sabato 26 marzo 2022

Recensione: JOHNNY MARR - Fever Dreams Pts 1-4 (2022)

 JOHNNY MARR - Fever Dreams Pts 1-4 (2022)



Genere: Indie-Rock, Brit-Rock

Influenze:  Verve, Oasis, Spiritualized, Primal Scream, Joy Division


Quarto album solista per l’ex chitarrista degli Smiths, che da una decina di anni ormai ha iniziato una nuova vita musicale con concerti e tappeto e collaborazioni in giro per il mondo, smettendo di vivere all’ombra di un passato artistico immenso, ricordo degli anni più fulgidi insieme al suo ex-amico Morrissey.

In questo complesso lavoro suddiviso in quattro parti, pubblicate in tempi successivi e riunite qui definitivamente, JM rivela un’evidente volontà di spaziare tra le più svariate atmosfere melodiche andando dall’electro-gospel (“Spirit, Power and Soul”) al post-punk (“Receiver”), dai riff techno-pop anni’80 al psych-synth modello Depeche Mode. 

Non c’è dubbio tuttavia che i registri più muscolarmente rock, pescati a piene mani dal Manchester sound, siano l’espressione più chiara del suo talento e della sua classe.

Una lunga escursione in sedici tappe per un musicista molto coraggioso (o forse pazzo…chi avrebbe mai mollato a 23 anni una cult-band come gli Smiths!) ed altrettanto criticato, chissà perchè.


Da ascoltare: Spirit Power and Soul, All These Days, Ariel, Human

Voto:



mercoledì 23 marzo 2022

AMOS LEE (2022) Dreamland


Genere
: Soul-pop, White soul, Singer-songwriter  

Simili: Ryan Adams, John Mayer, Raul Midon, James Blunt

Voto Microby: 6.8

Preferite: Dreamland, Hold You, How You Run?

Ne è passato di tempo da quando Lee Alexander, il bassista di Norah Jones che lo aveva apprezzato come opening act del tour della star americana, produsse l’esordio di Ryan Anthony Massaro aka Amos Lee, sollevandolo così definitivamente dall’impiego come maestro elementare dopo una laurea in inglese presso la South Carolina University. Il cantautore nato a Philadelphia nel 1977 non è mai diventato una star del mercato discografico, ma ha riscosso una iniziale discreta popolarità grazie a passaggi delle sue canzoni intime e romantiche in serie televisive come Doctor House e Grey’s Anatomy, e ha sempre goduto della stima della critica e dell’apprezzamento di uno zoccolo duro di fans (il nostro blog aveva nel 2008 tributato il titolo di miglior disco dell’anno al suo Last Days At The Lodge). Dal 2004 titolare di una decina di album (Mission Bell nel 2011 e soprattutto Spirit nel 2018 i miei preferiti), pubblica ora Dreamland dopo un silenzio di quattro anni. La qualità di scrittura di melodie e testi di categoria superiore è rimasta intatta rispetto all’eccellente carniere finora esibito dall’artista americano. Sorprende pertanto che il suo cantautorato che dal laid-back country-folk-soul l’ha progressivamente portato ad un soul/R&B d’autore (Bob Dylan meet Al Green/Bill Withers) venga ora contaminato da arrangiamenti vicini al pop-soul mainstream, con l’utilizzo di strumenti dozzinali (synth, vocoder, drum machine) che si spera diano il meritato (finora) successo commerciale al nostro, ma che sollevano più di una perplessità nei fans di sempre. Accantonate le influenze folk e gospel, ed abbandonati gli accenti jazzy e bluesy, Amos Lee pare ora più sulle tracce dell’ultimo John Mayer o del Ryan Adams più pop. Mi auguro che Dreamland rappresenti un episodio isolato: al momento è quello più prescindibile della ricca discografia del nostro.

