KEVIN
MORBY (2019) Oh My God
Davvero
bizzarro l’ex The
Babies e Woods,
partito dall’indie-rock
e, una volta smarcatosi, mai realmente approdato a qualche
sottogenere significativo (per vendite o storia della nostra musica).
In testa ci sono sempre Bob
Dylan, Leonard Cohen e
Lou Reed, ma
con un’estetica “slacker”
che lo avvicina anche a Pete Doherty, Stephen Malkmus/Pavement,
Grandaddy e cantanti vari apparentemente “scazzati” (vedi i più
recenti Joseph Arthur, Mac DeMarco e Kurt Vile). La qualità della
sua produzione è peraltro sempre stata apprezzabile (mai tuttavia
imprescindibile). Stavolta al primo ascolto sembra aver fatto il
passo più lungo della gamba: come il Dylan di Saved
il musicista americano sembra il nuovo illuminato sulla via di
Damasco e, in scia agli artisti del cosiddetto “christian
rock”, ci
propone un predicozzo i cui testi (espliciti già nei titoli)
urticherebbero atei ed agnostici, ma accompagnati da musiche ed
arrangiamenti intriganti e piacevoli per quanto strani, quasi
esclusivamente acustici, che ci fanno dimenticare le continue
invocazioni al nostro dio e signore. Critica musicale divisa in due:
io sto con quella cui, alla fine, il disco è piaciuto (senza gridare
al miracolo...oops!).
Voto
Microby: 7.5
Preferite:
Hail
Mary, Seven Devils, Piss River
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