lunedì 30 novembre 2020

JAMES DEAN BRADFIELD


JAMES DEAN BRADFIELD (2020) Even In Exile

Frontman e chitarrista dei gallesi Manic Street Preachers, una tra le formazioni emerse in pieno clima britpop ma dal tiro politico, scorie punk e rabbia melodica alla base di un ampio successo sia di critica che di pubblico, James Dean Bradfield al suo secondo album da solista non rinuncia all’impegno sociale ed anzi lo rilancia alla garibaldina, come “eroe dei due mondi”. Even In Exile è infatti ispirato alla figura di Victor Jara, regista teatrale, poeta, cantautore, membro del Partito Comunista de Chile, attivista politico e sostenitore del socialista Salvador Allende, e come lui ucciso durante il golpe del 1973, non prima di essere stato detenuto, torturato e deriso (gli aguzzini gli frantumarono le ossa delle mani e poi lo sfidarono a suonare la chitarra). Con la collaborazione ai testi di Patrick Jones (fratello di Nicky Wire, bassista dei Manics) che ha riadattato liriche di Victor Jara, JDB ha completato una sorta di concept album che in modo armonioso coniuga i Manics melodici di This Is My Truth Tell Me Yours (1998) con momenti prog ed influenze floydiane ma con lo spirito di Sandinista dei Clash (uno degli album che JDB dichiara più formativi nella personale educazione politico-musicale). Alcuni intermezzi solo strumentali non disuniscono il lavoro, sempre appassionato come i fan dei Manics apprezzano, e un brano come La partida ricorderà ai più giovani le atmosfere dei Calexico, ma ai canuti come il sottoscritto scoperchierà la nostalgia della composizione di Victor Jara interpretata nel 1974 dagli Inti Illimani di La nueva cancion chilena, e da JDB esaltata in climax morriconiano.

Voto Microby: 7.7

Preferite: Recuerda, The Boy From The Plantation, Thirty Thousand Milk Bottles

domenica 22 novembre 2020

JOE BONAMASSA

 


JOE BONAMASSA (2020) Royal Tea

Insopportabile Bonamassa. In venti anni lo straordinario (da qualunque parte la si voglia vedere) chitarrista americano ha pubblicato ufficialmente 16 album in studio, 16 live (+ 16 video), 5 dischi come membro degli hard-rockers Black Country Communion, 4 con la fusion-band Rock Candy Funk Party, 4 di impronta soul-blues in coppia con Beth Hart, e uno con The Sleep Eazys, outfit jazz-blues delle radici; per non elencare le innumerevoli collaborazioni studio/live con altri artisti. Insopportabile per i negozianti di dischi nel gioco del “file under”, nel quale pertanto è sempre sbrigativamente catalogato “blues” o “rock-blues”. Se siamo qui a recensirlo, è perché per l’ennesima volta il suo lavoro è insopportabilmente di buona qualità, sebbene ancora una volta difficilmente decifrabile vista la pletora di generi musicali affrontati. Reduce dall’album British Blues Explosion che nel 2018 lo aveva portato a Londra per un tributo rock-blues impresso su disco ai suoi tre principali guitar heroes (Eric Clapton, Jeff Beck e Jimmy Page), in quella occasione aveva assorbito l’atmosfera della Londra a cavallo tra i ’60 e i ’70, che musicalmente partiva dai Bluesbreakers di John Mayall, dai Cream e dal Jeff Beck Group per allargarsi all’emergente scena hard-rock e progressive. Ecco, in questi tre generi (hard-rock, blues, prog in ordine di peso) si riassume l’ultima fatica di Joe Bonamassa. Inciso nei mitici Abbey Road Studios con la solita/solida band (Anton Fig alla batteria, Michael Rhodes al basso, Reese Wynans alle tastiere) ed il fondamentale contributo alla composizione di Bernie Marsden (UFO/Whitesnake) e Pete Brown (paroliere dei Cream), Royal Tea sciorina sì i soliti torrenziali ed ipertecnici assoli chitarristici (che spesso da soli giustificano il disco), ma inseriti ad hoc in canzoni dalla scrittura forse non memorabile ma certamente di buona qualità. Nella maggior parte dei casi si tratta di hard-rock, hard-blues, hard-prog, hard-shuffle, hard-R’n’R (fino alla chiusura con un brano country-rock), nei quali emergono prepotenti le influenze british, compositive e chitarristiche (i citati Clapton, Beck, Page, ma anche Rory Gallagher, Paul Kossoff, Gary Moore), piuttosto che americane (gli amati Stevie Ray Vaughan e B.B. King), con sparse, chiare citazioni di Led Zeppelin e Deep Purple. Il risultato finale è quello di un classic hard-rock seventies, in cui si apprezzano gli equilibrismi tecnici (come al solito) ma anche la grande versatilità del nostro, insieme alla sua voce che negli anni è diventata davvero eccellente. Insopportabile ma, al solito, decisamente energetico.

