XAVIER
RUDD (2018) Storm Boy
Ho un debole per questo
quarantenne di Victoria, Australia, partito quindici anni fa dai
circuiti folk locali come chitarrista e suonatore di didgeridoo per
poi aprirsi come polistrumentista a musica cantautorale ma dalle
svariate influenze, sempre nell'ambito di un folk-pop
coloratissimo, soulful e con abbondanti screziature reggae.
La cultura aborigena (tale era la bisnonna) permea le sue liriche,
da sempre improntate a magnificare le leggi di madre natura, il
rispetto per l'ambiente e per le minoranze etniche e religiose ("la
musica è la mia chiesa, la cultura aborigena la mia religione"),
e soprattutto l'uguaglianza anche interspecie (nelle tribù aborigene
gli uomini non si considerano superiori a piante ed animali). Dopo il
capolavoro totalmente reggae "Nanna" del 2015, una
splendida anomalia nella sua discografia, Rudd torna ad allacciarsi
ai suoi temi anche musicali consueti, che vedono il Paul
Simon sia
intimo che etnico abbracciare il Bob
Marley più
mistico, e che nel nuovo millennio trovano esempi simili in Jack
Johnson, John Butler, Ben Harper
(ma io lo preferisco a tutti e tre). Storm
Boy si aggancia a
Spirit Bird
del 2013, ma lo supera in brillantezza di suoni, varietà di
ispirazione, leggerezza compositiva. E' un disco che nella prima
parte rallegra, rinfresca, corrobora, e nella seconda culla con
ballate sognanti. Grazie a Stefano che me lo fece conoscere molti
anni fa, spero di potermelo godere dal vivo il prossimo 10 ottobre
all'Alcatraz a Milano.
Voto
Microby: 8.3
Preferite:
Keep
It Simple, Walk Away, True Love
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