Genere: Indie-Rock, Art-Rock
Simili: Broken Social Scene, Modest Mouse,
Spiritualized, Radiohead, Woodkid, Wolf Parade, Mogwai
Voto Microby: 8.2
Preferite: End of The Empire I-IV, The
Lightning I, Age of Anxiety I
La band canadese è universalmente riconosciuta tra le più
influenti nell’evoluzione della musica rock (e addentellati vari) nel nuovo
millennio. Personalmente la considero “la” più importante del primo decennio,
vergato dal trittico di capolavori Funeral
(2004), Neon Bible (2007) e The Suburbs (2010). Per non ripetere
all’infinito una formula che aveva estratto l’indie pop-rock dalle produzioni
casalinghe per offrirlo a quelle ipertrofiche del mainstream, facendosi tuttavia apprezzare per la riuscita fusione
di generi musicali agli antipodi (rock e disco music, folk e punk, new wave e
marce militari), la band di Montreal aveva sterzato nel decennio successivo con
Reflektor (2013) verso un’electro-dance
satura ed oscura, figlia dei New Order e solo parzialmente riuscita, e con Everything Now (2017) verso un pop
variegato (con David Bowie a nume tutelare) che univa elettronica a pop, disco
e musica orchestrale, con risultati solo a tratti piacevoli ma per lo più
banalmente bombastici. Luca stesso si chiedeva sul nostro blog se li avessimo
ormai persi. Timore concreto, visto che l’humus originario folk e rock dei
canadesi difficilmente trova una collocazione tra rap, trap, hip hop ed
elettropop imperanti, e che pur camaleontici non hanno dimostrato il genio del
Duca bianco, loro mèntore e maestro nelle transizioni. Si è arrivati così al
terzo decennio ed il nuovo album, WE,
rinuncia chiaramente ad ulteriori evoluzioni stilistiche: gli Arcade Fire sanno
di non rappresentare più il futuro del rock, e si affidano al proprio talento
per concentrarsi sulla qualità. E lo fanno con un indie/art-rock che è un
compendio dei suoni da loro esplorati finora, che ritorna alle melodie
innodiche dei primi lavori ma non esclude momenti intimi, crescendo epici e
corali, e ritmi ballabili. Pur non possedendo la potenza lirica dei primi tre
album, WE si pasce delle medesime
fascinazioni apocalittiche, declinate in una sorta di concept album coeso nella sua varietà, diviso in due parti che
dipingono le contraddizioni del nostro tempo: “I”, ovvero la singolarità/egoismo
e l’ansia da solitudine che ne deriva, e “We”, ovvero l’unione/altruismo e la
speranza riposta nella condivisione. Il tema orwelliano non è nuovo per i
nostri, e dichiaratamente WE si
ispira all’omonimo romanzo distopico russo di Yevgeny Zamyatin, un secolo fa
ispiratore del più famoso 1984 di
George Orwell. Quaranta minuti per nove brani accoppiati due a due eccetto la title track, in cui lo spartiacque/cuore
del disco è End of The Empire IV; la
produzione è affidata alla coppia (anche nella vita) Will Butler e Régine
Chassagne, coadiuvati da Nigel Godrich (la testa dietro la consolle dei
Radiohead), la cui influenza si palesa, a differenza di alcune comparsate
(Geoff Barrow, Peter Gabriel, Josh Tillman). Significativi anche gli
arrangiamenti orchestrali di Owen Pallett, talvolta in area Lennon/Waters. WE cresce con gli ascolti e alla fine
convince pienamente, facendoci dimenticare i due mezzi passi falsi precedenti.
Evitando un ritorno musicale ai primi lavori, che suonerebbe tanto “comfort
zone”, e invece frullando tutto quanto esplorato in carriera, gli Arcade Fire
ci hanno consegnato un album di qualità e concretezza. Gianni Sibilia su Rock On Line suggerisce un interessante
parallelismo tra U2 ed Arcade Fire: se Reflektor
era il loro Achtung Baby ed Everything Now il loro Pop, WE
rappresenta il loro All That You Can’t
Leave Behind. Ascoltatelo senza pregiudizi e vi conquisterà.
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