mercoledì 24 ottobre 2018

JOHN WESLEY HARDING


JOHN WESLEY HARDING (2018) Greatest Other People's Hits

Wesley Stace, in arte John Wesley Harding ovviamente in onore di Bob Dylan, gode di stima unanime e trasversale di colleghi e critici qualunque branca della vita professionale affronti: romanziere, singer-songwriter, conduttore radiofonico, docente universitario, giornalista (per The New York Times e The Washington Post). Per quanto ci riguarda, la sua attività di cantautore ora più folk (con in mente Dylan) ora più pop (con Elvis Costello come stella polare) è sempre stata di buon/ottimo livello, e tale si conferma anche in questa semi-raccolta (molti brani non sono inediti) prevalentemente in studio e parzialmente dal vivo che propone diciassette covers di brani di autori più o meno noti interpretati dall’artista inglese (dell’East Sussex, ma di stanza negli USA) nel corso degli ultimi 25 anni. Curiosamente non fanno parte del lotto interpretazioni del suo idolo, Bob Dylan, mentre troviamo tra gli altri due brani ripresi da Bruce Springsteen (anche ospite in "Wreck On The Highway" dal vivo nel 1994), due da Lou Reed (che duetta col nostro in "Satellite of Love"), ma anche una splendida "Benedictus" degli Strawbs, un’asciutta e riuscita "Like A Prayer" di Madonna, e poi Pete Seeger, Phil Ochs, Serge Gainsbourg, Rocky Erickson, con l’unica "Wah Wah" di George Harrison un po’ sopra le righe. Il tutto è presentato con garbato trasporto, come da carattere del nostro, e con l’unica pecca di un’eccessiva eterogeneità di generi (dal folk al rock sixties, dal pop al soul, dal cantautorato urbano al country), quasi scontata in una tavolozza così variegata di autori ed epoche, e spalmata in un quarto di secolo di attività di JWH. Ma è questione di lana caprina, perché ogni brano tocca le corde corrispondenti a un tributo sincero.
Voto Microby: 7.8

Preferite: Benedictus, If You Have Ghosts, Jackson Cage

martedì 16 ottobre 2018

TREETOP FLYERS


TREETOP FLYERS (2018) Treetop Flyers

Emerso sul mercato musicale professionistico nel 2011, in qualità di vincitore del titolo di “emergent talent” al Glastonbury Festival, il quintetto londinese guidato dalla scrittura e dalla voce vellutata e spiccatamente soulful di Reid Morrison aveva già ricevuto il plauso del nostro blog con l’album d’esordio (The Mountain Moves, 2013). Ai tempi il loro folk-rock di genere decisamente “americana” faceva pensare alla California, e faceva scrivere al recensore “come se gli America incontrassero i Black Crowes con spruzzate di Alabama Shakes e Fleet Foxes”. Un sophomore album nel 2016 (Palomino, solo discreto soprattutto perché poco a fuoco, tra tentazioni pop, rock e soul poco risolte) faceva temere di aver già perso per strada l’ennesima band promettente. Invece eccoli tornare con prepotente qualità col nuovo, omonimo lavoro. What happens if you mix West Coast Americana, folk sensibilities, a soulful tenderness and a poppy sheen? The Treetop Flyers third album” (Clash Magazine). Totalmente calati tra gli anni ’60 ed i ’70, ad eccezione della lunga Art of Deception in cui sono debitori della psichedelia gentile del Laurel Canyon, per il resto della scaletta la stella polare è il Van Morrison dei primi ’70, con il folk-rock piegato ad un eccellente soul atemporale, in debito con l’irlandese ma anche con Otis Redding e, complice la voce, con Sam Cooke. In mezzo, e perfettamente amalgamate, ci stanno screziature Grateful Dead, Blodwyn Pig, Peter Green. Un album meno radio-friendly dei due che l’hanno preceduto, lontano dai brani pop orecchiabili che pure la band ha dimostrato di avere in carniere, ma di grande e morbidissima compattezza soul, dalla qualità evergreen che cresce con gli ascolti e rimarrà nel tempo.
Voto Microby: 8

