torn. Davanti a nomi del genere devono essere fatte subito due considerazioni: la prima è che la chitarra di Rypdal, con suo quel suono così liquido capace di vulcanizzazioni improvvise, ha una sua “voce” riconoscibilissima. Nonostante la straordinarietà delle sue composizioni, dunque, affidare brani come Ørnen, Avskjed e What comes after a musicisti dal suono altrettanto distinguibile e dalla personalità ciclopica significa tentare un’arditissima operazione. Mutatis mutandis, è come se Mozart si fosse messo a suonare Bach. La seconda considerazione è legata a ciò che è riuscita a fare la band Sky Music, affidando il ruolo centrale al chitarrismo muscolare di Raoul Björkenheim (già leader dei Krakatau, ma qualcuno lo ricorderà anche al fianco del compianto Edward Vesala in Lumi), che esaspera la dimensione metal delle composizioni di Rypdal. Quanto al repertorio, ricordando che la produzione del nostro si suddivide equamente tra un jazz-rock ad alto livello di contaminazione e partiture sinfoniche e orchestrali, è solo dal primo versante che viene selezionato (comprensibilmente e per dare coerenza all’intera operazione) il materiale suonato, con una netta predilezione per il Rypdal degli anni ’70, senza dubbio il decennio più creativo della sua carriera (il suo ultimo miracolo, a mio personalissimo giudizio, è il sinfonico Lux aeterna, vecchio ormai di tre lustri). È da quella straordinaria stagione che provengono brani come Over Birkerot, Silver Bird Heads For The Sun, What Comes After, Though Enough, Rolling Stone, Avskjed e Sunrise. Qualcosina viene anche lasciata alla creatività degli altri musicisti che partecipano al tributo, tra i quali spiccano i nomi di Jim O’Rourke, Henry Kaiser e del violoncellista Erik Friedlander. A loro e a tutti gli altri si deve un tributo comunque necessario a uno dei musicisti che più hanno contribuito a ridisegnare il concetto di musica jazz, dilatandone i confini verso territori inesplorati che hanno finito per fare scuola.

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