Il 23 agosto Terje Rypdal ha compiuto 70 anni, peraltro
portati malissimo. Nel 2007, quando lo sentii suonare dal vivo per la terza e
temo ultima volta, era già messo malissimo. Si esibì da seduto e un mio ex
studente, che nel frattempo aveva trovato la sua strada come fotografo, mi
disse che durante le prove, alle quali aveva potuto partecipare, non fece che
tirar fuori dalla tasca della giacca una fiaschetta per berne compulsivamente
il contenuto. La trasformazione fisica attribuibile all’alcol è evidentissima
passando in rassegna le fotografie che lo ritraggono: il bel marcantonio degli
anni ’70 ha lasciato il posto a un gigante imbolsito che si muove a fatica.
Proprio il 23 agosto la norvegese Rune Grammofon ha aggiunto
al proprio notevole catalogo (Biosphere, Arve Henriksen, Food, Alog, Espen Eriksen)
un tributo al titanico chitarrista e compositore norvegese,k dove a una band guidata
dal tastierista Ståle Storløkken (con Rypdal in Vossabrygg e Crime Scene) e
chiamata per l’occasione Sky Music (Skywards era il titolo di un disco del
1997) si aggiungono le performance soliste di Bill Frisell, Nels Cline e David
Torn. Davanti a nomi del genere devono essere fatte subito due considerazioni:
la prima è che la chitarra di Rypdal, con suo quel suono così liquido capace di
vulcanizzazioni improvvise, ha una sua “voce” riconoscibilissima. Nonostante la
straordinarietà delle sue composizioni, dunque, affidare brani come Ørnen, Avskjed
e What comes after a musicisti dal suono altrettanto distinguibile e dalla
personalità ciclopica significa tentare un’arditissima operazione. Mutatis mutandis,
è come se Mozart si fosse messo a suonare Bach. La seconda considerazione è
legata a ciò che è riuscita a fare la band Sky Music, affidando il ruolo
centrale al chitarrismo muscolare di Raoul Björkenheim (già leader dei
Krakatau, ma qualcuno lo ricorderà anche al fianco del compianto Edward Vesala
in Lumi), che esaspera la dimensione metal delle composizioni di Rypdal. Quanto
al repertorio, ricordando che la produzione del nostro si suddivide equamente
tra un jazz-rock ad alto livello di contaminazione e partiture sinfoniche e
orchestrali, è solo dal primo versante che viene selezionato (comprensibilmente
e per dare coerenza all’intera operazione) il materiale suonato, con una netta
predilezione per il Rypdal degli anni ’70, senza dubbio il decennio più
creativo della sua carriera (il suo ultimo miracolo, a mio personalissimo
giudizio, è il sinfonico Lux aeterna, vecchio ormai di tre lustri). È da quella
straordinaria stagione che provengono brani come Over Birkerot, Silver Bird
Heads For The Sun, What Comes After, Though Enough, Rolling Stone, Avskjed e Sunrise.
Qualcosina viene anche lasciata alla creatività degli altri musicisti che
partecipano al tributo, tra i quali spiccano i nomi di Jim O’Rourke, Henry
Kaiser e del violoncellista Erik Friedlander. A loro e a tutti gli altri si
deve un tributo comunque necessario a uno dei musicisti che più hanno
contribuito a ridisegnare il concetto di musica jazz, dilatandone i confini verso
territori inesplorati che hanno finito per fare scuola.
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