Preferite: Needle, Sweet Greens & Blues, Kooky Clothes

giovedì 4 ottobre 2018

BIG RED MACHINE


BIG RED MACHINE (2018) Big Red Machine



Dobbiamo accettare, anche se tuttora pare siano in pochi a gioirne, che Bon Iver di "For Emma, Forever Ago" (2008) e The National di "Boxer" (2007) siano capitoli musicali archiviati. Il canadese Justin Vernon, aka Bon Iver, già nel precedente "22, A Million" (2016) aveva improvvisamente abbandonato il cantautorato acustico, intimo e bucolico in favore di un'elettronica straniante, ostica ai primi ascolti ma ricca di sfumature ed infine affascinante. I due gemelli Aaron e Bryce Dessner, anima dei newyorkesi The National, da qualche anno palesano interesse e tessono collaborazioni con artisti di musica elettronica, jazz, avantgarde e colonne sonore. Non era però scontato (anzi è stato del tutto casuale: l'incontro/confronto ad una kermesse musicale con la presenza di entrambi) che i due corpi musicali partorissero un lavoro collaborativo, sotto il nom de plume Big Red Machine. Album nettamente spostato sulle più recenti coordinate del barbuto cantautore canadese (sua d'altra parte la quasi totalità della scrittura, così come la voce, nel tipico falsetto e/o filtrata/distorta dal vocoder), ma cui la tessitura delle chitarre di Aaron Dessner dona profondità, mistero, fascino secondo (fatte le debite proporzioni) la lezione del Robert Fripp dei '70-'80. Andiamo al dunque: chi ha disprezzato (perchè tedioso) il Bon Iver elettronico non reggerà tre brani dell'album che sto recensendo; chi lo ha apprezzato amerà ancora di più i Big Red Machine, che ne rappresentano la naturale e migliore evoluzione: figli riconoscenti (ed ancora in parte acerbi ma dagli sviluppi promettenti) dei Radiohead meno commerciali, e nipoti ben educati dall'elettronica di Laurie Anderson, dalle sperimentazioni di Robert Fripp e Peter Gabriel, ma soprattutto dalle collaborazioni tra Brian Eno e David Byrne. Un lavoro a suo modo singolare e moderno, inadatto a chi alla musica chiede solo entertainment, ma nemmeno esclusivo piacere di critici snob e Pitchfork generation. Io lo trovo ipnotico, non ipnoinducente.

Voto Microby: 7.8

Preferite: Lyla, Forest Green, I Won't Run From It


lunedì 1 ottobre 2018

DEATH CAB FOR CUTIE, LUMP


DEATH CAB FOR CUTIE (2018) Thank You For Today

Nono album in vent’anni per la formazione americana guidata da Ben Gibbard, paradigma e vertice dell’indie-pop da serie televisiva per teenagers, e primo disco dalla dipartita di Chris Walla, il cui suono di chitarra limpido e vellutato da sempre caratterizza la band, e che pertanto viene riproposto più o meno fedelmente dalla coppia di sostituti Dave Depper/Zac Rae. Il risultato è leggermente migliore del precedente Kintsugi (2015), ma assai lontano dalle vette del passato (su tutti Transatlanticism del 2003 e Plans del 2005): l’impressione è che ormai i DCFC siano schiavi del marchio di fabbrica che li contraddistingue (“trying so hard to play it cool” canta Gibbard in “60 & Punk”) e non riescano più ad andare oltre la carezzevole nostalgia esistenziale che non è mai stata nè realmente dark né semplicemente pop. Oggi sembrano un mix elegante tra i Fleetwood Mac anni ’80 e una versione pacata e malinconica dei Placebo (complice la voce nasale di Gibbard), quasi da “emo” il giorno di festa (per modo di dire...). Piacevole ma poco vitale.
Voto Microby: 7.3

Preferite: Your Hurricane, 60 & Punk, Northern Lights

LUMP (2018) LUMP

Come recita il brano di chiusura dell’album, LUMP è il prodotto della collaborazione della fuoriclasse inglese Laura Marling (che dona testi e canto) con il polistrumentista Mike Lindsay degli albionici Tunng (che contribuisce con la scrittura della musica e la sua realizzazione). Il risultato, tra l’humus folk della Marling e le tentazioni sperimentali dei Tunng, è pura folk-tronica (se se ne vuole un esempio), o elettronica bucolica ed eterea. Dal duo ci si poteva tuttavia aspettare più coraggio e maggiore qualità, perché LUMP resta a metà del guado senza indicare nuove vie di espressione musicale né brillare per scrittura ed esecuzione. Non è dato sapere se il progetto resterà isolato. Vi fosse un seguito, avrebbe senso se baciato da maggiore ispirazione. Sul medesimo genere, meglio piuttosto godersi il recente debutto dei Big Red Machine, altra e ben più riuscita collaborazione (tra Justin Vernon aka Bon Iver e Aaron Dessner dei The National).
Voto Microby: 7.2
Preferite: Curse of The Contemporary, Late To The Flight
 



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