ALGIERS (2017) The Underside of
Power
Già sorprendende al debutto due anni orsono, il trio
(ora quartetto) di polistrumentisti di passaporto misto UK/USA
colpisce ulteriormente per la maturità raggiunta solo al sophomore
album. La rabbia organizzata dei Clash
di London Calling e le
linee melodiche e ritmiche di quelli di Sandinista
shakerate con l'elettronica del nuovo millennio e l'appeal
radiofonico dei primi Bloc Party.
L'evoluzione che questi ultimi e la Mark
Lanegan Band non sono mai riusciti
(finora) a completare: se ammettiamo, dolenti, che il rock inteso
comunemente ha chiuso i battenti (passando a "genere"
classico, non più contemporaneo) a fine anni '90, gli Algiers
propongono quello che potrebbe essere considerato il rock dei tempi
attuali, con liriche di allerta sociale supportate dal groove del
rock'n'roll, l'urgenza del punk, la danzabilità black, l'attenzione
ai beat elettronici e agli hooks radiofonici, senza perdere un
grammo di aggressività (controllata). Un ascolto non facile ma che
sorprende per potenza ed intelligenza. Da seguire attentamente (e
possibilmente gustare in concerto, che si suppone infuocato).
Voto Microby: 8
Preferite: Cry
of The Martyrs, M.me Rieux, Walk Like A Panther
STEVEN WILSON (2017) To The
Bone
Un incipit alla "Time" di pinkfloydiana
memoria (la titletrack) inganna il fan che si attende l'ennesima
eccellente prova in stile prog, da parte dell'artista certamente
guida assoluta nella riattualizzazione del genere progressive che
tanto contrassegnò gli anni '70. In realtà, nonostante la
dichiarazione dell'artista di aver voluto con il presente album
omaggiare le sue influenze più pop anni '80 (Tears For Fears, Peter
Gabriel, Kate Bush tra le altre), il risultato finale è un ibrido
tra prog e pop-rock, pur pendendo verso
quest'ultima sponda. Tolti un paio di episodi fuori contesto (il
fuorviante singolo "Permanating", che ha fatto storcere il
naso a molti fans storici, ed il poppettino di "Song of I"
con Sophie Hunger ospite alla voce) l'album si fa comunque apprezzare
per la consueta grande capacità di allestimento dei suoni e degli
arrangiamenti, pur essendo meno ispirato del solito nella scrittura.
Non una svolta (Wilson è da sempre camaleontico nella sua curiosità
musicale) nè uno dei suoi lavori migliori (come sostenuto
soprattutto dalla stampa americana), ma un disco di buone canzoni
vestite con abiti meno eleganti e più aggressivi del solito, da
parte di un fuoriclasse nella gestione dei suoni.
Voto Microby: 7.5
Preferite: Nowhere
Now, To The Bone, The Same Asylum As Before
1 commento:
Steven Wilson: un disco più "Blackfield" che "Porcupine Tree" ma, come sempre, di grande qualità. Voto: ☆☆☆☆
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