lunedì 14 marzo 2022

EDDIE VEDDER (2022) Earthling


Genere
: Rock, Grunge

Simili: Pearl Jam, Chris Cornell, Foo Fighters, The Who

Voto Microby: 8.5

Preferite: Invincible, The Haves, Long Way, Brother The Cloud

Le tastiere sintetiche e la batteria metronomica dell’incipit Invincible faranno storcere il naso ai fans dei Pearl Jam classici, orfani di un capolavoro della propria band del cuore da almeno una dozzina di anni (Pearl Jam del 2006 e Backspacer del 2009 gli ultimi grandi album del combo di Seattle). Ma è una cifra stilistica non del tutto spiazzante, vista l’evoluzione musicale (accennata ma qualitativamente contratta) del precedente Gigaton (2020), e le orecchie degli ascoltatori ormai aduse al ritorno in auge delle sonorità anni ‘80. In realtà per la prima volta il carismatico vocalist californiano riesce a trovare un punto di incontro tra la potenza grunge di derivazione punk/hard garage dei PJ e la propria anima melodica, acustica e romantica, di stampo cantautorale rock più classico. E’ con piacere quindi che salutiamo l’album più vario  del nostro/dei nostri, lontano dalla compattezza granitica dei Pearl Jam ma anche dal songwriting acustico dell’attività in proprio, fatta di belle canzoni perfette per il cinema ma tediose nella dimensione di un album. Vedder non rinuncia agli assalti elettrici frontali tipici dei PJ, ma li circonda di composizioni (ed esecuzioni) di stampo classic rock, perfino giocando a fare (assai bene) l’ultimo Tom Petty (Long Way, con Benmont Tench all’Hammond), l’Elton John dalle parti di Crocodile Rock (Picture, con il baronetto a voce e saltellante piano barrelhouse), il Boss in zona Darkness On The Edge of Town (The Dark), i Beatles maccartiani (Mrs. Mills, ospite alla batteria Ringo Starr), Peter Gabriel pre-Real World (Invincible), Stevie Wonder (evocativa la sua armonica in Try). I puristi dei Pearl Jam lamenteranno l’approccio troppo mainstream, e gli amanti del Vedder intimo e cinematografico l’eccessiva carica elettrica: i due poli a mio avviso si integrano invece alla perfezione, col supporto di una tavolozza colorata per una scrittura eccellente (non una canzone debole nel lotto), e nella confezione di un album brillante, energico, fantasioso e sincero. A mio avviso il migliore del Vedder solista ma anche dei Pearl Jam del nuovo millennio.

venerdì 4 marzo 2022

ALT-J (2022) The Dream


Genere
: Alternative pop, Art-pop

Simili: Bombay Bicycle Club, Grizzly Bear, Portico, XTC, Massive Attack, Beck

Voto Microby: 8.2

Preferite: U&Me, Hard Drive Gold, Happier When You’re Gone, Get Better

An Awesome Wave, esordio del trio (allora quartetto) di Leeds (ma ora operativo a Londra), vinse il Mercury Prize nel 2012, fu mio disco dell’anno e la band la mia personale next big thing. Il sophomore This Is All Yours nel 2015 fu numero uno in Inghilterra e nominato ai Grammy; non fu tuttavia un altro capolavoro, ma un ottimo album che confermava le qualità del trio di nerds inglesi e proponeva un’evoluzione stilistica che faceva pensare ad una sorta di prog 2.0. Il crollo delle azioni coincise con la pubblicazione nel 2017 di Relaxer, terza fatidica prova svuotata di entusiasmo, intuizioni, idee e complessivamente noiosa e stanca, come di una band al capolinea. Come ogni buon fan, sebbene deluso dalla parabola discendente dei miei idoli, non avevo deposto le mie aspettative nei confronti degli Alt-J, anche perché la loro impronta nella musica pop è viva nelle molte bands che ne imitano l’approccio, e 2.5 miliardi di stream dei loro brani certificano di un combo non dimenticato. Eccomi dunque cinque anni dopo ad ascoltare con malcelato timore (come Cerebus per gli Idles) il ritorno sul mercato di Joe Newman (voce e chitarre), Gus Unger-Hamilton (tastiere) e Thom Green (batteria): scomparso il piacere della sorpresa che aveva connotato il loro debutto, ripetuti ascolti assegnano tuttavia a The Dream la palma di lavoro più coeso ed ispirato dopo l’esordio. Invece che sperimentare una nuova direzione come nel secondo album o di inibirsi come nel terzo, i nostri hanno scelto di consolidare quel pop alternativo ed originale, dalla cifra stilistica immediatamente riconoscibile, che ha dato loro la fama. Desta così ancora ammirazione l’incredibile capacità di miscelare e stratificare generi e strumenti agli antipodi, col risultato di un patchwork di pop di origine beatlesiana embricato con sonorità trip-hop (Fleet Foxes meet Massive Attack?), surf pop, psichedelia, alt-folk e art-pop, elettronica gentile e chitarre bluesy, archi e clavicembalo da pop barocco, inserti di lirica e samples di vita quotidiana, progressioni melodiche ma anche disritmia, cori sospesi tra soul e ieraticità. I testi sono intimi ma con colti riferimenti a letteratura e cinema, ed il sound è sofisticato ma accessibile ed anche orecchiabile, pur mancando dei 3-4 brani-killer che caratterizzavano il debutto. Superate le perplessità del primo ascolto, abbandonatevi a questa eccellente nuova prova di rara intelligenza pop.

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