TREETOP
FLYERS (2018) Treetop Flyers
Emerso sul mercato musicale professionistico nel 2011, in qualità di
vincitore del titolo di “emergent talent” al Glastonbury
Festival, il quintetto londinese guidato dalla scrittura e dalla voce
vellutata e spiccatamente soulful di Reid Morrison aveva già
ricevuto il plauso del nostro blog con l’album d’esordio (The
Mountain Moves, 2013). Ai tempi il loro folk-rock di genere
decisamente “americana” faceva pensare alla California, e faceva
scrivere al recensore “come
se gli America
incontrassero i Black
Crowes
con spruzzate di Alabama
Shakes
e Fleet
Foxes”. Un
sophomore album nel 2016 (Palomino,
solo discreto soprattutto perché poco a fuoco, tra tentazioni pop,
rock e soul poco risolte) faceva temere di aver già perso per strada
l’ennesima band promettente. Invece eccoli tornare con prepotente
qualità col nuovo, omonimo lavoro. “What
happens if you mix West Coast Americana, folk sensibilities, a
soulful tenderness and a poppy sheen? The Treetop
Flyers third album” (Clash
Magazine). Totalmente calati tra gli anni ’60 ed i ’70, ad
eccezione della lunga Art of
Deception in cui sono debitori della
psichedelia gentile del Laurel Canyon, per il resto della scaletta la
stella polare è il Van Morrison
dei primi ’70, con il folk-rock
piegato ad un eccellente soul
atemporale, in debito con l’irlandese ma anche con Otis Redding e,
complice la voce, con Sam Cooke. In mezzo, e perfettamente
amalgamate, ci stanno screziature Grateful Dead, Blodwyn Pig, Peter
Green. Un album meno radio-friendly dei due che l’hanno preceduto,
lontano dai brani pop orecchiabili che pure la band ha dimostrato di
avere in carniere, ma di grande e morbidissima compattezza soul,
dalla qualità evergreen che cresce con gli ascolti e rimarrà nel
tempo.
Voto
Microby: 8
Preferite:
Needle, Sweet Greens & Blues,
Kooky Clothes
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