Voto Microby: 7.7    

Preferite: Beyond The Silence, Why Does It Take So Long To Say Goodbye, A Conversation with Alice

sabato 14 novembre 2020

Idles ULTRA MONO Momentary acceptance of the self


Ogni tanto capita di imbattersi in una band che ti fulmina sulla via di Damasco e ti fa pensare che si, il rock non è morto se in giro c'è ancora gente capace di farti venire voglia di ballare in salone mentre li ascolti. Ho scoperto l'ultimo album degli Idles per caso alla radio (grazie di esistere Radio Rock!), che trasmetteva War, il primo singolo di questo album, e me ne sono subito innamorato. Non tanto per i suoni molto derivativi, principalmente ispirati al punk, sia quello brit che quello d'oltreoceano, quanto per l'energia, la modernità e, strano per una band etichettata come post-punk, la qualità compositiva dei loro pezzi. Loro rifiutano l'etichetta, ma è una posizione abbastanza difficile quando proponi pezzi come la stessa War o Ne touche pas moi. Insomma, se vi piacciono i Sex Pistols, i Gang of Four, i Fun Boy Three, Nick Cave, the Hives, Dead Kennedys, Rage Against The Machine e chi più ne ha più ne metta, beh, questa band è per voi! Ma attenzione, non si tratta di revival ma di umanesimo. Questi siedono sulle spalle dei giganti e aprono le porte al futuro del rock.


domenica 8 novembre 2020

Recensioni: MATT BERNINGER - Serpentine Prison, THE MASTERSONS - No Time For Love Songs

MATT BERNINGER - Serpentine Prison (2020) 


L’instancabile leader dei The National dopo una marea di partecipazioni e progetti ha deciso pubblicare questo disco di inediti in cui folk, country-blues e pop sono la colonna sonora della sua profonda voce da crooner. Toni orchestrali alternati ad altri più intimisti e sommessi danno al disco quasi una dimensione notturna e a tratti teatrale: MB si muove con la sua slide guitar tra sonorità minimali e scarne ma curate e profonde. Non può non piacere a chi ama Nick Cave, Leonard Cohen, Randy Newman, Elvis Costello ed i primi Wilco. Da ascoltare: One More Second, Distant Axis, Serpentine Prison. Voto:





THE MASTERSONS - No Time For Love Songs (2020) 


I coniugi Chris ed Eleanor Masterson, componenti di lunga data della band di Steve Earle, hanno sempre fatto dell’ottimo pop-folk di qualità con melodiche leggere, accattivanti e vagamente malinconiche ma anche tecnicamente impeccabili. In questo loro quarto lavoro celebrano 10 anni di collaborazione e confermano la loro impostazione melodica con arrangiamenti raffinati e mai ridondanti ed una attenta cura delle armonie vocali. In questo insieme di canzoni leggere ed intelligenti, una sorta di mix di Americana, Country e Folk-Pop, si sente l’impronta sixties dei Byrds, l’eleganza dei Fleetwood Mac la profondità di Buddy & Julie Miller ed addirittura un pizzico di Power-pop alla Badfinger. Da ascoltare: Spellbound, The Last Laugh, King of the Castle. Voto:




martedì 3 novembre 2020

GORDI


GORDI (2020) Our Two Skins

L’esordio discografico nel 2017 nei panni (stretti) di una singer-songwriter dedicata alla folktronica (forse scontata, viste le contingenti collaborazioni/tours con Bon Iver, Troye Sivan, Asgeir), quindi una lunga pausa per gestire la chiusura della relazione col fidanzato storico e l’inizio di un rapporto omosessuale, ma soprattutto il conseguimento della laurea in medicina e l’inizio del lavoro al Prince of Wales Hospital di Sidney. E riecco l’attuale 27enne Sophie Payten, in arte Gordi, con un nuovo e più compiuto album. Le influenze precedenti non sono andate perse, e la scelta degli arrangiamenti musicali ha ancora privilegiato una sottile tessitura elettronica ad abbracciare semplici accordi di pianoforte o di chitarra semiamplificata, con la batteria a dare ritmo alla metà dei brani dall’impianto più pop. Pop nell’accezione di Bon Iver o Iron & Wine, dal momento che le canzoni della cantautrice australiana hanno il passo composto e delicato di Beth Orton e l’impalcatura strumentale del Justin Vernon più orecchiabile. Brani pacati, intimi, riflessivi, già ora apprezzabili e con varie possibilità di evoluzione futura: indie-pop, folktronica, mainstream pop, folk, avantgarde. Compresa quella di fare il medico a tempo pieno.

Voto Microby: 7.6    

Preferite: Sandwiches, Extraordinary Life, Unready

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